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sabato 1 gennaio 2022

MARIA SS. MADRE DI DIO


 

La «maternità divina di Maria» (in greco Θεοτόκος, da Θεός e τόκος, a sua volta dal tema τοκ di τίκτω, ossia «genero») è considerata la verità principale in merito alla Vergine, oltre ad essere il primo dogma mariano e quello fondante. Al riguardo, sarebbe opportuno chiedersi come mai la Vergine Maria possa essere chiamata «Madre di Dio». Infatti, il tutto rimanda all’incarnazione del Verbo nel grembo di Maria, fondamentale in ambito cristologico e soteriologico (riguardante la salvezza).

Occorre un trampolino di lancio per riportare alcuni tra i dati più importanti sulla «maternità divina di Maria», e le parole del Sommo Poeta (Dante Alighieri) costituiscono un trampolino perfetto:

 

«Vergine Madre, figlia del tuo figlio,

umile e alta più che creatura,

termine fisso d’etterno consiglio,

 

tu se’ colei che l’umana natura

nobilitasti sì, che ‘l suo fattore

non disdegnò di farsi sua fattura.

 

Nel ventre tuo si raccese l’amore,

per lo cui caldo ne l’etterna pace

così è germinato questo fiore»

 

(Paradiso, canto XXXIII, vv. 1-9)

 

Il primo dogma mariano, ossia quello della Θεοτόκος, fu stabilito al concilio di Efeso nell’anno 431 d.C. Un momento importante fu quello che vide coinvolti il patriarca di Costantinopoli Nestorio (386 – 451 d.C.) e il patriarca di Alessandria d’Egitto Cirillo (370 ca. – 444 d.C). In base all’unione delle due nature in Cristo (divina e umana), Nestorio propendeva per una posizione talmente marcata da considerare in Cristo due persone. Del resto, Maria ha generato l’umanità di Cristo e non la sua divinità, per cui sembra che tutto sia corretto. Eppure vi è un aspetto molto importante, o meglio, fondamentale: l’«unione ipostatica» del Verbo. Sarà questa la posizione di Cirillo di Alessandria, seppure con una terminologia che richiede attenzione e per la quale si ritiene opportuno rimandare ad un prossimo articolo, così da riportare tutto in modo abbastanza puntuale.

Con l’espressione «unione ipostatica» si rimanda al tema dell’incarnazione del Verbo, maggiormente al modo attraverso cui vi è stata l’unione delle due nature in Cristo. Ciò è avvenuto mediante l’assunzione della natura umana da parte della Persona del Verbo («ipostasi» viene dal greco, in latino «persona»). Vi è un’unica Persona, ossia quella eterna del Verbo, che dopo l’incarnazione presenta due nature, quella divina e quella umana, ma il Soggetto è uno e la natura umana sussiste nella Persona del Verbo. Per quanto riguarda la natura divina, questa coincide con la stessa Persona del Verbo per via della «semplicità» in Dio, in cui non vi è composizione ontologica, ma solo distinzione di relazione con il Padre e lo Spirito Santo, per cui in Dio la relazione è sussistente, in noi no.

Per quanto riguarda la natura umana, il Verbo carne divenne (Gv 1,14) assumendola, facendo sì che il Soggetto della natura umana sia non una persona umana ma la stessa Persona del Verbo. In poche parole, attribuire un’ipostasi alla natura umana di Cristo equivale ad attribuirle una persona propria, una sussistenza propria. Semmai si attribuisse ciò, allora in Cristo si troverebbero due persone con due sussistenze proprie, ma ciò costituisce appunto l’«eresia nestoriana». Tale eresia, che ha come esponente Nestorio, prevede l’unione di due persone in Cristo e non l’unione di due nature nell’unico Soggetto del Verbo incarnato. Da ciò deriva la posizione, da parte di Nestorio, di non chiamare Maria Θεοτόκος ma Χριστοτόκος, per cui non «Madre di Dio» ma «Madre di Cristo», madre della persona umana e non della Persona divina.

Occorre precisare che a quel tempo tanti termini e tante ricerche che per noi oggi sono note e che abbiamo a portata di mano non godevano di tanta chiarezza, nel V secolo d.C. non tutto era così lampante. Inoltre, se ancora oggi vi sono dei passaggi che risultano difficili, figuriamoci a quel tempo. Come ho scritto, vi è da porre attenzione all’uso di parole che furono adoperate in questa ricerca, alcune delle quali trovarono corretto impiego successivamente.

Ora, la Scrittura riporta che il Verbo è venuto nella carne (Cfr. Gv 1,14; 1Gv 4,2) e che si tratta del Figlio di Dio nato da donna (Cfr. Gal 4,4; Lc 1,31-35). Senza contare le parole con le quali Elisabetta saluta Maria, che non lasciano dubbi: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me?» (Lc 1,42-43). Pertanto, non solo compare il titolo di «Signore», riservato solo a Dio, ma Elisabetta saluta Maria come «Madre del suo Signore», ossia come «Madre di Dio». Sono dati della Scrittura abbastanza eloquenti, ma che consentono e richiedono di capire perché Maria non è solo madre della natura umana di Cristo ma Madre di Dio.

A questo punto vi è quel documento fondamentale del Papa san Leone Magno (390 ca. – 461 d.C) dal titolo Tomus ad Flavianum, ed è il documento imprescindibile per la comprensione del primo dogma mariano proclamato ad Efeso. In tale documento è riportata una base dottrinale fondamentale, quella della «communicatio idiomatum», vale a dire la «comunicazione degli idiomi (proprietà)». Perciò, «il Soggetto dell’unione (ipostatica) è il Verbo eterno e ciascuna delle nature compie ciò che le è proprio, restando in comunione con l’altra». Il tutto scaturisce proprio dall’Incarnazione. L’unità in Cristo, che consta di aspetti umani e divini, si devono affermare del medesimo Soggetto: il Verbo incarnato. A questo punto, per il fatto che la natura umana è stata assunta dal Verbo e Maria ha concepito e partorito non una natura umana qualsiasi, ma quella unita ipostaticamente al Verbo, allora Maria è «Madre di Dio», a maggior ragione del fatto che le proprietà delle due nature (umana e divina) hanno come Soggetto il Verbo incarnato, la Persona del Figlio unigenito di Dio.

Per concludere questa breve esposizione, non possono mancare le parole del Doctor Angelicus:

Se poi qualcuno volesse dire che la Beata Vergine non deve essere detta Madre di Dio perché da lei non è stata assunta la divinità ma soltanto l’umanità, come diceva Nestorio, costui manifestamente non sa quel che dice. Infatti una donna è detta madre di qualcuno non per il fatto che tutto ciò che è in lui è preso da lei. L’uomo infatti è formato di anima e di corpo, ed è tale più a motivo dell’anima che del corpo; ora, di nessun uomo l’anima viene presa dalla madre, ma o è creata immediatamente da Dio, come accade effettivamente, oppure, se derivasse per trasmissione come insegnarono alcuni, non verrebbe trasmessa dalla madre, ma piuttosto dal padre, perché nella generazione degli altri animali, secondo la dottrina dei filosofi, il maschio dà l’anima e la femmina invece il corpo. Come dunque di ogni uomo è detta madre quella donna dalla quale è assunto il corpo, così deve essere della Madre di Dio la Beata Vergine Maria dal momento che il corpo da lei assunto è il corpo di Dio. E bisogna dire che è il corpo di Dio, dato che viene assunto nell’unità della persona del Figlio di Dio, che è vero Dio. Quindi coloro che confessano che la natura umana è stata assunta dal Figlio di Dio nell’unità della persona, devono necessariamente affermare che la Beata Vergine Maria è la Madre di Dio (Tommaso d’Aquino, Compendio di teologia, I, c. 222).

 

 

Gabriele Cianfrani