Nel nostro linguaggio vi sono alcune parole che inevitabilmente godono di importanza maggiore rispetto ad altre. Vi sono parole che rimandano alla propria identità, parole che esprimono ciò che noi siamo e ciò a cui tendiamo. Tra queste ve ne sono alcune molto precise, che esprimono pienamente l’identità cristiana (cattolica), ossia le parole del «Credo», del «Simbolo degli Apostoli» o del «Simbolo Niceno-Costantinopolitano». Nel contesto liturgico si tratta di quel momento, importantissimo, che è la «professione di fede».
Cerchiamo
di riportare, in modo generale, la struttura della Messa (le singole parti),
chiamata anche Celebrazione Eucaristica e in altri modi. Lo si farà seguendo
l’Ordinamento Generale del Messale Romano (OGMR), che si può trovare facilmente
sul sito www.vatican.va.
A)
Riti di introduzione
- L’introito
- Saluto all’altare e al popolo
radunato
- Atto penitenziale
- Kyrie eleison
- Gloria
- Colletta
B) Liturgia della Parola
- Il silenzio
- Le letture bibliche
- Il salmo responsoriale
- L’acclamazione prima della lettura
del Vangelo
- L’omelia
- La professione di fede
- La preghiera universale
C) Liturgia eucaristica
- La preparazione dei doni
- L’orazione sulle offerte
- La Preghiera eucaristica
- Riti di Comunione
- Preghiera del Signore
- Rito della pace
- Frazione del pane
- Comunione
D) Riti di conclusione
È
chiaro che ogni momento liturgico richiederebbe di essere trattato, per cui si
rimanda direttamente all’OGMR, il quale è davvero uno strumento da utilizzare
per la guida e per l’approfondimento liturgico.
Ciò
che in questa sede interessa è la «professione di fede». Vediamo come si
esprime l’OGMR:
67. Il simbolo, o professione di fede, ha come
fine che tutto il popolo riunito risponda alla parola di Dio, proclamata nella
lettura della sacra Scrittura e spiegata nell’omelia; e perché, recitando la
regola della fede, con una formula approvata per l’uso liturgico, torni a
meditare e professi i grandi misteri della fede, prima della loro celebrazione
nell’Eucaristia.
68. Il simbolo deve essere cantato o recitato
dal sacerdote insieme con il popolo nelle domeniche e nelle solennità; si può
dire anche in particolari celebrazioni più solenni.
Circa
il «simbolo» in sé si rimanda all’articolo scritto in merito (qui).
L’attenzione
si sposta sul fatto che la professione di fede ha come fine che tutto
il popolo riunito risponda alla parola di Dio, proclamata nella lettura della
sacra Scrittura e sul fatto che il popolo stesso professi i grandi
misteri della fede. Non solo, dal momento che ciò deve essere fatto prima
della loro celebrazione nell’Eucaristia.
Ovviamente,
poiché nell’Eucaristia tutto si compendia, dato che l’Eucaristia è fonte e
apice di tutta la vita cristiana (Conc.
Vat. II, Lumen gentium, n. 11), per cui non è possibile dirigersi
«intenzionalmente» verso ciò che non si conosce; e se non vi è conoscenza non
può esservi neanche l’adesione, il credere, la professione di fede.
Pertanto, occorre che la professione di fede sia fatta prima della
celebrazione nell’Eucaristia.
Non
è il caso di sollevare polemiche, ma fin troppo spesso si assiste ad un
atteggiamento a dir poco dissacrante nei confronti dell’Eucaristia, senza
contare la quasi totale trascuratezza nei confronti dei sacramenti in generale.
Ora,
giunto il momento della professione di fede, ognuno la esprime
singolarmente. Ma ciò resta confinato in questa singolarità? Viene in mente un
passo del libro dell’Esodo:
Al terzo mese dall'uscita degli
Israeliti dalla terra d'Egitto, nello stesso giorno, essi arrivarono al deserto
del Sinai. Levate le tende da Refidìm, giunsero al deserto del Sinai, dove
si accamparono; Israele si accampò davanti al monte. Mosè salì verso Dio, e il Signore lo chiamò dal monte,
dicendo: "Questo dirai alla casa di Giacobbe e annuncerai agli
Israeliti: "Voi stessi avete visto ciò che io ho fatto all'Egitto e
come ho sollevato voi su ali di aquile e vi ho fatto venire fino a
me. Ora, se darete ascolto alla mia voce e custodirete la mia alleanza,
voi sarete per me una proprietà particolare tra tutti i popoli; mia infatti è
tutta la terra! Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione
santa". Queste parole dirai agli Israeliti". Mosè andò, convocò gli anziani del popolo e riferì loro
tutte queste parole, come gli aveva ordinato il Signore. Tutto il popolo
rispose insieme e disse: "Quanto il Signore ha detto, noi lo
faremo!". Mosè tornò dal Signore e riferì le parole del popolo. Il
Signore disse a Mosè: "Ecco, io sto per venire verso di te in una densa
nube, perché il popolo senta quando io parlerò con te e credano per sempre
anche a te" (Es 19,1-9).
Precisando che questo
passo biblico presenta elementi tali da non poterli nemmeno accennare, a causa
della loro vastità, oltre a rintracciare passi biblici accostabili, è comunque
possibile prenderne alcuni. Non a caso li ritroviamo nella prima lettera di
Pietro e nel libro dell’Apocalisse:
Voi invece siete stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione
santa, popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere
ammirevoli di lui, che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua luce
meravigliosa. Un tempo voi eravate non-popolo, ora invece siete popolo di
Dio; un tempo eravate esclusi dalla misericordia, ora invece avete
ottenuto misericordia (1Pt 2,9-10);
"Tu sei degno di prendere il libro
e di aprirne i sigilli,
perché sei stato immolato
e hai riscattato per Dio, con il tuo sangue,
uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione,
e hai fatto di loro, per il nostro Dio,
un regno e sacerdoti,
e regneranno sopra la terra" (Ap 5,9-10).
Tralasciando
altri passi biblici e ricerche particolari (es. se il sacerdozio stesso sia
regale o se il sacerdozio risulti accanto al regno, o se il regno sia
costituito da sacerdoti, in questo caso il riferimento sarebbe soprattutto al
sacerdozio battesimale), emerge il contesto «ecclesiale», per cui risalta il
famoso passo del Vangelo secondo Matteo:
E io a te dico: tu sei Pietro e su questa
pietra edificherò la mia Chiesa [καὶ ἐπὶ ταύτῃ τῇ πέτρᾳ οἰκοδομήσω μου τὴν ἐκκλησίαν
– et super hanc petram aedificabo ecclesiam meam] e le potenze degli inferi non
prevarranno su di essa (Mt 16,18).
Ed ecco che Pietro non può essere
considerato scisso dalla ἐκκλησία (ekklēsía), ossia dalla
Chiesa e viceversa. Così come Mosè non può essere considerato scisso dal popolo
d’Israele e viceversa, dal momento che l’evento del Sinai è fondante, in quanto
al capitolo successivo (c. 20) Dio pronuncia le sue parole (nel contesto
dell’Alleanza) e Mosè parla al popolo comunicando le parole
(דְּבָרִים) di Dio
(Cfr. Es 20,18-21). Ma il fondamento ultimo non è né Mosè né Pietro, bensì Dio,
e il Verbo è consostanziale al Padre ed è da prima che Abramo fosse (Cfr. Gv
8,58). Colui che fonda la Chiesa è Dio stesso, poiché è «sua»!
Dacché la parola ἐκκλησία (ekklēsía) viene adoperata
per tradurre quella ebraica קהל (qahal), la parola Chiesa vuol dire «chiamata di Dio»,
«convocazione da parte di Dio». Non è l’uomo che prende l’iniziativa, ma Dio.
Ora, precisando che la parola «liturgia» deriva da λέιτον (leiton) έργον (ergon), che significa «opera pubblica» (dal latino publicum opus), il Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC) riporta quanto segue:
«Io credo»: è la fede della Chiesa
professata personalmente da ogni credente, soprattutto al momento del Battesimo.
«Noi crediamo»: è la fede della Chiesa confessata dai Vescovi riuniti in
Concilio, o, più generalmente, dall’assemblea liturgica dei credenti. «Io
credo»: è anche la Chiesa, nostra Madre, che risponde a Dio con la sua fede e
che ci insegna a dire: «Io credo», «Noi crediamo» (CCC, n. 167).
Pertanto, quell’«io credo» è sempre
inserito nel «noi crediamo», per il semplice fatto che quell’«io» rientra nel
«noi» che è il popolo di Dio che Dio stesso ha convocato e che si chiama
«Chiesa». La professione di fede riguarda il singolo inserito nella
comunità dei credenti, nel popolo di Dio, in quella proprietà particolare che
si chiama «Chiesa».
Per questo motivo la vera e sola
identità del cristiano (cattolico) risiede nella professione di fede, la
quale non può non essere oggetto di meditazione e riflessione. Sarebbe davvero
urgente richiamare l’attenzione sulle parole della professione di fede,
sulle parole del Credo (Apostolico e/o Niceno-Costantinopolitano). Al
riguardo, si cercherà di scrivere altri articoli sul Credo, attingendo
dal bellissimo commento di san Tommaso d’Aquino al medesimo, oltre all’atto di
fede e alla sua ragionevolezza.