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mercoledì 22 aprile 2020

CONSERVA L'ORDINE E L'ORDINE CONSERVERA' TE



Siamo ormai giunti all'apprensione del grande numero di decessi a causa della presenza di questo coronavirus (COVID 19), non solo in Italia, ma anche in altre parti del mondo. Su cosa si potrebbe muovere la riflessione? Quali domande potrebbero venir fuori da tutto ciò? E Dio dov'è? È possibile elevare la parola come il salmista, chiedendo a Dio fino a quando continuerà a tenerci in oblio? Per sempre? (Sal 13 [12],2). Insomma, cosa dire?
Vorrei tentare di metter su una breve riflessione.
Tra le tante parole che si sentono, alcune sono quelle rivolte ai medici e agli operatori sanitari, i quali vengono definiti come “eroi”. Questo è senza dubbio giusto ed è doverosa tale riconoscenza, ma il problema è che “eroi” non si diventa da un giorno all’altro. L’eroicità emerge in precisi momenti, ma affinché possa emergere è necessario che questa venga coltivata nel quotidiano. Pertanto, i medici e gli operatori sanitari, non sono eroi solo in questo momento, ma sempre e nel quotidiano. È davvero indecoroso definirli tali solo, come dire, nel momento del bisogno. Del resto, spesse volte, si fa così anche con Dio, ossia ci si ricorda di Lui solo nei momenti drammatici e si parla di alcune persone definite eroiche solo ora, ma quando erano ancora in vita sono state per diverse volte “trascurate”, per non ricorrere ad altre parole… Tuttavia è possibile l’atto eroico, ma essere “eroe”, essere “valorosi” è il risultato non di un atto quando questo urge, ma il risultato della vita quotidiana.
Ora, di eroi ve ne sono molti e in diversi campi, e si spera che non vengano riconosciuti tali solo al verificarsi di una situazione drammatica, ma sempre. In questo, credo che, ancora una volta, San Paolo sia illuminante. Infatti, come il corpo, pur essendo uno, ha molte membra, e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. […] Ora, il corpo non risulta di un membro solo, ma di molte membra. Se il piede dicesse: <<Siccome io non sono mano, non appartengo al corpo>>, non per questo non farebbe parte del corpo. E se l’orecchio dicesse: <<Siccome io non sono occhio, non appartengo al corpo>>, non per questo non farebbe parte del corpo. Se il corpo fosse tutto occhio, dove sarebbe l’udito? Se fosse tutto udito, dove l’odorato? Ma Dio ha disposto le membra in modo distinto dal corpo, come ha voluto. Che se tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo? Invece molte sono le membra, ma uno solo il corpo. E l’occhio non può dire alla mano: <<Non ho bisogno di te>>; né la testa ai piedi: <<non ho bisogno di voi>>. Ché, anzi, quelle membra del corpo che sembrano più deboli sono più necessarie; e quelle che riteniamo più ignobili le circondiamo di maggior rispetto, e quelle indecorose ricevono più riguardo, mentre quelle decorose non ne hanno bisogno (1Cor 12,12-24).
Certamente questo brano si riferisce alla nuova nascita per mezzo del Battesimo, per cui battezzati in un solo Spirito, ma è estremamente utile anche per quanto sta accadendo. Sarebbe bene che ci si ricordasse delle diverse membra del corpo non soltanto nel momento di maggior bisogno, ma sempre. Inoltre, preme fortemente portare a galla il fatto che la “persona” in quanto tale, compresa quella umana, è comprensibile solo attraverso l’approccio filosofico, con l’ulteriore valorizzazione di quello teologico. O meglio, è proprio all'interno di un'esigenza teologica che sorge il discorso sulla "persona", senza la quale esigenza non ci sarebbe stata tale ricerca. La ricerca sulla “persona” ha impegnato entrambi gli ambiti, tale termine affonda le sue radici in queste due scienze (la filosofia e la teologia).
In questa realtà si parla di “persona umana” e la persona ha valore incalcolabile. Non vi potrà mai essere una semplice riduzione al puro numero. Se proprio si volesse parlare di numero, questo sarebbe certamente infinito, poiché la “persona” significa quanto di più nobile si trova in tutto l’universo, cioè il sussistente di natura razionale, e il massimo grado della persona risiede in Dio. Per questo, dovendosi attribuire a Dio tutto ciò che comporta perfezione, dato che nella sua essenza egli contiene tutte le perfezioni, è conveniente che tale nome di persona si dica di Dio (Cfr. S. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia, q. 29, a. 3).
Ma ci sarebbe di più.
Sembra che a volte si voglia propendere per una sorta di indipendenza persino ontologica. Ciò risulta davvero un’illusione, in quanto la realtà stessa nella sua totalità dipende, nel suo essere, da Dio. Tale dipendenza è nobilitante e non screditante, e tutto questo per misericordia di Dio. La giustizia consiste nella retribuzione dei meriti e perciò nella creazione non si può parlare di giustizia […]. Nell’opera della creazione si può parlare di misericordia perché, creando, Dio toglie il più grande di tutti i difetti, vale e dire il non essere (Cfr. Ibid., IV Sent., d. 46, q. 2, a. 2). Pare che quasi non si pensi più che ogni respiro è reso possibile poiché è garantito da Dio, senza il quale nulla sarebbe. Il dramma è quello di non riconoscere più che se l’uomo è in grado di far qualcosa, compresa la ricerca scientifica – essa è dono dell’Altissimo e va sviluppata in tutte le possibilità, non a caso grandi santi hanno promosso la ricerca scientifica –, è per concessione di Dio, e quando l’uomo deraglia commette peccato, abusando di ciò che Dio incessantemente gli concede. La mancata riconoscenza si pone non solo intellettualmente, ma anche sul piano esperienziale.
Non sarà mai possibile “incolpare” Dio, dato che l’uomo è dotato di libero arbitrio, e sarebbe bene che se ne rendesse conto, nel bene e nel male. Il fuoco è prezioso per l’uomo, per la cottura degli alimenti, per riscaldarsi e altro, tanto che nell’antichità e in particolare riferimento al filosofo Empedocle, il fuoco era considerato tra i quattro elementi che stanno a fondamento del mondo (fuoco, aria, terra e acqua), ed è appunto sua questa dottrina. Ma se si avvicinasse la mano, convinti di poter dominare il fuoco e convinti della propria indipendenza e invincibilità, cosa accadrebbe? Ci si scotterebbe, ci si ustionerebbe… E la colpa sarebbe del fuoco? Non credo.
Questo è semplicemente un esempio e non intendo minimamente paragonare Dio al fuoco, ovvio, solo esprimere che ciò che è per sé un bene risulta essere male nel momento in cui a tale bene ci si rapporta erroneamente. Se poi si considera che Dio è il Bene sommo, si conclude che Egli non faccia cose buone e cose cattive, ma solo cose assolutamente buone e prima di tutto ontologicamente. Ma è chiaro che è sempre Dio a venire incontro all’uomo, è sempre Dio a precedere l’uomo e ad aspettarlo per incontrarlo, così come attesta l’episodio dell’incontro di Gesù con la samaritana (Cfr. Gv 4,6-7). L’unica cosa da fare è presentarsi a questo incontro. Così come Egli sta alla porta e bussa, l’unica cosa da fare è aprire la porta e lasciare che entri e così cenare con lui (Cfr. Ap 3,20). Dio non vuole la morte di nessuno, ma la conversione e la vita (Cfr. Ez 33,11).
Per questo occorre che si prenda atto del valore dell’ordinarietà e non della straordinarietà. Tanti sono gli sguardi rivolti ai corpi celesti distanti anni luce, ed è giusto, ma a volte perdendo quella meraviglia che si trova anche e già in una semplice ma al contempo profonda goccia d’acqua.
Si ha l’impressione che molte volte ci si costruisca il proprio labirinto, con il rischio di risultare il Dedalo di se stessi e di andare incontro al Minotauro delle proprie azioni. Ma l’uomo non è il risultato del puro caso e non è stato gettato casualmente in una parte dell’universo. Tutti i giorni dell’uomo sono dinanzi a Dio prima ancora che esistano (Cfr. Sal 139 [138],16), e mai l’uomo potrà essere sostituito dalla tecnologia, la quale è un prodotto dell’uomo stesso ed un ampliamento delle sue azioni, ma non potrà mai sostituire la persona in quanto tale.
Spesse volte ci si rende conto che tante sono le luci, ma poche le volte in cui si considera la fotocamera dalla quale la luce proviene e meno ancora la persona che sta dietro alla fotocamera. La vita porta la luce, ma non vale il contrario. Non è possibile restare abbagliati dalle tanti luci e permanere nell’abbaglio, perdendo il fine ultimo della vita, ossia la realizzazione della medesima in Dio. Due sono le strade: realizzazione della propria vita in Dio o nel nulla. Altre strade non se ne vedono. Il problema sta al principio di tutto: Dio o il nulla, il caso trova senso non in se stesso, ma solo se facente parte della totalità dell’ordine, che non trova origine nel nulla. E realizzare la vita in Dio comporta anche il prestare attenzione a tutto, alla ordinarietà e quotidianità della vita, apprezzando ogni momento. Non si può volgere lo sguardo ai cosiddetti “valori” della vita solo in momenti drammatici, dato che in fin dei conti, se su questi valori non è stata impostata la vita prima del sorgere dei drammi, difficilmente si guarderà a questi autenticamente. Ma sarebbe importante constatare che anche i “valori” non hanno alcun valore in se stessi, se non in riferimento al fine ultimo: Dio.
Pertanto, non è bene ricordarsi di quanto ci si dovrebbe ricordare solo nei momenti in cui ci si trova costretti a farlo, dato che non vi sarebbe la certezza di riuscirci qualora si provasse a farlo. Non è bene ricordarsi degli “eroi” solo in casi come questi – mi riferisco a quanti fanno degli slogan i veicoli (falsi) della verità. Non è bene pensare che un domani l’uomo possa raggiungere uno stato in cui riuscirà a governare l’intera realtà, come se la realtà derivasse da lui, dato che ciò corrisponderebbe alla sua distruzione, semplicemente per il motivo che tal prerogativa è del Creatore, non della creatura. Nell’ordinario Dio agisce attraverso l’uomo e sarebbe bene che si prendesse atto di ciò, altrimenti si tenderà sempre a guardare lo straordinario, perdendo di vista che gli “eroi” sono proprio coloro che cercano di vivere lo straordinario nell’ordinario.
Molte volte ci si chiede dove sia Dio, ma poche sono le volte in cui ci si chiede dove sia l’uomo. Tante sono le volte in cui si parla di “responsabilità”, così tante volte che la stessa parola ha subìto un vero e proprio abuso, perdendo il suo sapore e il suo significato. In questo modo è come se si volesse far diventare straordinario ciò che è ordinario, il contrario di quanto scritto prima.
Insomma, per concludere, è chiaro che oltre ad esserci una noncuranza dell’ordinarietà della vita, che conduce a riflettere sul fondamento della vita stessa e del suo valore, vi è anche una mancanza di ordine, e in questi giorni pare evidente.
Dio è onnipresente, per cui è presente in ogni istante. Il problema non è se Dio sia presente, ma se l’uomo sia presente a Dio e a se stesso… Ma già il porsi tale problema non è possibile se si guarda solo alla straordinarietà, poiché occorre prestare attenzione all’ordinarietà, nella quale si esprime l’ordine, che sarebbe bene recuperare, considerando sinceramente la realtà delle cose. E in tutto questo lo sguardo è rivolto a Colui senza il quale nulla sarebbe, e le parole del salmista non passeranno mai, perché la speranza ultima è sempre in Dio. Per cui, mi insultano i miei avversari quando rompono le mie ossa, mentre mi dicono sempre: <<Dov'è il tuo Dio>>. Perché ti rattristi anima, perché ti agiti dentro di me? Spera in Dio: ancora potrò lodarlo, lui, salvezza del mio volto e mio Dio (Sal 42 [41], 11-12). 

Serva ordinem et ordo servabit te – Conserva l’ordine e l’ordine conserverà te (Sant’Agostino).



di Gabriele Cianfrani

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