Blog di informazioni e riflessioni su quanto concerne temi cristiani

mercoledì 16 marzo 2022

UNO SGUARDO SULLA FEDE


 

La parola «fede» è quanto mai comune e spesse volte pare sia avvolta da una nebbia che impedisca di coglierne la chiarezza, la profondità, la solidità che tale parola implica. Ci si chiede soprattutto se avere fede sia ragionevole oppure no; se l’atto di fede sia verso l’ignoto o verso una realtà concreta; se la fede goda di inesprimibilità oppure no. Tutto questo per poi giungere al tanto atteso rapporto tra scienza e fede, tra ragione e fede. Anzitutto, porre la fede da una parte e la ragione da un’altra non è corretto, per il semplice fatto che la fede suppone la ragione e la eleva, cosa che si vedrà a breve. Pertanto, cosa vuole indicare la parola fede? Si ritiene opportuno partire da preziose distinzioni terminologiche che si riscontrano nel testo biblico, per poi procedere con la riflessione all’interno della fede stessa.

Nel testo biblico, in riferimento alla «fede», si riscontrano soprattutto due parole: ʼāman (אמן) e baṭaḥ (בטח). La prima parola, ʼāman, è forse la più importante per esprimere il radicamento della fede, dal momento che tale parola vuol dire «credere» e da cui deriva il nostro amen che pronunciamo al termine di ogni preghiera. Contrariamente a quanto si pensa, la parola amen vuol dire «è così», «così dev’essere», «dev’essere certo» ecc. Pertanto, non sarebbe tanto corretto tradurre amen con «così sia», ma con «così è». Il motivo è che l’ebraico ʼāman sta ad indicare la fermezza, la solidità, l’attendibilità di ciò che si crede, espressa soprattutto dal «padre di tutti coloro che credono», ossia Abramo (Cfr. Rm 4,11). Se qualcuno provasse a soffermarsi su quell’amen alla fine di una qualsiasi preghiera (ad esempio l’Ave Maria) e dicesse «così sia», si renderebbe conto di quanto suoni strano. Certo, poiché il «così sia» esprime il volere che una cosa sia tale, in futuro, ma che in quel momento ancora non è. Domanda: Maria è già piena di grazia oppure dovrà esserlo? Lo è già, ovviamente, da un po' di tempo e lo sarà per sempre. Per cui «è così», «così è». Così come per quanto riguarda il «Credo» (il Simbolo Apostolico o quello Niceno-Costantinopolitano), che più di ogni altra preghiera esprime la fede cristiana, o meglio, il fondamento e il contenuto della fede cristiana. Ciò che si pronuncia durante il «Credo» è appunto creduto fermamente, saldamente, per cui ci troviamo in ciò che è espresso dalla parola ʼāman. Il «così sia», soprattutto in merito al «Credo», non gode di piena correttezza, poiché non riguarda un compimento futuro, dato che Dio è tale dall’eternità e tutta la storia della salvezza, che ha principalmente Dio come autore, gode di piena solidità. Non si rischia nulla con il «così sia», ci mancherebbe, ma non sarebbe male se lo si pronunciasse tenendo in mente l’originale ʼāman. Certamente occorre riportare che il «così sia» può indicare anche la disposizione da parte di colui che prega affinché si compia ciò che viene espresso nella preghiera, come nel Salmo 41: «Sia benedetto il Signore, Dio d'Israele, da sempre e per sempre. Amen, amen» (v.14); come anche in Geremia 28,6. Tuttavia, nonostante le sfumature del termine e l'accostamento al soggetto orante affinché si compia ciò che è contenuto nella preghiera, il senso principale di ʼāman (da cui il nostro amen) riguarda ciò in cui si crede, Colui in cui si crede, che gode di stabilità, di fermezza, di certezza, di verità, senza possibilità di alterazione. 

Tale senso di solidità, di attendibilità, di credibilità riguarda anzitutto Dio, così come traspare soprattutto da quel momento storico in cui Abramo uscì da Ur dei Caldei su richiesta di Dio (Cfr. Gen 12,1-3), credendo fermamente in Lui, dacché la solidità risiede in Dio stesso. Il tutto viene espresso molto bene in 2Sam 22,2-3: «Signore, mia roccia, mia fortezza, mio liberatore, mio Dio, mia rupe, in cui mi rifugio; mio scudo, mia potente salvezza e mio baluardo, mio nascondiglio che mi salva, dalla violenza tu mi salvi». È questa solidità che risiede nel Signore, il quale si è manifestato evidentemente con parole e opere, che viene espressa dalla parola ʼāman, parole e opere che hanno portato il salmista ad esprimersi precisamente: «Alzo gli occhi verso i monti: da dove mi verrà l’aiuto? Il mio aiuto viene dal Signore, che ha fatto cielo e terra» (Sal 121,1-2). Non un credere nell’ignoto, ma credere in Colui che è saldo come la roccia, o meglio, in Colui che ha conferito solidità alla roccia stessa, in quanto Egli l’ha fatta. Egli è il Dio fedele, il Dio di verità (Cfr. Is 65,16). Ma il riferimento può essere anche nei confronti di un testimone fedele (Cfr. Pr 14,5) o di chi risulta degno di fede, e chi risulta più degno di fede è Dio.

Ora, chiarito ciò a cui la parola ʼāman rimanda (credere stabilmente), seppure con una certa brevità, occorre soffermarsi sulla seconda parola: baṭaḥ. Per far ciò, si riportano alcuni passi: «Chi confida nel Signore è come il monte Sion: non vacilla, è stabile per sempre» (Sal 125,1); «Ecco, Dio è la mia salvezza; io confiderò, non temerò mai, perché mia forza e mio canto è il Signore, egli è stato la mia salvezza» (Is 12,2); «Offrite sacrifici legittimi e confidate nel Signore» (Sal 4,6). Al credere stabilmente nel Signore, la cui credibilità è data dal fatto che è il Signore, segue l’«atteggiamento del credente». Il credente è colui che confida nel Signore, si fida del Signore perché saldo è ciò in cui crede, e orienta la propria volontà verso Colui la cui volontà è salvifica. Credere nelle parole del Signore perché è il Signore. Perciò, baṭaḥ sta ad indicare l’aspetto del fedele, il suo atteggiamento, che lo impegna totalmente, come risulta dal bellissimo passo del Deuteronomio: «amerai il Signore con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le tue forze» (6,5). Inoltre, l’atteggiamento di colui che crede deve essere stabile così come è stabile ciò in cui crede: «[…] davanti al Signore un solo giorno è come mille anni e mille anni come un solo giorno. Il Signore non ritarda nel compiere la sua promessa, anche se alcuni parlano di lentezza. Egli invece è magnanimo con voi, perché non vuole che alcuno si perda, ma che tutti abbiano modo di pentirsi» (2Pt 3,8-9).

Ci sarebbe tanto altro da aggiungere, ma bisogna accontentarsi. Quel che emerge è che il credente ripone la sua fede in ciò che è «degno di fede», in ciò che è «saldo», altrimenti non ci sarebbe motivo per credere. Pertanto, da quanto riportato, risultano due aspetti importanti della fede: a) la realtà stabile in cui si crede, con la possibilità di credere ragionevolmente a ciò che comunque oltrepassa la ragione creaturale, ma che gode di conoscibilità; b) la fiducia da parte di colui che crede, che lo impegna integralmente, considerando che ciò in cui crede è stabile e perciò può fidarsi della sua parola.

In latino, al termine ʼāman corrispondono fidescredereveritas; al termine baṭaḥ corrispondono spessperareconfido (Cfr. X. Leon-Dufour, Dizionario di Teologia Biblica, Marietti 1965, p. 326. Titolo originale: Vocabulaire de Theologie Biblique, Les Editions du Cerf).

A questo punto è alquanto obbligatorio inserire colei in cui la fede ha trovato la sua massima espressione: la Vergine Maria. Due passi risultano estremamente incisivi: l’annuncio dell’angelo a Maria (Lc 1,26-38) e il successivo saluto di Elisabetta (Lc 1,39-45).

Due passi che richiederebbero un trattato, per cui si cercherà di evidenziare solo alcuni aspetti.

Il primo è quello riguardante l’annuncio dell’angelo, al quale Maria crede fermamente e sapientemente, constatando la solidità del contenuto del messaggio, lei che più di ogni altra creatura era in piena sintonia con la volontà di Dio. Il secondo punto, riguardante il coinvolgimento pieno di Maria, viene reso manifesto dalle parole di Elisabetta: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? […] E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto» (Lc 1,42-45). Al riguardo, risultano importanti le parole di san Giovanni Paolo II:

Nell’annunciazione, infatti, Maria si è abbandonata a Dio completamente, manifestando «l’obbedienza della fede» a colui che le parlava mediante il suo messaggero e prestando «il pieno ossequio dell’intelletto e della volontà». Ha risposto, dunque, con tutto il suo «io» umano, femminile, e in tale risposta di fede erano contenute una perfetta cooperazione con «la grazia di Dio che previene e soccorre» e una perfetta disponibilità all’azione dello Spirito Santo, il quale «perfeziona continuamente la fede mediante i suoi doni» (Redemptoris mater, 13).

Estremamente importante il fatto che anche l’atto di credere è supportato da Dio, dalla sua grazia.

Inoltre,

Maria ha pronunciato questo fiat mediante la fede. Mediante la fede si è abbandonata a Dio senza riserva e «ha consacrato totalmente se stessa, quale ancella del Signore, alla persona e all’opera del Figlio suo». E questo figlio – come insegnano i Padri – l’ha concepito prima nella mente che nel grembo: proprio mediante la fede! (Ibid.).

Questo è ciò che emerge, brevemente, da uno sguardo sulla «fede». Si dovrà trattare l’argomento in modo più sistematico, ma per questo si richiede altro spazio, includendo ciò che comporta l’atto di fede e l’aspetto circa la «ragionevolezza della fede».



Gabriele Cianfrani