La «maternità divina di
Maria» (in greco Θεοτόκος,
da Θεός e τόκος, a sua volta dal tema τοκ di τίκτω, ossia «genero») è
considerata la verità principale in merito alla Vergine, oltre ad essere il primo
dogma mariano e quello fondante. Al riguardo, sarebbe opportuno chiedersi come
mai la Vergine Maria possa essere chiamata «Madre di Dio». Infatti, il tutto
rimanda all’incarnazione del Verbo nel grembo di Maria, fondamentale in ambito
cristologico e soteriologico (riguardante la salvezza).
Occorre un trampolino di
lancio per riportare alcuni tra i dati più importanti sulla «maternità divina
di Maria», e le parole del Sommo Poeta (Dante Alighieri) costituiscono un
trampolino perfetto:
«Vergine Madre, figlia
del tuo figlio,
umile e alta più che
creatura,
termine fisso d’etterno
consiglio,
tu se’ colei che l’umana natura
nobilitasti sì, che ‘l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.
Nel ventre tuo si raccese l’amore,
per lo cui caldo ne l’etterna pace
così è germinato questo fiore»
(Paradiso, canto XXXIII, vv. 1-9)
Il primo dogma mariano, ossia quello
della Θεοτόκος, fu
stabilito al concilio di Efeso nell’anno 431 d.C. Un momento importante fu
quello che vide coinvolti il patriarca di Costantinopoli Nestorio (386 – 451 d.C.)
e il patriarca di Alessandria d’Egitto Cirillo (370 ca. – 444 d.C). In base all’unione
delle due nature in Cristo (divina e umana), Nestorio propendeva per una posizione
talmente marcata da considerare in Cristo due persone. Del resto, Maria ha
generato l’umanità di Cristo e non la sua divinità, per cui sembra che tutto
sia corretto. Eppure vi è un aspetto molto importante, o meglio, fondamentale:
l’«unione ipostatica» del Verbo. Sarà questa la posizione di Cirillo di
Alessandria, seppure con una terminologia che richiede attenzione e per la
quale si ritiene opportuno rimandare ad un prossimo articolo, così da riportare
tutto in modo abbastanza puntuale.
Con l’espressione «unione
ipostatica» si rimanda al tema dell’incarnazione del Verbo, maggiormente al
modo attraverso cui vi è stata l’unione delle due nature in Cristo. Ciò è
avvenuto mediante l’assunzione della natura umana da parte della Persona del
Verbo («ipostasi» viene dal greco, in latino «persona»). Vi è un’unica Persona,
ossia quella eterna del Verbo, che dopo l’incarnazione presenta due nature,
quella divina e quella umana, ma il Soggetto è uno e la natura umana sussiste
nella Persona del Verbo. Per quanto riguarda la natura divina, questa coincide
con la stessa Persona del Verbo per via della «semplicità» in Dio, in cui non
vi è composizione ontologica, ma solo distinzione di relazione con il Padre e
lo Spirito Santo, per cui in Dio la relazione è sussistente, in noi no.
Per quanto riguarda la
natura umana, il Verbo carne divenne (Gv 1,14) assumendola, facendo sì che il
Soggetto della natura umana sia non una persona umana ma la stessa Persona del
Verbo. In poche parole, attribuire un’ipostasi alla natura umana di Cristo
equivale ad attribuirle una persona propria, una sussistenza propria. Semmai si
attribuisse ciò, allora in Cristo si troverebbero due persone con due
sussistenze proprie, ma ciò costituisce appunto l’«eresia nestoriana». Tale eresia,
che ha come esponente Nestorio, prevede l’unione di due persone in Cristo e non
l’unione di due nature nell’unico Soggetto del Verbo incarnato. Da ciò deriva
la posizione, da parte di Nestorio, di non chiamare Maria Θεοτόκος ma Χριστοτόκος,
per cui non «Madre di Dio» ma «Madre di Cristo», madre della persona umana e
non della Persona divina.
Occorre precisare che a quel
tempo tanti termini e tante ricerche che per noi oggi sono note e che abbiamo a
portata di mano non godevano di tanta chiarezza, nel V secolo d.C. non tutto era
così lampante. Inoltre, se ancora oggi vi sono dei passaggi che risultano
difficili, figuriamoci a quel tempo. Come ho scritto, vi è da porre attenzione
all’uso di parole che furono adoperate in questa ricerca, alcune delle quali
trovarono corretto impiego successivamente.
Ora, la Scrittura riporta
che il Verbo è venuto nella carne (Cfr. Gv 1,14; 1Gv 4,2) e che si tratta del
Figlio di Dio nato da donna (Cfr. Gal 4,4; Lc 1,31-35). Senza contare le parole
con le quali Elisabetta saluta Maria, che non lasciano dubbi: «Benedetta tu fra
le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del
mio Signore venga da me?» (Lc 1,42-43). Pertanto, non solo compare il titolo di
«Signore», riservato solo a Dio, ma Elisabetta saluta Maria come «Madre del suo
Signore», ossia come «Madre di Dio». Sono dati della Scrittura abbastanza
eloquenti, ma che consentono e richiedono di capire perché Maria non è solo
madre della natura umana di Cristo ma Madre di Dio.
A questo punto vi è quel
documento fondamentale del Papa san Leone Magno (390 ca. – 461 d.C) dal titolo Tomus
ad Flavianum, ed è il documento imprescindibile per la comprensione del
primo dogma mariano proclamato ad Efeso. In tale documento è riportata una base
dottrinale fondamentale, quella della «communicatio idiomatum», vale a dire la «comunicazione
degli idiomi (proprietà)». Perciò, «il Soggetto dell’unione (ipostatica) è il
Verbo eterno e ciascuna delle nature compie ciò che le è proprio, restando in
comunione con l’altra». Il tutto scaturisce proprio dall’Incarnazione. L’unità
in Cristo, che consta di aspetti umani e divini, si devono affermare del medesimo
Soggetto: il Verbo incarnato. A questo punto, per il fatto che la natura umana
è stata assunta dal Verbo e Maria ha concepito e partorito non una natura umana
qualsiasi, ma quella unita ipostaticamente al Verbo, allora Maria è «Madre di
Dio», a maggior ragione del fatto che le proprietà delle due nature (umana e
divina) hanno come Soggetto il Verbo incarnato, la Persona del Figlio unigenito
di Dio.
Per concludere questa breve
esposizione, non possono mancare le parole del Doctor Angelicus:
Se poi qualcuno volesse dire che la
Beata Vergine non deve essere detta Madre di Dio perché da lei non è stata
assunta la divinità ma soltanto l’umanità, come diceva Nestorio, costui
manifestamente non sa quel che dice. Infatti una donna è detta madre di
qualcuno non per il fatto che tutto ciò che è in lui è preso da lei. L’uomo
infatti è formato di anima e di corpo, ed è tale più a motivo dell’anima che
del corpo; ora, di nessun uomo l’anima viene presa dalla madre, ma o è creata immediatamente
da Dio, come accade effettivamente, oppure, se derivasse per trasmissione come insegnarono alcuni, non verrebbe trasmessa dalla madre, ma piuttosto dal padre,
perché nella generazione degli altri animali, secondo la dottrina dei filosofi,
il maschio dà l’anima e la femmina invece il corpo. Come dunque di ogni uomo è
detta madre quella donna dalla quale è assunto il corpo, così deve essere
della Madre di Dio la Beata Vergine Maria dal momento che il corpo da lei
assunto è il corpo di Dio. E bisogna dire che è il corpo di Dio, dato che viene
assunto nell’unità della persona del Figlio di Dio, che è vero Dio. Quindi coloro
che confessano che la natura umana è stata assunta dal Figlio di Dio nell’unità
della persona, devono necessariamente affermare che la Beata Vergine Maria è la
Madre di Dio (Tommaso d’Aquino, Compendio
di teologia, I, c. 222).
Gabriele Cianfrani