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mercoledì 24 giugno 2020

24 GIUGNO - SOLENNITA' DELLA NATIVITA' DI SAN GIOVANNI BATTISTA

giugno 24, 2020 Posted by Gabriele Cianfrani , , , No comments


San Giovanni il Battista (Giovanni, dall’ebr. Yehōchānān = “Il Signore ebbe misericordia”; “il Signore è misericordioso”) nacque in quella città di Giuda identificata con Ain-Karim (Cfr. Lc 1,39) intorno al 7 a.C., dai santi Zaccaria ed Elisabetta. Fino ai giorni della sua manifestazione a Israele visse per regioni deserte (Cfr Lc 1,80) e nel 27 d.C. la parola di Dio venne su di lui. Percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati (Lc 3,3). La decapitazione del Battista è riportata in Mt 11,6-12 e Mc 6,24-29, avvenuta probabilmente nella fortezza di Macheronte.

Scrivere su san Giovanni il Battista è compito arduo, poiché la sua profondità è spaventosa tanto che fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui (Mt 11,11). Tra i santi, oltre alla Beata Vergine Maria, del Battista si celebra non solo la morte (29 agosto) ma anche la nascita terrena, anzi, la nascita è solennità (24 giugno).

Come prima cosa verrebbe da riportare un’espressione che si sente sempre e che ha un significato ben preciso: Una voce grida: « Nel deserto preparate la via al Signore, spianate nella steppa la strada per il nostro Dio. Ogni valle sia innalzata, ogni monte e ogni colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in vallata » (Is 40,3-4). Questo è il passo del libro di Isaia (Deutero-Isaia o Secondo Isaia che comprende i capitoli che vanno dal 40 al 55, anche se tale divisione è discussa), che in Lc 3,4-6 è riferito al Battista, e i due punti (:) andrebbero posti proprio come sopra e non dopo la parola “deserto”. Tale passo è di una profondità enorme! Forse il primo pensiero che spunta nella mente potrebbe essere quello che considera il “deserto” come un luogo di assenza, per cui chi parla nel deserto non ottiene nessun risultato, poiché nel deserto vi è quel “vuoto”, quell'assenza di persone per cui nessuno può ascoltare. Quante volte si sente dire: « Parla, parla, tanto nessuno ti ascolta! Parli a vuoto! Parli nel deserto! », e magari pronunciare queste parole con un certo riferimento al Battista... Ma la realtà è ben diversa, o meglio, è il contrario di tutto ciò, dato che tutti dovevano ascoltare le parole del Battista e credergli (Cfr. Gv 1,7c).

In ebraico, uno dei vocaboli più usati per indicare il deserto è midbār, e il deserto è il “luogo della Parola” per eccellenza. Non a caso alcune volte si trova un gioco di parole rabbinico tra il deserto (midbār) e la parola (dābār), come ad indicare che il deserto è il luogo per eccellenza non soltanto per la parola in quanto tale ma anche per l’ascolto. Inoltre, è cosa buona precisare che dābār, all’origine, oltre che la parola stessa indicava il contenuto di una precisa parola, per cui si va nel cuore, nel significato di una parola, e ogni parola ha la sua importanza. Non solo, ma il deserto è il luogo della formazione del popolo d’Israele in cui Dio stesso opera (Cfr. Es 15,22; 16,8-13; 14-15), fino al deserto del Sinai (Cfr. Es 19,1). E con ciò siamo arrivanti al momento fondante del popolo d'Israele, della sua identità, ossia l’Alleanza sul Sinai (Cfr. Es 20).

Il deserto, per Israele, ha un valore teologico ed esistenziale fondante in cui Dio opera per la salvezza del suo popolo (Cfr. Nm 21)! Il deserto è il luogo dell’incontro con Dio (Cfr. Os 2,16). Nel Vangelo secondo Giovanni troviamo dei momenti, riguardanti il deserto nel tempo dell’esodo, che sono prefigurazioni del Cristo (Cfr. Gv 3,14; 4; 6,30-66).

Insomma, il Battista dice che nel deserto occorre preparare la via al Signore poiché il deserto è il luogo per eccellenza dell’incontro con Dio. Infatti, nel deserto, anche considerato solo geograficamente, è perfettamente udibile ogni parola. Pertanto, il Battista resterà sempre quella voce della verità di Dio contro ogni altra voce che si oppone, quella testimonianza della Luce contro ogni forma di tenebra (Cfr. Gv 1,7). Da ricordare il profondissimo momento dell'incontro tra la Vergine Maria ed Elisabetta (Lc 1,39-56), per il quale occorre uno spazio particolare. Ma occorre ricordare un altro dato, oggi notevolmente evidente: l'assenza di inviti alla "conversione". Tale assenza comporta uno svuotamento dell'importanza del Battesimo, e infatti è uno dei sacramenti meno capiti, nonostante sia il primo sacramento dell'iniziazione cristiana (Battesimo, Confermazione/Cresima ed Eucaristia/Comunione) mediante il quale viene conferita per la prima volta la "grazia santificante" e tutto ciò che tale grazia comporta, a partire da quella rigenerazione che ci fa "figli adottivi" di Dio e membra vive della Chiesa in quanto corpo di Cristo. 

Tanto ci sarebbe da scrivere e difficilmente si troverebbero le parole adatte per un santo come il Battista, per questo mi sento di concludere con le parole di quel cantico straordinario del padre del Battista, ossia Zaccaria:

 

« Benedetto il Signore, Dio d’Israele,

perché ha visitato e redento il suo popolo,

e ha suscitato una salvezza potente

nella casa di Davide, suo servo,

come aveva promesso

per bocca dei suoi santi profeti d’un tempo:

salvezza dai nostri nemici,

e dalle mani di quanti ci odiano.

Così egli ha concesso misericordia ai nostri padri

e si è ricordato della sua santa alleanza,

del giuramento fatto ad Abramo, nostro padre,

di concederci, liberati dalle mani dei nemici,

di servirlo senza timore, in santità e giustizia

al suo cospetto, per tutti i nostri giorni.

E tu, bambino, sarai chiamato profeta dell’Altissimo

perché andrai davanti al Signore a preparargli le strade,

per dare al suo popolo la conoscenza della salvezza

nella remissione dei suoi peccati.

Grazie alla bontà misericordiosa del nostro Dio,

per cui verrà a visitarci dall'alto un sole che sorge,

per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre

e nell'ombra di morte,

e dirigere i nostri passi

 sulla via della pace » 

(Lc 1,68-79).





Gabriele Cianfrani

martedì 23 giugno 2020

IL TERMINE "EBREO"

giugno 23, 2020 Posted by Gabriele Cianfrani , No comments


Il temine «ebreo» ha radici molto profonde, che ovviamente si trovano nella Scrittura. In tal caso occorre rivolgere l’attenzione a un altro temine, fondante il primo, ossia ‘ibrī.

La parola ‘ibrī, da cui quella di ebreo, in ebraico si scrive עברי, e la lingua ebraica si legge da destra a sinistra. Ora, stando all'alfabeto ebraico avremo:

ע(ain) ב(bet) ר(resh) י(iod)

Stando ad accurati studi in merito, la prima traccia dell’origine della parola “ebreo” la si potrebbe trovare proprio nella Scrittura (la Bibbia), ossia in Gen 10,21, dove si legge: «Anche a Sem, fratello maggiore di Iafet e capostipite di tutti i figli di Eber, nacque una discendenza». Ora, il temine che ci interessa è ‘ibrī, il quale si trova nell’Antico Testamento in relazione ai figli d’Israele – e solo a loro – che si trovano in Egitto, come si può constatare in Gen 39, Es 10 e in altri passi. Il termine ‘ibrī, indicante appunto quello di “ebreo”, che troviamo in Gen 14,13 riguardante “Abramo l’Ebreo” e i suoi discendenti, potrebbe esser fatto risalire proprio al suo antenato “Eber” (Cfr. Gen 10,21-24; 11,14-15). Questo collegamento pone in luce la promessa fatta da Dio a Sem (Cfr. Gen 9,26-27) con la rivelazione ricevuta da Abramo. Tale lode (Gen 9,26-27) la si ritrova in Gen 14,19-20 che vede la figura di Melchìsedek.

Ma il temine ‘ibrī non gode di grande omogeneità, dacché alle volte è impiegato anche per indicare i non-israeliti. In tal caso è utile ricordare che il temine “israelita” deriva dall'appartenenza al popolo d’Israele (o “figli d’Israele”), il quale popolo è tale in quanto discende dai dodici figli di Israele, il cui nome divenne di Giacobbe in seguito alla lotta con un “essere soprannaturale”: Gli domandò: «Come ti chiami?». Rispose: «Giacobbe». Riprese: «Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto!» (Gen 32,28-29).

Ma pur non godendo sempre di omogeneità, il termine ‘ibrī viene adoperato in contesti etnici, così come nel Nuovo Testamento il termine «Ebrei» indica la distinzione dei Giudei dai non-Giudei.

A prescindere da questi ultimi aspetti, che sicuramente meritano ulteriore approfondimento, il termine “ebreo” pone le sue radici in “Eber”, il quale discende da Sem. Ma da Sem discende non solo Eber ma anche Abramo, e infine Gesù di Nazareth (Cfr. Lc 3,23-38).


domenica 14 giugno 2020

SOLENNITA' DEL CORPUS DOMINI



  

Tale Solennità esprime incisivamente la presenza «reale» del corpo di Cristo nell’Eucaristia, ogniqualvolta vi è la consacrazione del pane e del vino. E questo si ripete in ogni Messa, affinché l’uomo possa sempre più partecipare allo stesso sacrificio di Dio (Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1322) e affinché si possa sempre più attuare davvero ciò che i Padri della Chiesa (sant’Ireneo, sant’Atanasio ecc.) non si stancavano mai di ripetere: «il Figlio di Dio si è fatto uomo per farci Dio - partecipando di Dio stesso». «Perché l’uomo, entrando in comunione con il Verbo e ricevendo così la filiazione divina, diventasse figlio di Dio» (Ireneo di Lione, Adversus haereses, III,19,1) Motivo, questo, che segue quello della espiazione della colpa d’origine.

 

L’Eucaristia è davvero fonte e apice di tutta la vita cristiana (Conc. Vat. II, Lumen Gentium, n. 11) e tutte le preghiere del mondo e le azioni più generose che vi possano essere, per quanto siano lodevoli ed edificanti, sia per la persona che le compie sia per chi le riceve, non fanno una sola Messa. Questo è stato espresso mirabilmente da tutti quei santi che si conoscono:

«Tanto vale la Celebrazione della Santa Messa, quanto vale la Morte di Gesù in Croce» (san Tommaso d’Aquino);

«Sarebbe più facile che la Terra si reggesse senza Sole, anziché senza la Santa Messa» (san Padre Pio da Pietrelcina);

«Dio Stesso non può fare che vi sia un’azione più santa e più grande della Celebrazione di una Santa Messa» (Sant’Alfonso de' Liguori);

«L’uomo deve tremare, il mondo deve fremere, il Cielo intero deve essere commosso, quando sull’Altare, tra le mani del sacerdote, appare il Figlio di Dio» (San Francesco d’Assisi).

 

 

La storia

 

La solennità del Corpus Domini trova origine nel secolo XIII, per due motivi: quanto al primo motivo per contrastare ciò che avanzava il vescovo Berengario di Tours, il quale aveva affermato la «non reale» presenza di Cristo nell’Eucaristia, ma solo simbolica. Questo andò avanti fino a quando Berengario ritrattò la sua posizione e la verità sulla presenza reale di Cristo nell’Eucaristia verrà definita dogmaticamente nel Concilio Lateranense IV (1215). Quanto al secondo motivo, abbiamo santa Giuliana di Cornillon (1193-1258), la quale raccontò di una visione in cui era presente una luna splendente ma con una macchia che deturpava la luna stessa. Ciò venne interpretato come la mancanza di una festa liturgica in merito all’Eucaristia, e il vescovo di Liegi Roberto di Thourotte nel 1246 istituì la festa del Corpus Domini nella sua diocesi, e tale gesto fu ripetuto anche da altri vescovi. Ma non finisce qui, poiché a tutto ciò si aggiunge come suggello il miracolo di Bolsena avvenuto nel 1263. Un sacerdote, identificato con Pietro da Praga, tutte le volte che celebrava la Messa veniva assalito da forti dubbi in merito alla presenza reale di Cristo nell’Eucaristia e per questo decise di andare a Roma, dove avrebbe pregato sulle tombe degli Apostoli per ricevere una risposta. Durante il viaggio fece tappa a Bolsena e celebrò la Messa. Venne assalito ancora una volta da questi dubbi, fino a quando, proprio nel momento della consacrazione dell’ostia vide da questa gocciolare del sangue, tanto che le gocce bagnarono anche il corporale, ossia il panno di lino che durante le funzioni liturgiche ricopre gli elementi sacri. Inizialmente, terrorizzato da quanto accaduto, decise poi di renderlo manifesto, e in quel periodo si trovava a Orvieto Papa Urbano IV - la successiva storia del duomo di Orvieto è legata in particolare al miracolo eucaristico di Bolsena -, il quale incaricò il vescovo di Orvieto di verificare quel che era accaduto, con la presenza anche di san Tommaso d’Aquino e di san Bonaventura da Bagnoregio. Riconosciuto il fatto, l’11 agosto del 1264, Papa Urbano IV estese la festa del Corpus Domini a tutta la chiesa, mediante la bolla «Transiturus de hoc mundo». E proprio per incarico di Papa Urbano IV si dovette comporre un inno in merito alla Eucaristia, e tra diversi inni di diversi teologi del tempo, il Papa scelse quello di san Tommaso d’Aquino, il quale divenne l’inno eucaristico per eccellenza della Chiesa Cattolica. Si tratta del meraviglioso «Pange Lingua (Gloriosi)», in cui si trova il «Tantum Ergo Sacramentum».



Pange Lingua (Gloriosi)


Pange, lingua, gloriósi Córporis mystérium, Sanguinisque pretiosi, Quem in mundi pretium Fructus ventris generosi Rex effudit gentium.

Nobis datus, nobis natus Ex intacta Virgine, Et in mundo conversatus, Sparso verbi semine, Sui moras incolatus Miro clausit ordine.


In supremæ nocte cenæ recumbens cum fratribus, observata lege plene cibis in legalibus Cibum turbæ duodenæ se dat suis manibus.

Verbum caro, panem verum verbo carnem efficit: fitque sanguis Christi merum, et si sensus deficit, ad firmandum cor sincerum sola fides sufficit.

Tantum ergo sacramentum veneremur cernui, et antiquum documentum novo cedat ritui; præstet fides supplementum sensuum defectui.

Genitori Genitoque laus et iubilatio, salus, honor, virtus quoque sit et benedictio; Procedenti ab utroque compar sit laudatio. Amen.


(San Tommaso d'Aquino)



Traduzione in italiano:

Canta, o mia lingua, il mistero del Corpo glorioso e del Sangue prezioso che il Re delle nazioni, frutto benedetto di un grembo generoso, sparse per il riscatto del mondo.

Si è dato a noi, nascendo per noi da una Vergine purissima, visse nel mondo spargendo il seme della sua parola e chiuse in modo mirabile il tempo della sua dimora quaggiù.

Nella notte dell'Ultima Cena, sedendo a mensa con i suoi fratelli, dopo aver osservato pienamente le prescrizioni della legge, si diede in cibo agli apostoli con le proprie mani.

Il Verbo fatto carne cambia con la sua parola il pane vero nella Sua carne e il vino nel Suo sangue, e se i sensi vengono meno, la fede basta per rassicurare un cuore sincero.

Adoriamo, dunque, prostrati un sì gran sacramento; l'antica legge ceda alla nuova, e la fede supplisca al difetto dei nostri sensi.

Gloria e lode, salute, onore, potenza e benedizione al Padre e al Figlio: pari lode sia allo Spirito Santo, che procede da entrambi. Amen.


Per ascoltare il Pange Lingua (Gloriosi)