La parola «Rivelazione», molte volte pare che sottintenda
un riferimento diretto alla Scrittura, ossia alla Bibbia in quanto tale: Bibbia
è una parola che viene dal greco e che vuol dire «libri» (biblia). Ma in
realtà, il termine greco che corrisponde a «rivelazione» è apokalypsis,
e l’ultimo libro della Bibbia è appunto l’Apocalisse. Pertanto, l’ultimo libro
della Bibbia, non ha a che vedere con quella catena catastrofica sotto la quale
tantissime volte lo si presenta. Ma non è questa la sede per questo
approfondimento che, in ogni tempo della storia, è risultato e risulta sempre
impegnativo... ma assolutamente possibile!
Quando in sede teologica
si utilizza la parola «Rivelazione», pare che il riferimento sia immediatamente
alla «Scrittura» (la Bibbia). Questo è giusto, ma in parte, poiché come le
strade, o meglio, i canali della Rivelazione dalla quale scaturiscono sono
«due», non uno soltanto. Questi canali sono la Sacra Scrittura e la Tradizione
apostolica, le quali non possono essere separate: l’una non potrebbe
permanere se mancasse l’altra e viceversa. Ma questo merita uno sguardo a
parte, per il momento sarebbe meglio chiarire cosa si intenda per la parola
«Rivelazione», e per questo si prenderà come riferimento principale quel
mirabile documento del Concilio Vaticano II che è la Costituzione dogmatica
sulla divina rivelazione, ossia la Dei Verbum.
Intanto è estremamente
importante notare come si presenta l’indice del documento, poiché nulla è
lasciato al caso: Proemio; 1. La rivelazione; 2. La trasmissione della divina
rivelazione; 3. L’ispirazione divina e l’interpretazione della Sacra Scrittura;
4. Il Vecchio Testamento; 5. Il Nuovo Testamento; 6. La Sacra Scrittura nella
vita della Chiesa.
Ora, seguendo la Dei
Verbum, alla domanda su cosa sia la Rivelazione, la riposta immediata la si
rintraccia all’inizio del primo capitolo:
Piacque
a Dio nella sua bontà e sapienza rivelare se stesso e manifestare il mistero
della sua volontà (Cfr. Ef 1,9), mediante il quale gli uomini per mezzo di
Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito Santo hanno accesso al Padre e sono
resi partecipi della divina natura (Cfr. Ef 2,18; 2Pt 1,4).
Dunque è possibile capire
che con la parola «Rivelazione» si intende: Dio che rivela se stesso e la sua
volontà salvifica nei confronti dell’uomo, e questo lo fa nella storia, la
quale prenderà il nome di «storia della salvezza», che ha Cristo come mediatore
e come pienezza di tutta la Rivelazione.
Ma la parola
«Rivelazione» viene dal latino (re-velatio) e il primo senso è quello di
«scoprire», «svelare». Vi è un altro senso, che è quello di «velare
nuovamente», ossia «mettere nuovamente il velo».
Il punto è che entrambi i
sensi sono corretti, per cui la Rivelazione è sia svelamento sia rivelamento.
In ciò si capisce che Dio certamente si fa conoscere (svelamento) – importante
in merito alla conoscibilità di Dio –, ma resta sempre l’ineffabile, colui che
trascende assolutamente questa realtà, pertanto permane sempre quel Mistero
(rivelamento) – importante in merito alla incomprensibilità di Dio, nel senso
che non è possibile comprendere l’infinità di Dio, nonostante vi sia accesso
alla sua conoscibilità, che fa sì che possiamo parlare, e anche correttamente,
di Dio.
Pertanto, la Rivelazione
ci fa conoscere Dio poiché è lui che si fa conoscere, ma ciò non esaurisce il suo
Mistero. Per questo san Paolo si esprime chiaramente: «Adesso noi vediamo in
modo confuso, come in uno specchio; allora invece vedremo faccia a faccia.
Adesso conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come
anch’io sono conosciuto» (1Cor 13,12).
Importante il fatto che
Dio vuole comunicare la propria vita divina agli uomini da lui liberamente
creati, per farli figli adottivi nel suo unico Figlio. Rivelando se stesso Dio
vuole rendere gli uomini capaci di rispondergli, di conoscerlo e di amarlo ben
più di quanto sarebbero capaci da se stessi (Catechismo della Chiesa Cattolica,
n. 52).