Blog di informazioni e riflessioni su quanto concerne temi cristiani

giovedì 30 aprile 2020

PERICOLI "NASCOSTI"

aprile 30, 2020 Posted by Gabriele Cianfrani , No comments



Il mondo dell'occulto, a differenza del passato – poiché tale mondo ha origini molto remote e non recenti –, oggi pare essersi diffuso in maniera tale da tradire il significato del suo stesso nome (« occulto » vuol dire « nascosto »), poiché risulta essere fin troppo visibile... Una visibilità che quasi sembra esser divenuta così evidente da risultare di carattere « abituale », tanto il mondo dell'occulto è presente. Se una pratica negativa risultasse abituale e dunque svolta senza che vi si prestasse particolare attenzione, il risultato sarebbe un accumulo quotidiano, abituale di esplosivo, il cui danno una volta avvenuta l'esplosione risulta essere tanto più forte e violento quanto più esplosivo si è accumulato. Anzi, la pratica occulta non attende neanche che si giunga ad un punto ben preciso per dar luogo alle sue conseguenze, poiché risulta essere veleno sotto l'aspetto di bevanda innocua. Il punto è che sempre di veleno si tratta – e di quello del serpente antico – e sempre reca avvelenamento! Di cosa? Dell'anima e del corpo. Magari le conseguenze non emergeranno subito dopo una pratica occulta, ma comunque emergeranno e, più pratiche occulte vengono svolte, più veleno si accumula a danno della propria anima e del proprio corpo. A mio parere tutto questo risulta essere un vero e proprio successo da parte del Satana, rendendo il mondo dell'occulto e le pratiche ad esso connesse come un qualcosa che appartenga alla quotidianità di molte persone... Il Satana agisce sempre nel nascondimento e con tale mondo agisce (quasi) indisturbato. Tanto chi gli dice qualcosa se il tutto fa parte della sfera dell'abitudine (seppur infernale)! 
L'occultismo consiste nel cercare dei poteri superiori con scopo di dominazione, oppure nell'approfittare dei poteri che vengono trasmessi attraverso una particolare iniziazione. 

Ovviamente il problema odierno è che o non si crede affatto al mondo dell'occulto o si crede in maniera sconclusionata, ad eccezione di qualcuno! 
Purtroppo è ancora presente la parola « eccezione », la quale indica che la presa di coscienza di tale mondo infernale, per quello che è, risulta misera. 
Tante sono le pratiche occulte ed alcune sono: cartomanzia, chiromanzia, astrologia (oroscopo e altro), magia (bianca, nera, rossa), il maleficio (amatorio, venefico, di legatura, di omeopatia o transfert, di putrefazione e anche di possessione), il pendolino magico, l'utilizzo della tavola ouija, la cristalloterapia, la pranoterapia (quella vera e propria con le sue origini)! Ci sono anche le sedute spiritiche, con una vasta gamma di nomi, ossia: negromanzia, medianità, channeling, spiritismo... Tutti nomi che rimandano alle sedute spiritiche. Beh poi si giunge al fondo, alla massima espressione oscura dell'occultismo, ossia al satanismo (razionalista, occultista, acido o selvaggio, luciferino). Un accenno, nel vero senso della parola, dato che l’argomento è molto vasto: vi sono pratiche, e qui il discorso guadagna delicatezza, appartenenti a diverse culture, come ad esempio il voodoo, la macumba, la candomblè, la santeria cubana (e tanto altro…), che senza dubbio meritano attenzione, ma ad un cristiano non si addicono, e ciò non può non essere espresso. Nella Scrittura vi sono passi riguardanti il popolo d’Israele circa la preservazione nella corretta condotta cultuale (Cfr. Dt 13,2-6; 1Sam 26,19; 2Re 5,17; Sal 81 [80], 10; Sap 14,22-31; Is 43,11-12…) e anche dei veri e propri ammonimenti (Cfr. At 8,18-25; Gal 5,19-21; …). Circa lo yoga: è una pratica religiosa molto antica e vasta, e per il fatto stesso di esser tale merita rispetto, per cui non è possibile riportare in modo esauriente l’argomento. Nel caso specifico non si fa riferimento alla pratica religiosa in quanto tale, ma alla stessa distorta dalla catastrofica “New Age”, la quale risulta essere una vera e propria realtà sincretistica, una miscela eterogenea di pratiche, da condurre alla conciliazione dell’inconciliabile, tale da distorcere la pratica stessa dello yoga. C’è da dire una cosa però, ossia che nonostante ciò, non ci sarebbero problemi se il tutto avesse come scopo una semplice ginnastica, ma nel momento in cui vi fosse la comparsa di termini quali “prana”, “chakras” e “mantra”, allora la situazione cambierebbe radicalmente. Questo poiché ci si discosterebbe totalmente dalla realtà cristiana (per approfondimenti circa la meditazione cristiana: Card. Joseph Ratzinger, Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica su alcuni aspetti dellameditazione cristiana, 15 ottobre 1989). Questi ultimi sono aspetti culturalmente molto vasti, i quali richiedono certamente di essere approfonditi ed esposti in maniera almeno soddisfacente e con rispetto, che non può mancare, ma penso sia giusto esporre il fatto che l’identità cristiana è un’altra cosa, è un discorso totalmente diverso e non è possibile accettare commistioni di alcun tipo. Riprendendo, per molti l’occultismo non rappresenterebbe nulla se non una sorta di gioco senza alcun pericolo, ma per un cristiano così non è… o almeno non dovrebbe esserlo! 
La Scrittura presenta passi estremamente chiari in merito a tali pratiche ed alcuni sono: Lv 19,26; Lv 19,31; Dt 18,10-12…
In merito alla superstizione, c’è da dire che anch’essa conduce all’occultismo. La pratica di togliere il “malocchio”, altro non è che una forma di magia bianca – di qualunque colore sia è sempre di origine diabolica – e quindi siamo nel mondo dell’occulto. Ma vi sono anche altre pratiche che si mascherano astutamente come il loro “autore” e che si mostrano in veste del tutto benevole, ma che in realtà son tutt’altro… Alcune di queste pratiche sono: il dolce di Padre Pio, la catena di Sant’Antonio, gli olî di San Giuseppe o di San Raffaele – con le loro complesse preparazioni – ed altre di questo genere. Beh queste pratiche non sono altro che superstizione. Sono pratiche che escludono l’intervento della Chiesa attraverso i suoi ministri sacri. L’olio di San Giuseppe, se consideriamo quello preparato con i gigli, e non l’olio autentico benedetto dal sacerdote, altro non è che superstizione, sia il risultato sia la preparazione stessa. Il dolce di Padre Pio – come se la ricetta l’avesse data lui, e inoltre San Pio digiunava spessissimo!... – è una superstizione bella e buona! Non è possibile attribuire un potere ad un oggetto poiché di potere non ne ha. Gli oggetti autenticamente sacri sono efficaci in base alla fede della persona, ovviamente la fede in Dio. Ma nel caso di questi presunti olî, dolci e catene, non vi è proprio nulla di sacro. Semmai vi è una sorta di magia, ma nulla di sacro in quanto sono tutte pratiche che esulano dall’autentica fede riportata nella Bibbia ed espressa immensamente dalla Chiesa. In poche parole “il fai da te”, come in questo caso, è una trappola ben piazzata. La Chiesa mette a disposizione mezzi straordinariamente efficaci per aiutare la persona nel cammino di fede, dunque non occorre far ricorso a pratiche strampalate, bislacche che portano fuori dalla genuina fede in Cristo, con conseguenze terribili.
Insomma, l’argomento è molto vasto, ma si cercherà di scrivere qualcos’altro.


di Gabriele Cianfrani

mercoledì 22 aprile 2020

CONSERVA L'ORDINE E L'ORDINE CONSERVERA' TE



Siamo ormai giunti all'apprensione del grande numero di decessi a causa della presenza di questo coronavirus (COVID 19), non solo in Italia, ma anche in altre parti del mondo. Su cosa si potrebbe muovere la riflessione? Quali domande potrebbero venir fuori da tutto ciò? E Dio dov'è? È possibile elevare la parola come il salmista, chiedendo a Dio fino a quando continuerà a tenerci in oblio? Per sempre? (Sal 13 [12],2). Insomma, cosa dire?
Vorrei tentare di metter su una breve riflessione.
Tra le tante parole che si sentono, alcune sono quelle rivolte ai medici e agli operatori sanitari, i quali vengono definiti come “eroi”. Questo è senza dubbio giusto ed è doverosa tale riconoscenza, ma il problema è che “eroi” non si diventa da un giorno all’altro. L’eroicità emerge in precisi momenti, ma affinché possa emergere è necessario che questa venga coltivata nel quotidiano. Pertanto, i medici e gli operatori sanitari, non sono eroi solo in questo momento, ma sempre e nel quotidiano. È davvero indecoroso definirli tali solo, come dire, nel momento del bisogno. Del resto, spesse volte, si fa così anche con Dio, ossia ci si ricorda di Lui solo nei momenti drammatici e si parla di alcune persone definite eroiche solo ora, ma quando erano ancora in vita sono state per diverse volte “trascurate”, per non ricorrere ad altre parole… Tuttavia è possibile l’atto eroico, ma essere “eroe”, essere “valorosi” è il risultato non di un atto quando questo urge, ma il risultato della vita quotidiana.
Ora, di eroi ve ne sono molti e in diversi campi, e si spera che non vengano riconosciuti tali solo al verificarsi di una situazione drammatica, ma sempre. In questo, credo che, ancora una volta, San Paolo sia illuminante. Infatti, come il corpo, pur essendo uno, ha molte membra, e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. […] Ora, il corpo non risulta di un membro solo, ma di molte membra. Se il piede dicesse: <<Siccome io non sono mano, non appartengo al corpo>>, non per questo non farebbe parte del corpo. E se l’orecchio dicesse: <<Siccome io non sono occhio, non appartengo al corpo>>, non per questo non farebbe parte del corpo. Se il corpo fosse tutto occhio, dove sarebbe l’udito? Se fosse tutto udito, dove l’odorato? Ma Dio ha disposto le membra in modo distinto dal corpo, come ha voluto. Che se tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo? Invece molte sono le membra, ma uno solo il corpo. E l’occhio non può dire alla mano: <<Non ho bisogno di te>>; né la testa ai piedi: <<non ho bisogno di voi>>. Ché, anzi, quelle membra del corpo che sembrano più deboli sono più necessarie; e quelle che riteniamo più ignobili le circondiamo di maggior rispetto, e quelle indecorose ricevono più riguardo, mentre quelle decorose non ne hanno bisogno (1Cor 12,12-24).
Certamente questo brano si riferisce alla nuova nascita per mezzo del Battesimo, per cui battezzati in un solo Spirito, ma è estremamente utile anche per quanto sta accadendo. Sarebbe bene che ci si ricordasse delle diverse membra del corpo non soltanto nel momento di maggior bisogno, ma sempre. Inoltre, preme fortemente portare a galla il fatto che la “persona” in quanto tale, compresa quella umana, è comprensibile solo attraverso l’approccio filosofico, con l’ulteriore valorizzazione di quello teologico. O meglio, è proprio all'interno di un'esigenza teologica che sorge il discorso sulla "persona", senza la quale esigenza non ci sarebbe stata tale ricerca. La ricerca sulla “persona” ha impegnato entrambi gli ambiti, tale termine affonda le sue radici in queste due scienze (la filosofia e la teologia).
In questa realtà si parla di “persona umana” e la persona ha valore incalcolabile. Non vi potrà mai essere una semplice riduzione al puro numero. Se proprio si volesse parlare di numero, questo sarebbe certamente infinito, poiché la “persona” significa quanto di più nobile si trova in tutto l’universo, cioè il sussistente di natura razionale, e il massimo grado della persona risiede in Dio. Per questo, dovendosi attribuire a Dio tutto ciò che comporta perfezione, dato che nella sua essenza egli contiene tutte le perfezioni, è conveniente che tale nome di persona si dica di Dio (Cfr. S. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia, q. 29, a. 3).
Ma ci sarebbe di più.
Sembra che a volte si voglia propendere per una sorta di indipendenza persino ontologica. Ciò risulta davvero un’illusione, in quanto la realtà stessa nella sua totalità dipende, nel suo essere, da Dio. Tale dipendenza è nobilitante e non screditante, e tutto questo per misericordia di Dio. La giustizia consiste nella retribuzione dei meriti e perciò nella creazione non si può parlare di giustizia […]. Nell’opera della creazione si può parlare di misericordia perché, creando, Dio toglie il più grande di tutti i difetti, vale e dire il non essere (Cfr. Ibid., IV Sent., d. 46, q. 2, a. 2). Pare che quasi non si pensi più che ogni respiro è reso possibile poiché è garantito da Dio, senza il quale nulla sarebbe. Il dramma è quello di non riconoscere più che se l’uomo è in grado di far qualcosa, compresa la ricerca scientifica – essa è dono dell’Altissimo e va sviluppata in tutte le possibilità, non a caso grandi santi hanno promosso la ricerca scientifica –, è per concessione di Dio, e quando l’uomo deraglia commette peccato, abusando di ciò che Dio incessantemente gli concede. La mancata riconoscenza si pone non solo intellettualmente, ma anche sul piano esperienziale.
Non sarà mai possibile “incolpare” Dio, dato che l’uomo è dotato di libero arbitrio, e sarebbe bene che se ne rendesse conto, nel bene e nel male. Il fuoco è prezioso per l’uomo, per la cottura degli alimenti, per riscaldarsi e altro, tanto che nell’antichità e in particolare riferimento al filosofo Empedocle, il fuoco era considerato tra i quattro elementi che stanno a fondamento del mondo (fuoco, aria, terra e acqua), ed è appunto sua questa dottrina. Ma se si avvicinasse la mano, convinti di poter dominare il fuoco e convinti della propria indipendenza e invincibilità, cosa accadrebbe? Ci si scotterebbe, ci si ustionerebbe… E la colpa sarebbe del fuoco? Non credo.
Questo è semplicemente un esempio e non intendo minimamente paragonare Dio al fuoco, ovvio, solo esprimere che ciò che è per sé un bene risulta essere male nel momento in cui a tale bene ci si rapporta erroneamente. Se poi si considera che Dio è il Bene sommo, si conclude che Egli non faccia cose buone e cose cattive, ma solo cose assolutamente buone e prima di tutto ontologicamente. Ma è chiaro che è sempre Dio a venire incontro all’uomo, è sempre Dio a precedere l’uomo e ad aspettarlo per incontrarlo, così come attesta l’episodio dell’incontro di Gesù con la samaritana (Cfr. Gv 4,6-7). L’unica cosa da fare è presentarsi a questo incontro. Così come Egli sta alla porta e bussa, l’unica cosa da fare è aprire la porta e lasciare che entri e così cenare con lui (Cfr. Ap 3,20). Dio non vuole la morte di nessuno, ma la conversione e la vita (Cfr. Ez 33,11).
Per questo occorre che si prenda atto del valore dell’ordinarietà e non della straordinarietà. Tanti sono gli sguardi rivolti ai corpi celesti distanti anni luce, ed è giusto, ma a volte perdendo quella meraviglia che si trova anche e già in una semplice ma al contempo profonda goccia d’acqua.
Si ha l’impressione che molte volte ci si costruisca il proprio labirinto, con il rischio di risultare il Dedalo di se stessi e di andare incontro al Minotauro delle proprie azioni. Ma l’uomo non è il risultato del puro caso e non è stato gettato casualmente in una parte dell’universo. Tutti i giorni dell’uomo sono dinanzi a Dio prima ancora che esistano (Cfr. Sal 139 [138],16), e mai l’uomo potrà essere sostituito dalla tecnologia, la quale è un prodotto dell’uomo stesso ed un ampliamento delle sue azioni, ma non potrà mai sostituire la persona in quanto tale.
Spesse volte ci si rende conto che tante sono le luci, ma poche le volte in cui si considera la fotocamera dalla quale la luce proviene e meno ancora la persona che sta dietro alla fotocamera. La vita porta la luce, ma non vale il contrario. Non è possibile restare abbagliati dalle tanti luci e permanere nell’abbaglio, perdendo il fine ultimo della vita, ossia la realizzazione della medesima in Dio. Due sono le strade: realizzazione della propria vita in Dio o nel nulla. Altre strade non se ne vedono. Il problema sta al principio di tutto: Dio o il nulla, il caso trova senso non in se stesso, ma solo se facente parte della totalità dell’ordine, che non trova origine nel nulla. E realizzare la vita in Dio comporta anche il prestare attenzione a tutto, alla ordinarietà e quotidianità della vita, apprezzando ogni momento. Non si può volgere lo sguardo ai cosiddetti “valori” della vita solo in momenti drammatici, dato che in fin dei conti, se su questi valori non è stata impostata la vita prima del sorgere dei drammi, difficilmente si guarderà a questi autenticamente. Ma sarebbe importante constatare che anche i “valori” non hanno alcun valore in se stessi, se non in riferimento al fine ultimo: Dio.
Pertanto, non è bene ricordarsi di quanto ci si dovrebbe ricordare solo nei momenti in cui ci si trova costretti a farlo, dato che non vi sarebbe la certezza di riuscirci qualora si provasse a farlo. Non è bene ricordarsi degli “eroi” solo in casi come questi – mi riferisco a quanti fanno degli slogan i veicoli (falsi) della verità. Non è bene pensare che un domani l’uomo possa raggiungere uno stato in cui riuscirà a governare l’intera realtà, come se la realtà derivasse da lui, dato che ciò corrisponderebbe alla sua distruzione, semplicemente per il motivo che tal prerogativa è del Creatore, non della creatura. Nell’ordinario Dio agisce attraverso l’uomo e sarebbe bene che si prendesse atto di ciò, altrimenti si tenderà sempre a guardare lo straordinario, perdendo di vista che gli “eroi” sono proprio coloro che cercano di vivere lo straordinario nell’ordinario.
Molte volte ci si chiede dove sia Dio, ma poche sono le volte in cui ci si chiede dove sia l’uomo. Tante sono le volte in cui si parla di “responsabilità”, così tante volte che la stessa parola ha subìto un vero e proprio abuso, perdendo il suo sapore e il suo significato. In questo modo è come se si volesse far diventare straordinario ciò che è ordinario, il contrario di quanto scritto prima.
Insomma, per concludere, è chiaro che oltre ad esserci una noncuranza dell’ordinarietà della vita, che conduce a riflettere sul fondamento della vita stessa e del suo valore, vi è anche una mancanza di ordine, e in questi giorni pare evidente.
Dio è onnipresente, per cui è presente in ogni istante. Il problema non è se Dio sia presente, ma se l’uomo sia presente a Dio e a se stesso… Ma già il porsi tale problema non è possibile se si guarda solo alla straordinarietà, poiché occorre prestare attenzione all’ordinarietà, nella quale si esprime l’ordine, che sarebbe bene recuperare, considerando sinceramente la realtà delle cose. E in tutto questo lo sguardo è rivolto a Colui senza il quale nulla sarebbe, e le parole del salmista non passeranno mai, perché la speranza ultima è sempre in Dio. Per cui, mi insultano i miei avversari quando rompono le mie ossa, mentre mi dicono sempre: <<Dov'è il tuo Dio>>. Perché ti rattristi anima, perché ti agiti dentro di me? Spera in Dio: ancora potrò lodarlo, lui, salvezza del mio volto e mio Dio (Sal 42 [41], 11-12). 

Serva ordinem et ordo servabit te – Conserva l’ordine e l’ordine conserverà te (Sant’Agostino).



di Gabriele Cianfrani

domenica 19 aprile 2020

LA MISERICORDIA

aprile 19, 2020 Posted by Gabriele Cianfrani , No comments
Immagine originale dipinta dall'artista Euginiusz Kazimirowski, sotto le indicazioni di Santa Faustina Kowalska.
Gesù confido in Te!

II Domenica di Pasqua - Festa della Divina Misericordia.

Il 22 febbraio 1931 Santa Faustina Kowalska ricevette l'ordine da parte di Gesù di dipingere la Sua immagine secondo il modello che Gesù stesso le mostrò. 

La sera, stando nella mia cella, vidi il Signore Gesù vestito di una veste bianca: una mano alzata per benedire, mentre l'altra toccava sul petto la veste, che ivi leggermente scostata lasciava uscire due grandi raggi, rosso l'uno e l'altro pallido. Muta tenevo gli occhi fissi sul Signore; l'anima mia era presa da timore, ma anche da gioia grande. Dopo un istante, Gesù mi disse: « Dipingi un'immagine secondo il modello che vedi, con sotto scritto: Gesù confido in te! Desidero che questa immagine venga venerata prima nella vostra cappella, e poi nel mondo intero. Prometto che l'anima, che venererà quest'immagine, non perirà. Prometto pure già su questa terra, ma in particolare nell'ora della morte, la vittoria sui nemici. Io stesso la difenderò come Mia propria gloria » (Faustina Kowalska, Diario. La misericordia divina nella mia anima, LEV, Città del Vaticano 2010, pp. 74-75). 

Il compito di realizzare l'immagine fu affidato all'artista Eugeniusz Kazimirowski, che la realizzò sotto le indicazioni della Santa Faustina e l'immagine venne ultimata nel giugno del 1934. 
Papa San Giovanni Paolo II volle che alla seconda Domenica di Pasqua fosse attribuita la denominazione "Domenica della Divina Misericordia", con il risultato del Decreto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti del 5 maggio 2000 (Decr. Misericors et miserator) che istituisce la festa della Divina Misericordia, per volere appunto di San Giovanni Paolo II. Vi è possibilità di ottenere sia l'indulgenza plenaria sia quella parziale, alle consuete condizioni che possono essere lette nel Decreto della Penitenzieria Apostolica del 29 giugno 2002.

Il termine "misericordia" si trova ovviamente nella Scrittura e va al cuore della fede, esprimendo la dedizione di Dio nei confronti del peccatore. 
Diversi sono i termini tradotti con "misericordia": la parola ebraica hesed esprime soprattutto l'atteggiamento fedele di Dio alla sua alleanza (Cfr. Es 34,6; 2Sam 2,6; Is 55,3...), e in tal caso anche l'uomo deve essere misericordioso ed essere fedele all'alleanza. Ma anche l'atteggiamento di Gesù verso i sofferenti; la parola ebraica rehem sta ad indicare il seno materno, per cui l'amore che la madre prova verso suo figlio (Cfr. Is 49,15), ma anche l'amore di Dio verso il suo popolo, col quale stringe un'alleanza (Cfr. Dt 13,18; 2,21). Ve ne sono altri di termini. Ma è chiaro che la misericordia di Dio si manifesta espressamente nei confronti del figlio perduto, poiché Dio sa della colpa della quale tale figlio si è macchiato e gli va incontro, così come il padre misericordioso che prova compassione per il figlio (Cfr. Lc 15,20). 
Ma a Dio compete la misericordia? Certamente ed in modo massimo, non secondo la passione o il sentimento, ma secondo gli effetti che produce. Ora, "misericordioso" si dice colui che in un certo modo ha un "cuore misero", nel senso che alla vista delle miserie altrui è preso da tristezza come se si trattasse della propria miseria, adoperandosi affinché la miseria dell'altro venga rimossa, come se si trattasse appunto della propria miseria. Questo è l'effetto della misericordia, ma rattristarsi in tal modo non si addice a Dio, ma certamente gli si addice in massimo grado il liberare da quella miseria, da qualsiasi difetto. La liberazione dalla miseria intesa come difetto avviene tramite la perfezione di bene. Il difetto è mancanza di perfezione. Ora, poiché comunicare le perfezioni dipende dalla bontà di colui che le comunica, e Dio è il Bene sommo, è chiaro che si addice a Dio in sommo grado rimuovere ogni difetto e di conseguenza ogni miseria. E se si considera che le perfezioni concesse da Dio eliminano ogni deficienza - la deficienza è appunto una mancanza -, abbiamo la misericordia (Cfr. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia, q. 21, a. 3). Così nel caso della liberazione dalla schiavitù nella terra d'Egitto e soprattutto dalla liberazione dalla schiavitù del peccato, con la passione, morte e risurrezione di Gesù. Pertanto, a Dio in quanto tale compete massimamente la misericordia, non perché in lui sia una passione come in una semplice persona umana, anche se nessuno più di Dio conosce la persona umana e il cuore della stessa - è Dio il Creatore e conosce alla perfezione le sue creature, anche il numero di globuli rossi del sangue e il numero di atomi di ogni cosa -, ma perché solo Dio può rimuovere ogni miseria. L'accoglienza della sua misericordia esige da parte nostra il riconoscimento delle nostre colpe (CCC, 1847).
La misericordia non è mai disgiunta dalla giustizia, ma è interessante il fatto che se per la giustizia occorre che vi sia la retribuzione dei meriti, prima della creazione ciò non era possibile, poiché nulla all'infuori di Dio esisteva. Dunque, nella creazione non sarebbe possibile parlare di giustizia, ma certamente si può parlare di misericordia perché, creando, Dio toglie il più grande di tutti i difetti, ossia il non essere, e questo gratuitamente (Cfr. Tommaso d’Aquino, IV Sent., d. 46, q.2, a. 2).

Buona e santa festa della Divina Misericordia!


Gabriele Cianfrani

sabato 18 aprile 2020

CHI SONO GLI ANGELI

aprile 18, 2020 Posted by Gabriele Cianfrani No comments

Il tema degli angeli è senza dubbio uno di quelli più interessanti, quale che sia il punto da cui parta l'osservazione. Tale tema gode di una importanza molto rilevante all'interno delle Sacre Scritture, tant'è che la storia di Israele, fino a giungere ai nostri giorni, è permeata in maniera notevole dalla presenza degli angeli. Esseri spirituali che oggi come in passato sono presenti più che mai, con la sola differenza che oggi pare godano di un'attenzione ridotta o male orientata... Nel corso dei secoli, sia i grandi Padri della Chiesa sia i grandi teologi della Scolastica hanno approfondito sempre più questa realtà legata indissolubilmente a quella di Dio; realtà che non di rado è stata affrontata in passato con uno spirito alquanto eretico, fuori dalle Sacre Scritture. Ma alcune cose simili si verificano anche oggi... Per cui converrebbe attingere non solo dal Catechismo della Chiesa Cattolica, ma anche da colui che ha raccolto ed esposto in maniera assolutamente mirabile le verità e le caratteristiche del mondo angelico - non a caso viene chiamato "l'Angelico o Dottore angelico"-: San Tommaso d'Aquino.
* 328. L'esistenza degli esseri spirituali, incorporei, che la Sacra Scrittura chiama abitualmente angeli, è una verità di fede. La testimonianza della Scrittura è tanto chiara quanto l'unanimità della Tradizione.
329. Sant'Agostino dice a riguardo: << "Angelus" offici nomen est, [...] non naturae. Quaeris nomen huius naturae, spiritus est; quaeris officium, angelus est: ex eo quod est, spiritus est, ex eo quod agit, angelus - La parola "angelo" designa l'ufficio, non la natura. Se si chiede il nome di questa natura, si risponde che è spirito; se si chiede l'ufficio, si risponde che è angelo: è spirito per quello che è, mentre per quello che compie è angelo>>. In tutto il loro essere, gli angeli sono servitori e messaggeri di Dio. Per il fatto che << vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli >> (Mt 18,10), essi sono << potenti esecutori dei suoi comandi, pronti alla voce della sua parola>>.
330. In quanto creature puramente spirituali, essi hanno intelligenza e volontà: sono creature personali e immortali. Superano in perfezione tutte le creature visibili. Lo testimonia il fulgore della loro gloria. (Catechismo della Chiesa Cattolica)
*
[...] Le realtà che sono infime devono dunque essere composte di materia e forma. Quelle cose invece che sono supreme fra gli enti creati si avvicinano sommamente alla similitudine divina, né vi è in esse la potenza a essere o a non essere, ma hanno ricevuto da Dio per creazione un essere sempiterno [si tratta degli Angeli]. Ora, essendo proprio della materia essere in potenza all'essere che è dato dalla forma, questi enti nei quali non vi è potenza all'essere o al non essere non sono composti di materia e forma, ma sono solo forme sussistenti nel proprio essere che hanno ricevuto da Dio. Queste sostanze sono quindi necessariamente incorruttibili: infatti in tutte le realtà corruttibili vi è la potenza al non essere, mentre in queste non vi è tale potenza, come si è detto: dunque sono incorruttibili. Ancora. Niente si corrompe se non per la separazione della forma: infatti l'essere segue sempre la forma; ora queste sostanze , essendo forme sussistenti, non possono essere separate dalla loro forma, per cui non possono perdere il proprio essere: sono quindi incorruttibili. (San Tommaso d'Aquino - Compendio di Teologia, cap. 74)

Il viaggio continua...

giovedì 16 aprile 2020

QUANDO LE PAROLE "PADRE", "MADRE" E "FIGLIO" SONO TUTT'ALTRO CHE SEMPLICI PAROLE O CONVENZIONI

aprile 16, 2020 Posted by Gabriele Cianfrani No comments


Certamente Simba non avrebbe concluso granché se avesse seguito le parole dei suoi nuovi amici Timon e Pumbaa, nonostante la loro simpatia e, per alcuni versi, il loro sostegno in diversi momenti. Ma è chiaro che, se da una parte vi era un aiuto, dall'altra vi era la perdita della stessa identità di Simba. Del resto Simba non solo stava ignorando chi egli fosse, in quanto legittimo erede al trono, ma stava addirittura ignorando prima di tutto di essere un… leone! Per cui Simba stava ignorando addirittura la sua natura. 
In tal caso risulta determinante l’incontro con Rafiki, il quale esprime a Simba una verità imprescindibile, o meglio, la verità dalla quale non è possibile prescindere: << sei il figlio di Mufasa! >>.
All’udir ciò Simba non può fare a meno di seguire Rafiki, poiché la verità, per quanto possa essere oscurata o distorta, non potrà mai essere obliata. Ignorata sì oppure in parte dimenticata, ma annullata no. Anzi, più si cerca di oscurarla più essa pretende di emergere e di occupare il posto che le spetta. 
Simba non aveva rimosso affatto di essere figlio di Mufasa, ma a quanto pare lo stava ignorando e in parte quasi dimenticando, e ciò lo ha portato ad una vera crisi, al solo ricordo di ciò che Mufasa gli disse e che il padre di Mufasa disse a lui (scena riguardante le stelle, in riferimento ai re del passato). 
Ed ecco che Simba segue Rafiki per trovare, o meglio, per riscoprire la verità pulsante e inclusa in quelle stesse parole di Rafiki (sei il figlio di Mufasa). In quell’essere “figlio di Mufasa” si trova la verità imprescindibile che riporta Simba ad essere non solo ciò che è per natura (un leone), ma addirittura ad essere ciò che è chiamato ad essere, ossia a divenire re. 
Ma proprio in quel momento di riscoperta della verità, in quel momento in cui Simba si fa avanti per riscoprirla, per ritrovarla – poiché mai poteva andare perduta –, Mufasa gli va incontro, il padre gli va incontro. 
Le parole di Mufasa sono quelle di un padre verso il figlio, sono incisive, scuotono Simba. Essendo Simba figlio di Mufasa e di Sarabi, in tal caso l’unico, è anche il legittimo re, e le parole di Mufasa servono anche a far “riemergere” – poiché la verità di fondo c’è sempre – il fatto che Simba è chiamato ad essere re. D’altra parte, ciò evidenzia anche il fatto che il padre e la madre sono figure che rimandano alla regalità, poiché il figlio erediterà sempre una cosa della quale sarà sempre debitore: la vita. 
Ecco che Mufasa, nel dire a Simba di essersi dimenticato di chi egli fosse e di conseguenza anche del padre, pur avendo tutto, stava per perdere tutto… A questo punto subentrano quelle parole che rimarranno indelebili in Simba: << RICORDATI CHI SEI! >>. Tali parole ritorneranno proprio nel momento in cui Simba salirà sulla rupe dei re, prendendo il suo posto di re, certo, ma prima ancora quello di “figlio”. 
Una scena, questa della riscoperta per Simba della verità di essere il figlio di Mufasa, che non solo è splendida in sé, ma porta alla mente anche il “quarto comandamento”. Tale comandamento, quello di “onorare il padre e la madre”, rivela una verità irrinunciabile già solo per essere appunto il “quarto”, dacché fa da ponte tra Dio e il prossimo. 
In merito, mi avvalgo delle parole dell’Angelico (San Tommaso d’Aquino), riportate nel Commento ai Dieci Comandamenti:
"Ora, tra tutti i congiunti sono a noi più congiunti il padre e la madre, e perciò, come dice Ambrogio [Commento a Luca 7,136], in primo luogo dobbiamo amare Dio, in secondo luogo il padre e la madre […]. Inoltre, i genitori danno al figlio tre cose: il fondamento quanto all’essere, come è detto in Sir 7[,29]: Onora tuo padre e non dimenticare i dolori di tua madre. Ricorda che se non fosse per loro tu non saresti; il nutrimento o il sostegno quanto alle necessità della vita: infatti, come è detto in Gb 1[,21], il figlio entra nel mondo nudo, ma è soccorso dai genitori; terza cosa, l’educazione […]. Quindi, i figli ricevono dai genitori l’essere, il nutrimento e la disciplina. E visto che da loro riceviamo l’essere, dobbiamo onorarli più dei signori da cui riceviamo solo le cose, fatta eccezione per Dio, da cui riceviamo l’anima […]".
*
Beh, è chiaro che quando Simba ritorna a casa per prendere il posto che gli spetta, ci vanno bene anche Timon e Pumbaa. Da semplici suricato e facocero a consiglieri del re!

Gabriele Cianfrani



QUANDO LA MADONNA APPARVE AL VESCOVO

aprile 16, 2020 Posted by Gabriele Cianfrani No comments
<< Anch’io posso testificare, che, recatomi nel Luogo Sacro, riconcentrandomi nella preghiera, ebbi l’Apparizione della Vergine >>.


+ Mons. Francesco Macarone Palmieri Vescovo di Boiano

Basilica Minore dell'Addolorata in Castelpetroso (IS)


È quanto avvenne presso la contrada “Cesa tra Santi” di Castelpetroso, un paese molisano della provincia di Isernia. Tutto ebbe inizio il 22 marzo del 1888, quando la trentacinquenne Fabiana Cicchino, tornando a casa dopo aver condotto al pascolo il gregge, si rese conto che mancava un agnello. Nel tornare indietro trovò l’agnello mancante accanto ad una piccola grotta situata in un crepaccio, come se stesse in ginocchio. Resasi conto che una luce balenava da quella grotta, dopo essersi avvicinata per osservare cosa fosse tale fenomeno, vide chiaramente la Vergine Maria leggermente inginocchiata, con il Cristo morto coperto di piaghe disteso ai suoi piedi, mentre la trentaquattrenne Serafina Valentino Cifelli che si trovava anch’ella fuori per condurre il gregge al pascolo, ebbe la visione celeste il 1° aprile dello stesso anno, che tra l’altro era il giorno di Pasqua. Tale evento fece sì che l’allora Vescovo diocesano Mons. Francesco Macarone Palmieri, accompagnato da alcune autorità ecclesiastiche, si recasse nel luogo esatto il giorno 26 settembre del 1888, per un’accurata verifica svolta, da come traspare, personalmente. Ebbene proprio in quell’occasione, la visione celeste si mostrò anche ad egli e per ben tre volte! Questo fatto non può essere certamente trascurato, a maggior ragione se si considera che la prima autorità ecclesiastica competente ad emettere quantomeno un giudizio, ad esprimere se determinati eventi siano o meno “degni di fede”, sia proprio il Vescovo locale. Ciò fa di Mons. Francesco Macarone Palmieri l’unico Vescovo veggente della storia che al momento si ricordi. Inoltre, la notizia delle apparizioni della Vergine Addolorata nel paese molisano giunsero fino al bolognese Carlo Acquaderni, direttore della rivista “Il Servo di Maria” e fratello di Giovanni Acquaderni (cofondatore dell’attuale Azione Cattolica). Devoto della Madonna, Carlo Acquaderni si recò a Castelpetroso verso la fine del 1888 portando con sé il figlio Augusto di dodici anni, affetto da tubercolosi ossea. Giunti sul posto, il giovane Augusto bevve dell’acqua della sorgente scaturita qualche mese prima ai piedi della rupe e guarì istantaneamente, come altre persone in seguito. Per di più, verso gli inizi del 1889, la Vergine Addolorata apparve anche a Carlo Acquaderni e al figlio, come apparve anche a tante altre persone, le quali raccontarono di aver visto anche diversi santi oltre alla Vergine talora con il cuore trafitto da sette spade. Tutto questo fu con certezza documentato e sottoposto al vaglio dell’Autorità diocesana fino al 1950. Ovvio che anche oggi non è possibile escludere nulla, come i benefici che molte persone riscontrano dopo aver bevuto dell’acqua di quel posto scelto dalla Beata Vergine Maria, ma sia chiaro, se il tutto avviene con “fede sincera”. Il 28 settembre del 1890 fu il giorno in cui vi fu la posa della prima pietra, per iniziativa di Carlo Acquaderni, il quale, insieme a Mons. Macarone Palmieri e all’ing. Francesco Gualandi si occupò dei lavori. Nel 1891 giunse dalla Polonia il primo pellegrinaggio estero e nel 1907, per la fervente devozione dei polacchi nei confronti degli eventi mariani di Castelpetroso, venne benedetta la prima cappella: la “Cappella dei Polacchi”. Il 6 dicembre 1973, Papa Paolo VI proclamò la Vergine Addolorata “Patrona del Molise”. Conclusi i lavori e consacrato nel 1975 da Mons. Carici, lo splendido Tempio mariano si presenta con due grossi campanili e sette cappelle, le quali rappresentano le sette spade, i sette dolori di Maria, orientate verso il centro del Santuario coperto da una mirabile cupola. Il primo Papa a far visita al Santuario fu San Giovanni Paolo II nel 1995, e pare non sia un caso se si considera che il primo pellegrinaggio estero avvenne dalla Polonia.
Nel 1997 fu il Card. Joseph Ratzinger, futuro Benedetto XVI, a visitare il Santuario, il quale nel 2013 verrà elevato alla dignità di Basilica minore, mentre il 2014 vedrà Papa Francesco recarsi pellegrino al Santuario dell’Addolorata. Importante è il percorso (la “Via Matris”) che collega il Santuario al luogo delle apparizioni. Un percorso di circa 750 metri immerso nella natura, percorribile a piedi, il quale consta di sette tappe, ossia i sette dolori di Maria, con la presenza di ammirevoli sculture bronzee ad altezza d’uomo realizzate dallo scultore molisano Alessandro Caetani. Ma vi è anche una strada percorribile con mezzi di trasporto. Si tratta di un luogo in cui ritrovarsi e ritrovare Dio mediante il silenzio, quel silenzio che spesse volte ed erroneamente viene inteso come solitudine e assenza, ignorando che il silenzio è il modo che consente di lasciare spazio all’ascolto. Nel silenzio è Dio che parla: noi ascoltiamo.

Gabriele Cianfrani

martedì 14 aprile 2020

LA LUCE E IL BUIO

aprile 14, 2020 Posted by Gabriele Cianfrani No comments

A volte pare che il 'buio' sia ciò che appare estraneo alla 'luce' - luce e buio non intesi cromaticamente - o ciò che non possa essere raggiunto da quest'ultima. Ma affermare che vi sia il buio occorre prima che si sappia cosa sia la luce, o magari qualora si volesse affermare che vi sia la luce occorre che si sappia cosa sia il buio, qualunque sia l'affermazione che si voglia esprimere. Ma sarebbe a partire dal buio che si giunge a determinare la luce o il contrario, partire dalla luce per poi determinare il buio? Dipende dall'essere ottimista o pessimista, come il vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto? Io non credo… Il 'buio' non è sinonimo di 'inesistenza' - dato che esiste - poiché se così fosse non potrei neanche affermare che il buio sia tale e per mancanza di mezzi reali; tanto meno ciò vale per la 'luce'. Ma se il 'buio' non rappresentasse ciò che non esiste, allora rappresenterebbe una esistenza, seppure oscura… ma pur sempre una esistenza. E se ciò fosse vero allora occorrerebbe che di questo, almeno in parte, se ne avesse la possibilità di prenderne coscienza. Ma non potrei prendere coscienza - penso - se non vi fosse modo alcuno che questo possa cadere sotto l'attenzione e risultare accessibile, comprensibile, se non per mezzo di ciò che mi renda questa possibilità: la luce. Se il 'buio' non è sinonimo di inesistenza ed è al contempo comprensibile, ciò non penso sia possibile attraverso il ‘buio’ stesso, dato che l'oscurità non lo consente. Ma se vi fosse possibilità di comprensione - e pare che sia così -, come può ciò che è 'incomprensibile' dar luogo a ciò che è 'comprensibile', se ciò che è incomprensibile è anche oscuro - se manca la luce… - e ciò che è comprensibile è anche chiaro? Sì, a volte ciò che si comprende può presentare aspetti 'oscuri', ma il principio fondante è 'chiaro'. Dunque se vi è possibilità, in generale, di comprensione, di accessibilità alla realtà, allora come punto primo vi è senz'altro la << luce >>! Il 'buio' è secondario e non primario. Per concludere, il garante di tale luce non può non essere che la Luce: Dio. Beh se così non fosse si cadrebbe nella inaccessibilità più assoluta e questo pare che, qualunque sia il punto dal quale ci si ponga, non sia ammissibile. Altrimenti non avrebbe senso neanche che un moscerino voli o che io respiri, quindi 'nulla' avrebbe senso… Ma il 'nulla' stesso è altrettanto incomprensibile, dato che 'siamo', ‘esistiamo’. In definitiva, per quanti momenti oscuri possano esserci, la certezza è che la luce arriva sempre prima del buio, dacché è il buio ad essere mancanza di luce e non la luce ad essere mancanza di buio, meno che mai che questi siano uguali ma opposti. Qualunque tipo di luce, se autentica, non può che fondarsi nella Luce: Dio, unico principio… E Dio non abbandona mai nessuno, neanche in quella oscurità che sembra inaccessibile.

Gabriele Cianfrani

IL CONTRASTO...

aprile 14, 2020 Posted by Gabriele Cianfrani No comments


Contrasto come opposizione o come rivelazione?

Alcune volte, portando avanti discussioni, sì in merito soprattutto alla Fede, ma anche riguardo a ciò che di più comune si trovi alla base di una discussione e su cui si possa argomentare, mi rendo conto che a volte sorgono dei "contrasti". È chiaro - forse non troppo in questo caso! -, questo è il segnale che vuol dimostrare che è finita,  che il discorso è giunto al termine in quanto una volta entrati in contrasto non è possibile argomentare ulteriormente… E così il risultato è un bel nulla! Tanta fatica finita nel niente! In quel preciso istante in cui sorge il contrasto sorgono anche, come conseguenza, le opposizioni, le diversità, per cui si viene avvolti da una cappa così negativa che conduce la persona stessa verso quella inesorabile esclusione.
Ma son convinto che ciò scaturisce da una visione di fondo universalmente negativa - per certi versi errata -, che oggi credo stia spadroneggiando alla grande, con lo scopo di una sorta di annullamento della diversità, senza contare che naturalmente la stessa diversità costituisce la vera unità e non il 'copia e incolla' l'uno dell'altro. Durante una particolare esperienza a Medjugorje è ritornata prepotentemente questa riflessione. Già con la mia compagnia eravamo circa cinquanta persone, ognuna con il suo campo d'azione (cardiologia, architettura, biologia, teologia, psicologia, impiegati, pensionati ecc.), se poi contassimo tutte le persone presenti a Medjugorje nella settimana di mia permanenza arriveremmo alle decine di migliaia… ognuna con la sua identità, prima naturale e poi professionale. Ma in questa diversità è stato possibile scorgere, o meglio, rendersi conto totalmente della unità in Dio. La diversità nell'unità e l'unità nella diversità… Sì, ma stiamo sempre nella Fede, occorre estendere il discorso anche all'esterno! Certo, e ciò è doveroso!
Ad esempio, se avessi intenzione di realizzare un dipinto su una tela bianca, utilizzando solo colori bianchi e magari schiaffarci anche la mia firma con lo stesso colore (bianco), certamente otterrei un risultato di forte espressione, tanto forte che la sola espressione percepibile sarà solo una: niente!
È ovvio che devo utilizzare colori diversi per fare in modo che tale dipinto sia una realtà concreta e 'comunicabile'. Ma se aggiungo colori 'diversi' genero 'contrasto'... E poi che succede? Beh succede che il dipinto ora ha un senso, è una realtà concreta ed esprime ciò che io volevo che esprimesse! In tal caso il contrasto è stato utile, anzi, necessario affinché si definisse ciò che occorreva definire e che non poteva essere se non vi fosse stato il contrasto. Anche per leggere una radiografia occorre il contrasto e addirittura anche la TAC si può effettuare con mezzo - guarda un po' - di contrasto… Ed è utile per salvare la vita!
Credo che per quanto il contrasto possa trasmettere aspetti negativi, in fondo, permette di cogliere concretamente le dimensioni della realtà.

Credo che questo valga tanto anche nei discorsi verbali, poiché cadere nell'accomodamento solo per non generare tensioni o urtare sensibilmente - questa espressione poi ricorre spesso - l'interlocutore, è come voler dipingere un paesaggio sulla tela bianca utilizzando colori bianchi. Non è possibile dire ad una persona: << sì, sono d'accordo con te, anche io la penso così >>, quando non solo non è così ma addirittura si cerca di occultare quel bene reclamato, desiderato inconsapevolmente dalla persona di fronte, privandola così dello stesso solo per non entrare in 'contrasto'. Ma per quanto io non sia d'accordo con il pensiero di una persona, né questa sia d'accordo con il mio pensiero, non posso non notare che proprio questa situazione sta permettendo al 'dialogo' di andare avanti. Se invece vi fosse quell'accomodamento solo per non generare tensioni, allora il dialogo potrebbe ritenersi terminato già prima che cominci.

Essere diversi è normale, ma è proprio attraverso quella diversità presente nella persona che mi sta dinanzi che io scopro anche me stesso e viceversa. Per natura l'uomo non è uguale a Dio, dato che l’uomo partecipa dell’essere di Colui che è, oltre che, con il Battesimo, partecipare della vita di Colui che è, ma è guardando a Dio che l'uomo scopre se stesso. Appunto come non sarà mai possibile che vi sarà un altro 'me', così per ognuno, ma questo non è male, bensì testimonianza dell'unicità di ognuno, nella diversità universale - che si muove per un solo verso - che ha come fine Dio.
Ovviamente anche il contrasto, come qualsiasi realtà, può essere espressa con evidente esagerazione e distorsione, fino a giungere alle demonizzazioni più totali, e questo sì che è male. Ma in principio c'era la Parola (somma bontà e sommo principio di intelligibilità), il male viene dopo, e non è un principio. E certamente il bene, visto in modo cromatico, non è rappresentato dal bianco e il male dal nero - siamo in tema di 'contrasto' - poiché il male è l'anti bianco e l'anti nero, assoluta privazione di bene.
Una cosa è certa: se uscissi di sera senza che vi fossero contrasti, certamente sbatterei con la testa a terra poiché non vedrei nulla… ma non è un problema, tanto non esco e non corro il rischio – o al massimo cercherei di accertarmi che vi fosse il contrasto, il quale mi rende la realtà così come essa è. Ma farò un'eccezione, che in tal caso non conferma la regola!

Gabriele Cianfrani