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domenica 22 novembre 2020

SOLENNITA' DI CRISTO RE DELL'UNIVERSO


 

Con la solennità di Cristo Re si chiude l’anno liturgico, per poi riaprirsi con la Domenica successiva, prima Domenica di Avvento.

Nel rito romano antico - la forma straordinaria del rito romano -, nel Messale promulgato da Papa Pio V nel 1570, tale solennità cade nell’ultimo giorno del mese di ottobre. Nella forma ordinaria del rito romano cade nell’ultima Domenica dell’anno liturgico.

La solennità di Cristo Re venne istituita da Papa Pio XI con l’enciclica Quas Primas dell’11 dicembre 1925.



Un breve estratto della suddetta enciclica:

Da gran tempo si è usato comunemente di chiamare Cristo con l'appellativo di Re per il sommo grado di eccellenza, che ha in modo sovraeminente fra tutte le cose create. In tal modo, infatti, si dice che Egli regna nelle menti degli uomini non solo per l'altezza del suo pensiero e per la vastità della sua scienza, ma anche perché Egli è Verità ed è necessario che gli uomini attingano e ricevano con obbedienza da Lui la verità; similmente nelle volontà degli uomini, sia perché in Lui alla santità della volontà divina risponde la perfetta integrità e sottomissione della volontà umana, sia perché con le sue ispirazioni influisce sulla libera volontà nostra in modo da infiammarci verso le più nobili cose. Infine Cristo è riconosciuto Re dei cuori per quella sua carità che sorpassa ogni comprensione umana ( Supereminentem scientiae caritatem) e per le attrattive della sua mansuetudine e benignità: nessuno infatti degli uomini fu mai tanto amato e mai lo sarà in avvenire quanto Gesù Cristo.

Ma per entrare in argomento, tutti debbono riconoscere che è necessario rivendicare a Cristo Uomo nel vero senso della parola il nome e i poteri di Re; infatti soltanto in quanto è Uomo si può dire che abbia ricevuto dal Padre la potestà, l'onore e il regno, perché come Verbo di Dio, essendo della stessa sostanza del Padre, non può non avere in comune con il Padre ciò che è proprio della divinità, e per conseguenza Egli su tutte le cose create ha il sommo e assolutissimo impero.

[…] Che poi questo Regno sia principalmente spirituale e attinente alle cose spirituali, ce lo dimostrano i passi della sacra Bibbia sopra riferiti, e ce lo conferma Gesù Cristo stesso col suo modo di agire.

In varie occasioni, infatti, quando i Giudei e gli stessi Apostoli credevano per errore che il Messia avrebbe reso la libertà al popolo ed avrebbe ripristinato il regno di Israele, egli cercò di togliere e abbattere questa vana attesa e speranza; e così pure quando stava per essere proclamato Re dalla moltitudine che, presa di ammirazione, lo attorniava, Egli rifiutò questo titolo e questo onore, ritirandosi e nascondendosi nella solitudine; finalmente davanti al Preside romano annunciò che il suo Regno "non è di questo mondo".

Questo Regno nei Vangeli viene presentato in tal modo che gli uomini debbano prepararsi ad entrarvi per mezzo della penitenza, e non possano entrarvi se non per la fede e per il Battesimo, il quale benché sia un rito esterno, significa però e produce la rigenerazione interiore. Questo Regno è opposto unicamente al regno di Satana e alla "potestà delle tenebre", e richiede dai suoi sudditi non solo l'animo distaccato dalle ricchezze e dalle cose terrene, la mitezza dei costumi, la fame e sete di giustizia, ma anche che essi rinneghino se stessi e prendano la loro croce. Avendo Cristo come Redentore costituita con il suo sangue la Chiesa, e come Sacerdote offrendo se stesso in perpetuo quale ostia di propiziazione per i peccati degli uomini, chi non vede che la regale dignità di Lui riveste il carattere spirituale dell'uno e dell'altro ufficio?

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Solo il Creatore è universalmente re, in quanto per concedere qualcosa, per affidare qualcosa a una persona occorre che prima se ne abbia possesso di tal cosa, poiché non è possibile dare ciò che non si ha. Tuttavia il Verbo eterno non può non avere in comune con il Padre ciò che è proprio della divinità, e per conseguenza ha il sommo e assoluto impero su tutte le cose create, visibili e invisibili, dacché tutto fu creato per mezzo di Lui (Cfr. Gv 1,3). Ma Dio non ha creato tutte le cose per accrescere la propria gloria, ma per manifestarla e per comunicarla (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 293). La «terra», ossia il mondo visibile, fu affidato all’uomo sin dalla creazione, il quale uomo fu creato maschio e femmina (Cfr. Gen 1,27). Non solo, ma Dio concesse all’uomo di governare la terra e di dominare su ogni essere della stessa terra (Cfr. Gen 1,28). Il «dominio» di cui parla il testo genesiaco non rimanda affatto ad una forma di tirannia, ma alla «custodia» (Cfr. Gen 2,15), e non è possibile custodire ciò di cui non si ha il dominio. La donna era già presente in Adam, successivamente fu «formata» (Cfr. Gen 2,22-23). È chiaro che in tal caso Dio partecipa l’uomo della Sua stessa regalità, per quanto possa esser partecipata alla creatura umana. Infatti, il salmista si esprime straordinariamente in merito a ciò: « ... che cosa è mai l'uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi? Davvero l’hai fatto poco meno di un dio, di gloria e di onore lo hai coronato […]» (Sal 8,5-6). L’uomo è stato creato «a immagine di Dio», capace di conoscere e di amare il proprio Creatore, e  fu costituito da lui sopra tutte le creature terrene quale signore di esse, per governarle e servirsene a gloria di Dio (Conc. Vat. II, Gaudium et spes, n. 12).  Un punto da non trascurare: l’immagine perfetta di Dio è solo il Figlio (Cfr. Col 1,15), il Cristo, mentre l’uomo non è «immagine» di Dio, ma è «a immagine» di Dio – la preposizione «a» è fondamentale. Ciò rimanda al fatto che, essendo il Figlio l’immagine perfetta di Dio (Padre) e consustanziale, l’essere «a immagine» di Dio vuol dire che in ultima analisi l’immagine di Dio nell’uomo è secondo la Trinità delle persone divine, anche qualora si propendesse col fatto che l’uomo sia «a immagine» dell’immagine perfetta del Padre, ossia del Figlio, che è consustanziale (ὁμοούσιοςal Padre e allo Spirito Santo (Cfr. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 93, a. 5). Pertanto, Dio creò l’uomo nello stato di santità. Col separarsi da Dio l’uomo commise il primo peccato (originale), acconsentendo alle parole del serpente antico e consegnandosi a quest’ultimo. Non guardando più a Dio, l’uomo guardò a se stesso, preferendo la creatura al Creatore, preferendo così, inevitabilmente, anche il serpente. L’uomo aveva perso ciò che Dio gli aveva donato creandolo e non avrebbe mai potuto ripristinare da sé quanto occorreva ripristinare. Ciò avvenne per mezzo del Verbo incarnato, per mezzo del Verbo del quale è scritto: omnia per ipsum facta sunt: et sine ipso factum est nihil, quod factum est (Gv 1,3), per mezzo della Parola di Dio che si fece carne nel grembo verginale e purissimo di Maria, per attuare la redenzione universale e meritarci la vita, riconciliando l'uomo con Dio. È interessante quanto il Doctor Angelicus riporta in un passo, ossia che la prima creazione fu fatta dalla potenza di Dio per mezzo del Verbo. Quindi anche la ricreazione doveva avvenire dalla potenza del Padre per mezzo del Verbo, per corrispondenza, secondo 2Cor 5,19: È stato Dio in Cristo a riconciliare a sé il mondo (Cfr. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, III, q. 3, a. 8 ad 2). Col Battesimo la persona umana rinasce in Cristo. L’uomo non avrebbe mai potuto pagare quanto vi era da pagare, ma il Figlio dell’uomo sì e lo ha fatto sul legno della croce. Il Cristo, il Figlio eterno del Padre, è con Lui e con lo Spirito Santo «Re dell’universo».



Gabriele Cianfrani




domenica 1 novembre 2020

1° NOVEMBRE - SOLENNITA' DI TUTTI I SANTI

 



La Solennità di tutti i Santi - ma proprio di tutti - esprime chiaramente l’invito a rispondere e corrispondere alla chiamata battesimale, ossia quella di giungere alla pienezza della vita cristiana, che è appunto la santità nella perfetta comunione con Dio.

Il Signore disse a Mosè di comunicare a tutta la comunità d'Israele le prescrizioni seguenti: «Siate santi, perché io sono santo, Io, il Signore vostro Dio [כִּ֣י קָד֔וֹשׁ אֲנִ֖י יְהוָ֥ה אֱלֹהֵיכֶֽם]» (Lv 19,1-2).[1]

Il santo Battesimo è il fondamento di tutta la vita cristiana, il vestibolo d’ingresso alla vita nello Spirito («vitae spiritualis ianua»), e la porta che apre l’accesso agli altri sacramenti. Mediante il Battesimo siamo liberati dal peccato e rigenerati come figli di Dio, diventiamo membra di Cristo, siamo incorporati alla Chiesa e resi partecipi della sua missione: «Baptismus est sacramentum regenerationis per aquam in verbo - Il Battesimo può definirsi il sacramento della rigenerazione cristiana mediante l’acqua e la parola» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1213).

Ma questo riguarda tutti, membri dell’ordine sacro, religiosi, laici!

Occorre chiarire che la parola «laico» non è sinonimo di agnostico o ateo o aconfessionale, come spesso si sente: la parola «laico» deriva dal greco «λαός» (laόs), che vuol dire «popolo», per cui si fa riferimento all’intero popolo. Perciò col nome di laici si intendono qui tutti i fedeli a esclusione dei membri dell’ordine sacro e dello stato religioso sancito nella Chiesa, i fedeli cioè, che, dopo essere stati incorporati a Cristo col Battesimo e costituiti Popolo di Dio e, nella loro misura, resi partecipi dell’ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, per la loro parte compiono, nella Chiesa e nel mondo, la missione propria di tutto il popolo cristiano (Conc. Vat. II, Lumen gentium, n. 31). Pertanto, non è bene che si guardi alla santità come qualcosa che riguarda esclusivamente una parte della Chiesa, ma tutta la Chiesa, nella quale rientrano anche i laici in quanto battezzati, per cui sono Chiesa. Non solo, ma i laici sono estremamente importanti ed è giusto che prendano atto della loro importanza nella vita della Chiesa: la vocazione alla santità affonda le sue radici nel Battesimo e viene riproposta dagli altri sacramenti, principalmente dall’Eucaristia: rivestiti di Gesù Cristo e abbeverati dal suo Spirito, i cristiani sono «santi» e sono, perciò, abilitati e impegnati a manifestare la santità del loro essere nella santità di tutto il loro operare (Giovanni Paolo II, Esort. ap. Christifideles laici, n. 16). La vocazione dei fedeli laici alla santità comporta che la vita secondo lo Spirito si esprima in modo peculiare nel loro inserimento nelle realtà temporali e nella loro partecipazione alle attività terrene (Ibid., n. 17).

È chiaro dunque a tutti che tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità: da questa santità è promosso, anche nella società terrena, un tenore di vita più umano. Per raggiungere questa perfezione, i fedeli usino le forze ricevute secondo la misura con cui Cristo volle donarle, affinché, seguendo l’esempio di Lui e fattisi conformi alla sua immagine, in tutto obbedienti alla volontà del Padre con piena generosità si consacrino alla gloria di Dio e al servizio del prossimo. Così la santità del Popolo di Dio crescerà in frutti abbondanti, come è splendidamente dimostrato, nella storia della Chiesa, dalla vita di tanti santi. (Conc. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 40).

Il cammino della perfezione passa attraverso la croce. Non c’è santità senza rinuncia e senza combattimento spirituale (CCC., n. 2015; Cf. 2Tm 4).

 Dunque è evidente che, dal momento del Battesimo, ognuno è chiamato a realizzarsi nella santità, nella propria vita, ma avendo l’attenzione nella oggettività di Dio e della Sua Chiesa. In fin dei conti, siamo il popolo in cammino: se camminiamo nella luce, come egli è nella luce, siamo in comunione gli uni con gli altri (1Gv 1,7). Ma è bene ripetere «nella luce» e non camminare e basta, o addirittura nel buio. Ciò non è mai un fatto strettamente privato, il cammino di «fede» non è privato: professare con la bocca, a sua volta, indica che la fede implica una testimonianza ed un impegno pubblici. Il cristiano non può mai pensare che credere sia un fatto privato. [...] La Chiesa nel giorno di Pentecoste mostra con tutta evidenza questa dimensione pubblica del credere e dell’annunciare senza timore la propria fede ad ogni persona. È il dono dello Spirito Santo che abilita alla missione e fortifica la nostra testimonianza, rendendola franca e coraggiosa (Benedetto XVI, Motu proprio, La porta della fede, n. 10). Evidente il fatto che l’esempio della santità perfetta sia la Madonna.

 In merito a tale solennità, è illuminante il sermone 20 (Beata gens - Beata la nazione) di San Tommaso d’Aquino, del quale seguiranno alcune parti. 

***

In primo luogo dico che Davide loda il collegio dei santi per la loro dignità: «Beata la nazione». La dignità di questo collegio si nota dal fatto che essi sono giunti là dove noi tendiamo. Inoltre essi possiedono ciò che noi desideriamo. E ancora, sono stati costituiti al di sopra di quanto noi possiamo conoscere […].

 

Tutta la dignità dei santi dipende da colui che li governa. È cosa molto miserevole, abietta e orribile che l'uomo assoggetti se stesso a qualcosa che è a lui inferiore o vile […]. La somma perfezione di una realtà è che risulti sottomessa a colui che la rende perfetta. La materia non è perfetta se non è sottomessa alla forma; e l'aria non è ornata e bella se non quando è sottomessa al sole; e l'anima non è perfetta se non è sottomessa a Dio. In ciò, dunque, consiste la nostra beatitudine: essere sottomessi a Dio.

Ora, uno potrebbe domandare come è la nostra sottomissione a Dio. Risposta: essa è reale, ma mediata, attraverso gli angeli, i prelati, i pedagoghi, i quali ci custodiscono in maniera che possiamo tutti pervenire alla beatitudine.

 

Ora fate attenzione: ci furono alcuni, e purtroppo ce ne sono ancora, i quali hanno sostenuto che la felicità e la beatitudine fossero nelle realtà terrene. […] ma questa opinione è falsa, poiché tutte le realtà terrene passano come l'ombra.

 

In quale modo il Signore è Dio «di questa nazione»? Rispondo che il Signore è loro Dio perché lo conoscono, lo possiedono e ne godono. (Tommaso d’Aquino, sermone 20).



[1] Nella visualizzazione mobile qualche parola ebraica potrebbe non risultare nell’ordine corretto, per cui si rimanda alla visualizzazione sul computer.



Gabriele Cianfrani