La parola «fede» è quanto
mai comune e spesse volte pare sia avvolta da una nebbia che impedisca di
coglierne la chiarezza, la profondità, la solidità che tale parola implica. Ci
si chiede soprattutto se avere fede sia ragionevole oppure no; se l’atto
di fede sia verso l’ignoto o verso una realtà concreta; se la fede
goda di inesprimibilità oppure no. Tutto questo per poi giungere al tanto atteso
rapporto tra scienza e fede, tra ragione e fede. Anzitutto, porre la fede da
una parte e la ragione da un’altra non è corretto, per il semplice fatto
che la fede suppone la ragione e la eleva, cosa che si vedrà a
breve. Pertanto, cosa vuole indicare la parola fede? Si ritiene
opportuno partire da preziose distinzioni terminologiche che si riscontrano nel
testo biblico, per poi procedere con la riflessione all’interno della fede stessa.
Nel testo biblico, in
riferimento alla «fede», si riscontrano soprattutto due parole: ʼāman (אמן) e baṭaḥ
(בטח).
La prima parola, ʼāman, è forse la più importante per esprimere il
radicamento della fede, dal momento che tale parola vuol dire «credere»
e da cui deriva il nostro amen che pronunciamo al termine di ogni
preghiera. Contrariamente a quanto si pensa, la parola amen vuol dire «è
così», «così dev’essere», «dev’essere certo» ecc. Pertanto, non sarebbe tanto
corretto tradurre amen con «così sia», ma con «così è». Il motivo è che
l’ebraico ʼāman sta ad indicare la fermezza, la solidità,
l’attendibilità di ciò che si crede, espressa soprattutto dal «padre di tutti
coloro che credono», ossia Abramo (Cfr. Rm 4,11). Se qualcuno provasse a soffermarsi su quell’amen alla fine di una qualsiasi preghiera (ad
esempio l’Ave Maria) e dicesse «così sia», si renderebbe conto di quanto suoni
strano. Certo, poiché il «così sia» esprime il volere che una cosa sia tale, in
futuro, ma che in quel momento ancora non è. Domanda: Maria è già piena di grazia
oppure dovrà esserlo? Lo è già, ovviamente, da un po' di tempo e lo sarà per
sempre. Per cui «è così», «così è». Così come per quanto riguarda il «Credo»
(il Simbolo Apostolico o quello Niceno-Costantinopolitano), che più di ogni
altra preghiera esprime la fede cristiana, o meglio, il fondamento e il
contenuto della fede cristiana. Ciò che si pronuncia durante il «Credo» è appunto
creduto fermamente, saldamente, per cui ci troviamo in ciò che è espresso dalla
parola ʼāman. Il «così sia», soprattutto in merito al «Credo», non gode
di piena correttezza, poiché non riguarda un compimento futuro, dato che Dio è
tale dall’eternità e tutta la storia della salvezza, che ha principalmente Dio
come autore, gode di piena solidità. Non si rischia nulla con il «così sia»,
ci mancherebbe, ma non sarebbe male se lo si pronunciasse tenendo in mente l’originale
ʼāman. Certamente occorre riportare che il
Tale senso di solidità,
di attendibilità, di credibilità riguarda anzitutto Dio, così come traspare soprattutto da quel momento storico in cui Abramo uscì da
Ur dei Caldei su richiesta di Dio (Cfr. Gen 12,1-3), credendo fermamente in
Lui, dacché la solidità risiede in Dio stesso. Il tutto viene espresso molto
bene in 2Sam 22,2-3: «Signore, mia roccia, mia fortezza, mio liberatore, mio
Dio, mia rupe, in cui mi rifugio; mio scudo, mia potente salvezza e mio
baluardo, mio nascondiglio che mi salva, dalla violenza tu mi salvi». È
questa solidità che risiede nel Signore, il quale si è manifestato
evidentemente con parole e opere, che viene espressa dalla parola ʼāman,
parole e opere che hanno portato il salmista ad esprimersi precisamente: «Alzo
gli occhi verso i monti: da dove mi verrà l’aiuto? Il mio aiuto viene dal
Signore, che ha fatto cielo e terra» (Sal 121,1-2). Non un credere
nell’ignoto, ma credere in Colui che è saldo come la roccia, o meglio, in Colui
che ha conferito solidità alla roccia stessa, in quanto Egli l’ha fatta. Egli è il Dio fedele, il Dio di verità (Cfr. Is 65,16). Ma il riferimento può essere anche nei confronti di un testimone fedele (Cfr. Pr 14,5) o di chi risulta degno di fede, e chi risulta più degno di fede è Dio.
Ora, chiarito ciò a cui la parola ʼāman rimanda (credere stabilmente), seppure con una certa brevità, occorre soffermarsi sulla seconda parola: baṭaḥ. Per far ciò, si riportano alcuni passi: «Chi confida nel Signore è come il monte Sion: non vacilla, è stabile per sempre» (Sal 125,1); «Ecco, Dio è la mia salvezza; io confiderò, non temerò mai, perché mia forza e mio canto è il Signore, egli è stato la mia salvezza» (Is 12,2); «Offrite sacrifici legittimi e confidate nel Signore» (Sal 4,6). Al credere stabilmente nel Signore, la cui credibilità è data dal fatto che è il Signore, segue l’«atteggiamento del credente». Il credente è colui che confida nel Signore, si fida del Signore perché saldo è ciò in cui crede, e orienta la propria volontà verso Colui la cui volontà è salvifica. Credere nelle parole del Signore perché è il Signore. Perciò, baṭaḥ sta ad indicare l’aspetto del fedele, il suo atteggiamento, che lo impegna totalmente, come risulta dal bellissimo passo del Deuteronomio: «amerai il Signore con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le tue forze» (6,5). Inoltre, l’atteggiamento di colui che crede deve essere stabile così come è stabile ciò in cui crede: «[…] davanti al Signore un solo giorno è come mille anni e mille anni come un solo giorno. Il Signore non ritarda nel compiere la sua promessa, anche se alcuni parlano di lentezza. Egli invece è magnanimo con voi, perché non vuole che alcuno si perda, ma che tutti abbiano modo di pentirsi» (2Pt 3,8-9).
Ci sarebbe tanto altro da
aggiungere, ma bisogna accontentarsi. Quel che emerge è che il credente ripone
la sua fede in ciò che è «degno di fede», in ciò che è «saldo», altrimenti non
ci sarebbe motivo per credere. Pertanto, da quanto riportato, risultano due
aspetti importanti della fede: a) la realtà stabile in cui si crede, con la
possibilità di credere ragionevolmente a ciò che comunque oltrepassa la ragione
creaturale, ma che gode di conoscibilità; b) la fiducia da parte di colui che
crede, che lo impegna integralmente, considerando che ciò in cui crede è
stabile e perciò può fidarsi della sua parola.
In latino, al termine ʼāman corrispondono fides, credere, veritas; al termine baṭaḥ corrispondono spes, sperare, confido (Cfr. X. Leon-Dufour, Dizionario di Teologia Biblica, Marietti 1965, p. 326. Titolo originale: Vocabulaire de Theologie Biblique, Les Editions du Cerf).
A questo punto è alquanto
obbligatorio inserire colei in cui la fede ha trovato la sua massima
espressione: la Vergine Maria. Due passi risultano estremamente incisivi:
l’annuncio dell’angelo a Maria (Lc 1,26-38) e il successivo saluto di
Elisabetta (Lc 1,39-45).
Due passi che
richiederebbero un trattato, per cui si cercherà di evidenziare solo alcuni
aspetti.
Il primo è quello
riguardante l’annuncio dell’angelo, al quale Maria crede fermamente e
sapientemente, constatando la solidità del contenuto del messaggio, lei che più
di ogni altra creatura era in piena sintonia con la volontà di Dio. Il secondo
punto, riguardante il coinvolgimento pieno di Maria, viene reso manifesto dalle
parole di Elisabetta: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo
grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? […] E beata
colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto» (Lc
1,42-45). Al riguardo, risultano importanti le parole di san Giovanni Paolo II:
Nell’annunciazione,
infatti, Maria si è abbandonata a Dio completamente, manifestando «l’obbedienza
della fede» a colui che le parlava mediante il suo messaggero e prestando «il
pieno ossequio dell’intelletto e della volontà». Ha risposto, dunque, con tutto
il suo «io» umano, femminile, e in tale risposta di fede erano contenute una
perfetta cooperazione con «la grazia di Dio che previene e soccorre» e una
perfetta disponibilità all’azione dello Spirito Santo, il quale «perfeziona
continuamente la fede mediante i suoi doni» (Redemptoris mater, 13).
Estremamente
importante il fatto che anche l’atto di credere è supportato da Dio, dalla sua
grazia.
Inoltre,
Maria
ha pronunciato questo fiat mediante la fede. Mediante la fede si è
abbandonata a Dio senza riserva e «ha consacrato totalmente se stessa, quale
ancella del Signore, alla persona e all’opera del Figlio suo». E questo figlio
– come insegnano i Padri – l’ha concepito prima nella mente che nel grembo:
proprio mediante la fede! (Ibid.).
Questo
è ciò che emerge, brevemente, da uno sguardo sulla «fede». Si dovrà trattare
l’argomento in modo più sistematico, ma per questo si richiede altro spazio, includendo
ciò che comporta l’atto di fede e l’aspetto circa la «ragionevolezza della
fede».
Gabriele Cianfrani