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mercoledì 29 giugno 2022

29 GIUGNO - SOLENNITA' DEI SANTI APOSTOLI PIETRO E PAOLO

 



In questo giorno in cui si celebra la solennità dei santi apostoli Pietro e Paolo, due figure estremamente determinanti per la Chiesa, occorre riportare alcuni brani biblici che certamente esprimono tale grandezza.

 

«Quanto a me, il mio sangue sta per essere sparso in libagione ed è giunto il momento di sciogliere le vele. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione. Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché per mio mezzo si compisse la proclamazione del messaggio e potessero sentirlo tutti i Gentili: e così fui liberato dalla bocca del leone. Il Signore mi libererà da ogni male e mi salverà per il suo regno eterno; a lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen» (2Tm 4,6-8.17-18).

 

Il brano è tratto dalla seconda lettera a Timoteo, la quale è definita da alcuni studiosi come deuterocanonica o discussa. Sebbene le lettere di san Paolo, ossia il «corpus paulinum», si trovi già nel «Canone Muratori/muratoriano» (sec. II d.C.), vi sono alcune lettere sulle quali sono condotti studi accurati per valutare una sorta di canonicità discussa e/o indiscussa. Dal momento che il canone biblico definitivo è stato stabilito nel Concilio di Trento (1545-1563), e tale canone è appunto normativo per il fedele, la ricerca biblica non può non continuare. Da ricordare il fatto che è la Tradizione divino apostolica ad illuminare sulla canonicità dei testi sacri, non una decisione arbitraria. Cos’è la Tradizione apostolica? Lo dice chiaramente la costituzione dogmatica sulla Divina Rivelazione, ossia la Dei Verbum:

«Cristo Signore […] ordinò agli Apostoli che l’Evangelo, prima promesso per mezzo dei Profeti e da Lui adempiuto e promulgato di persona, come la fonte di ogni verità salutare e di ogni regola morale lo predicassero a tutti, comunicando i doni divini. Ciò venne fedelmente eseguito, tanto dagli Apostoli, i quali nella predicazione orale, con gli esempi e le istituzioni trasmisero sia ciò che avevano ricevuto dalle labbra, dalla frequentazione e dalle opere di Cristo, sia ciò che avevano imparato per suggerimento dello Spirito Santo, quanto da quegli Apostoli e da uomini della loro cerchia, i quali, per ispirazione dello Spirito Santo, misero in scritto l’annunzio della salvezza. Gli Apostoli poi, affinché l’Evangelo si conservasse sempre integro e vivo nella Chiesa, lasciarono come loro successori i Vescovi, ad essi “affidando il loro proprio posto di maestri”. […] Pertanto, la predicazione apostolica, che è espressa in modo speciale nei libri ispirati, doveva esser conservata con successione continua fino alla fine dei tempi» (nn. 7-8).

 

Ciò è estremamente importante, soprattutto perché questa «trasmissione» è anche liturgica, come attesta lo stesso san Paolo nel racconto dell’istituzione dell’Eucaristia: «Io ho ricevuto dal Signore quello che vi ho trasmesso: che il Signore Gesù, nella notte in cui fu tradito […]» (1Cor 11,23).

 

Tornando alla seconda lettera a Timoteo – le due lettere a Timoteo e quella a Tito sono chiamate «lettere pastorali» –, si ritiene che risalga verso la fine dei giorni terreni dell’Apostolo, ossia durante la prigionia romana tra il 61 e il 63 d.C. San Paolo dice esplicitamente che ha conservato la fede (τὴν πίστιν τετήρηκα). Di quale fede sta parlando? Certamente si tratta di una fede non naturale, ma soprannaturale, quella chiameremmo «virtù teologale». Si tratta di fermezza nel credere, di uno stato di adesione (πίστις, che rimanda all’ebraico אמן), che in tal caso non è possibile senza l’aiuto di Dio. Ciò mostra che la fede deve essere vissuta, o meglio, vivere ciò che si crede mediante la fede, per cui occorre esercitarla e conservarla intatta. Ma ecco il passo importante, ossia il fatto che il Signore gli è stato vicino e gli ha dato forza. Sì, perché credere soprannaturalmente e combattere per ciò che si crede in tal modo, non risiede nelle sole forze umane, ma nell’aiuto divino. Questo esige una risposta, una collaborazione umana, dal momento che la «fede» in quanto tale consta dell’aspetto divino e dell’aspetto umano. Pertanto, non è possibile continuare con le solite espressioni, come del tipo: «beato te che credi; beato te che hai la fede…». Cioè?

Circa la fede intesa anche biblicamente si può cliccare qui.

Ci sarebbe tanto altro da scrivere, bisogna fare il collegamento con un altro brano biblico, che vede come protagonista san Pietro:

 

«Essendo giunto Gesù nella regione di Cesarèa di Filippo, chiese ai suoi discepoli: “La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?” Risposero: “Alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti”. Disse loro: “Voi chi dite che io sia?”. Rispose Simon Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. E Gesù: “Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli» (Mt 16,13-19).

 

Tale brano è fondamentale dal punto di vista ecclesiastico e ci sarebbero tantissime cose da scrivere al riguardo, cosa che sarà fatta doverosamente in altra sede, ma per il momento occorre sottolineare il tratto di continuità col brano precedente. In tal caso, alla domanda che Gesù rivolge a tutti i discepoli, solo san Pietro risponde, e lo fa correttamente. La riposta di san Pietro non deriva dalle forze umane, ma da quella divina che lo ha portato ad affermare che Gesù è il Cristo, il Figlio del Dio vivente. Riconoscere Gesù come il Cristo, ossia come il Messia, aveva una portata immensa per quel tempo. La parola greca Χριστὸς traduce l’ebraico משיח, che vuol dire «unto», ma che in questo caso sta ad indicare «l’Unto» del Signore per eccellenza. Dal momento che san Pietro ha riconosciuto Gesù come l’Unto per eccellenza, lo ha riconosciuto come il Messia. Non solo, in quanto ciò non lo ha fatto da sé, ma in seguito alla rivelazione del Padre che sta nei cieli. Poiché la «fede» opera sulla potenza intellettiva, così da poter condurre l’intelletto umano a conoscere e a credere ciò che lo supera, la rivelazione del Padre ha permesso a san Pietro di conoscere soprannaturalmente, in modo tale da riconoscere in Gesù il Messia, il Cristo, l’Unto di Dio. Ciò che è importante, e san Pietro lo testimonia, è che la fede soprannaturale derivante dalla grazia suppone la natura umana, non si sostituisce ad essa né l’annulla.

Pure in questo caso traspare il doppio aspetto della «fede»: divino e umano (et-et), così come precisamente riporta il Catechismo della Chiesa Cattolica:

Quando san Pietro confessa che Gesù è il Cristo, il Figlio del Dio vivente, Gesù gli dice: «Né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli» (Mt 16,17). La fede è un dono di Dio, una virtù soprannaturale da lui infusa. «Perché si possa prestare questa fede, è necessaria la grazia di Dio che previene e soccorre, e gli aiuti interiori dello Spirito Santo, il quale muove il cuore e lo rivolga a Dio, apra gli occhi della mente, e dia “a tutti dolcezza nel consentire e nel credere alla verità”» (n. 153). È impossibile credere senza la grazia e gli aiuti interiori dello Spirito Santo. Non è però meno vero che credere è un atto autenticamente umano. Non è contrario né alla libertà né all’intelligenza dell’uomo far credito a Dio e aderire alle verità da lui rivelate. Anche nelle relazioni umane non è contrario alla nostra dignità credere a ciò che altre persone ci dicono di sé e delle loro intenzioni, e far credito alle loro promesse […]. Nella fede, l’intelligenza e la volontà umane cooperano con la grazia divina (nn. 154-155).

 

Tutto ciò è enormemente espresso nei santi Apostoli Pietro e Paolo, vere e proprie colonne portanti della Chiesa di Dio.



Gabriele Cianfrani