Il sensus fidei gode di grande importanza nel Magistero della
Chiesa, dacché rimanda alla infallibilitas in credendo, l’altra è l’infallibilitas
in docendo, che si esercita mediante l’ordinazione nel grado episcopale, in
particolari momenti. Argomenti importanti e interessanti, ma che meritano di
essere trattati in altra sede.
In che modo si potrebbe definire l’infallibilitas in credendo? A
questo punto converrebbe seguire le parole della Lumen gentium (Costituzione
dogmatica sulla Chiesa del Concilio Vaticano II):
L’universalità dei fedeli che tengono
l’unzione dello Spirito Santo (cfr. 1Gv 2,20 e 27), non può sbagliarsi nel
credere, e manifesta questa sua proprietà mediante il soprannaturale senso
della fede di tutto il popolo, quando «dai vescovi fino agli ultimi fedeli
laici» mostra l’universale suo consenso in cose di fede e di morale. E invero,
per quel senso della fede, che è suscitato e sorretto dallo Spirito di verità
il Popolo di Dio, sotto la guida del sacro magistero, al quale fedelmente
conformandosi accoglie non la parola degli uomini, ma qual è in realtà, la
parola di Dio (cfr. 1Ts 2,13), aderisce indefettibilmente alla fede una volta
trasmessa ai santi (cfr. Gd 3), con retto giudizio penetra in essa più a fondo
e più pienamente l’applica nella vita (n. 12).
Tale passo riporta chiaramente ciò che
concerne il sensus fidei, ossia l’universalità dei fedeli che non può
sbagliarsi nel credere fermamente cose di fede e morale. Infatti, sia la Bolla Ineffabilis
Deus di Papa Pio IX, mediante la quale viene proclamato il dogma della «Immacolata
concezione di Maria» (1854), sia la Munificentissimus Deus di Papa Pio
XII, mediante la quale viene proclamata la «glorificazione di Maria con l’assunzione
in Cielo in anima e corpo» (1950), presentano evidente riferimento al sensus
fidei.
Nella Bolla troviamo:
Infatti si videro non solo singoli fedeli, ma
anche rappresentanti di nazioni o di province ecclesiastiche e anzi non pochi
padri del concilio Vaticano chiedere con vive istanze all'apostolica sede
questa definizione.
In seguito queste petizioni e voti non solo non diminuirono, ma
aumentarono di giorno in giorno per numero ed insistenza. Infatti per questo
scopo furono promosse crociate di preghiere; molti ed esimi teologi
intensificarono i loro studi su questo soggetto, sia in privato, sia nei
pubblici atenei ecclesiastici e nelle altre scuole destinate all'insegnamento
delle sacre discipline; in molte parti dell'orbe cattolico furono tenuti
congressi mariani sia nazionali sia internazionali. Tutti questi studi e
ricerche posero in maggiore luce che nel deposito della fede affidato alla
chiesa era contenuto anche il dogma dell'assunzione di Maria vergine al cielo;
e generalmente ne seguirono petizioni con cui si chiedeva instantemente a
questa sede apostolica che questa verità fosse solennemente definita.
In questa pia gara i fedeli furono mirabilmente uniti coi loro pastori,
i quali in numero veramente imponente rivolsero simili petizioni a questa
Cattedra di S. Pietro. Perciò quando fummo elevati al trono del sommo
pontificato erano state già presentate a questa sede apostolica molte migliaia
di tali suppliche da ogni parte della terra e da ogni classe di persone: dai
nostri diletti figli cardinali del sacro collegio, dai venerabili fratelli
arcivescovi e vescovi, dalle diocesi e dalle parrocchie. […] Questo «singolare consenso, dell'episcopato cattolico
e dei fedeli», nel ritenere definibile, come dogma di fede, l'assunzione
corporea al cielo della Madre di Dio, presentandoci il concorde insegnamento
del magistero ordinario della chiesa e la fede concorde del popolo cristiano,
da esso sostenuta e diretta, da se stesso manifesta in modo certo e infallibile
che tale privilegio è verità rivelata da Dio e contenuta in quel divino
deposito che Cristo affidò alla sua Sposa, perché lo custodisse fedelmente e
infallibilmente lo dichiarasse.
Non a caso il discorso in merito alla
assunzione di Maria in Cielo in anima e corpo, nonostante la definizione vi sia
stata sotto Pio XII nel 1950, è alquanto remoto, come traspare anche in san
Gregorio di Tours († 594) e nell’insegnamento di molti teologi, ma con
fondamento nella Scrittura.
Non si accennerà alle posizioni, consolidate
nel tempo, circa il modo in cui vi fu l’assunzione. Magari in un prossimo
articolo.
È chiaro che tale dogma – sono quattro i
dogmi mariani – deve essere ricollegato al precedente, ossia a quello della «Immacolata
concezione di Maria» proclamato da Pio IX, come al secondo dogma, quello
riguardante Maria come «sempre vergine», risalente al concilio di Calcedonia
(451 d. C.) e al concilio di Costantinopoli II (553 d. C.). Ma occorre fare
riferimento sempre a quel primo dogma mariano, ossia a quello riguardante Maria
come «Madre di Dio» (Θεοτόκος), risalente
al concilio di Efeso (431 d. C.). Il primo dogma mariano è fondamentale, per
cui è doveroso scrivere al riguardo ma in altra sede.
Per concludere, la definizione
solenne è contenuta nel seguente passo della Munificentissimus Deus:
«Pertanto,
dopo avere innalzato ancora a Dio supplici istanze, e avere invocato la luce
dello Spirito di Verità, a gloria di Dio onnipotente, che ha riversato in Maria
vergine la sua speciale benevolenza a onore del suo Figlio, Re immortale dei
secoli e vincitore del peccato e della morte, a maggior gloria della sua
augusta Madre e a gioia ed esultanza di tutta la chiesa, per l'autorità di
nostro Signore Gesù Cristo, dei santi apostoli Pietro e Paolo e Nostra, pronunziamo,
dichiariamo e definiamo essere dogma da Dio rivelato che: l'immacolata Madre di
Dio sempre vergine
Maria,
terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima
e corpo».
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Gabriele Cianfrani