Il
discorso circa il «diavolo» (dal greco διάβολος, dal tema διαβολ/διαβαλ di
διαβάλλω)[1], risulta più che mai
complicato, soprattutto al tempo di oggi, dato che pare vi sia un vero e
proprio svuotamento non solo di tale realtà ma anche – forse ancor prima – di
ciò che la parola «diavolo» indichi.
Nella
Scrittura la parola, dall’ebraico דָּבָר (dāḇār), ha una importanza notevole. Da un
lato essa esprime il «contenuto» che sta in fondo alla parola stessa,
per cui non è possibile separare la parola dal suo contenuto; dall’altro
lato esprime una realtà che è disponibile soltanto nella parola.[2]
Ora, la parola in esame è quella di «diavolo». Lungi dal voler essere un esame esaustivo di tale parola e del suo contenuto – di conseguenza della realtà ben precisa a cui rimanda –, ci si concentrerà su alcuni aspetti presi dal saggio «Alberto Castaldini, Dolore del mondo e mistero di iniquità. Il male in Rm 8,18-39, Aracne editrice, Canterano 2020».
Anzitutto
la parola diabolos del Nuovo Testamento (NT) rimanda all’ebraico שָׂטָן (śātān), che è quella che si trova nell’Antico Testamento (AT).
La radice di tale parola significa «avversare», «accusare», per cui il satana
significa l’«accusatore», l’«avversario» (di Dio). I riferimenti nell’AT
sono vari, come ad esempio Gb 1,6-12; Zc 3,1s. Anche nel libro della Sapienza
vi è un chiaro riferimento (Sap 2,24), ma il medesimo fu redatto totalmente in
greco e circa nel I sec. a. C., per cui non rientra nel canone ebraico.
Infatti, non compare שָׂטָן (śātān) ma διάβολος (diabolos).
Nel NT troviamo ugualmente
vari riferimenti riguardanti la medesima realtà espressa dalla parola diabolos
e dalla parola śātān, espressa anche con altre parole («demonio»;
«maligno» ecc.) come ad esempio Mt 4,3; 13,24-30; Mc 5, 1-13; Lc 4,1-13; 10,
14-20; Gv 3,12; 13,27; 17,15 solo per riportarne alcuni, dato che nel NT la
parola diavolo compare 37 volte mentre la parola satana compare
36 volte. L’identificazione della stessa realtà espressa dalle due parole è confermata
dal libro dell’Apocalisse (12,9): Fu scacciato il grande drago, il serpente
antico, che è chiamato il diavolo e il satana […]. Inoltre, in questo passo
dell’Apocalisse compare anche il «serpente antico», che si identifica col
diavolo o il satana. Pertanto, «serpente antico», «diavolo» e «satana»
designano la stessa realtà. Ciò non può non rimandare anche al serpente
di Gen 3. Ed ecco che sorge la domanda: come intendere dunque la realtà
espressa dalle parole «diavolo» e/o «satana», ma anche da «serpente antico»?
Una prima risposta è fornita, seppure non in maniera
assolutamente esplicita, dalla Scrittura stessa.
Quello che emerge è che certamente non si tratta di
qualcosa di ambiguo o di «impersonale», dato che l’azione di opposizione, di
avversione, di accusatore è svolta da un «soggetto» ben preciso, il principale,
ma non è il solo (Cfr. Mt 25,41). Insomma, ci si chiede se il diavolo,
se il Satana – con l’iniziale maiuscola in quanto indica un soggetto ben
preciso, nominandolo, – sia una «personificazione» del male o una «persona». La
questione, per quanto riguarda in particolar modo il diavolo, non è così
semplice, ma comunque non è da considerare come un principio alternativo a Dio.[3]
Il percorso storico che ha conosciuto la nozione di
«persona» è abbastanza noto, per cui in questa sede non verrà trattato, ma
soltanto accennato. Tuttavia è importante notare che il termine «volto», in
greco πρόσωπον (prόsopon), in ebraico risulta פָּנִים (pānīm). Di per sé, il volto,
rimanda ad un soggetto, il quale non cade neanche in una sorta di anonimato.
Ora, se col tempo il πρόσωπον passò ad indicare la «maschera» posta sul volto,
il termine stabilito per indicare la «persona» fu quello di «ὑπόστασις»
(hypόstasis), che significa «base», «fondamento», «soggetto», «sostanza reale»
ecc., per cui indica una realtà ontologica concreta.[4]
Infatti, è nota anche la definizione di «persona» di san Severino Boezio: persona
est rationalis naturae individua substantia. Al riguardo, è importante precisare
in che modo può esser preso il termine «sostanza»: nel primo modo si dice sostanza
l’essenza della cosa (quidditas rei) espressa dalla sua definizione
(es.: uomo; animale); nell’altro modo si dice sostanza il soggetto o
supposito che sussiste nel genere di sostanza (quod subsistit in genere
substantiae), indica il sussistente concreto, per cui è detto anche soggetto
o supposito (es.: Pietro; Giovanni).[5]
Dal punto di vista logico, nel primo modo si tratta della «sostanza seconda»,
nel secondo modo si tratta della «sostanza prima». Nel caso della persona
ci si trova nella sostanza prima, ma il termine persona aggiunge
a quello di sostanza la determinazione della natura, cioè la razionalità.[6]
Pertanto, la persona significa ciò che di più perfetto/nobile si trova
nell’universo, cioè il sussistente nella natura razionale.[7]
Ora, ciò che sussiste nella natura razionale è «persona»; ma gli angeli, come emerge
anche dalla Scrittura, sono esseri di natura razionale o intellettuale; per cui
gli angeli sono «persone». Ma dato che anche il diavolo viene presentato
come un essere angelico, si conclude che anch’egli debba essere una «persona»,
dotato di «personalità».[8]
Pertanto, la persona è il sussistente nella
natura razionale, e appunto per questo esprime fortemente l’esistere per
sé, avere l’essere per sé, sempre partecipato da Colui che è l’Essere per sé
sussistente (Ipsum esse subsistens). Da qui sorge una questione molto
interessante: Dio è l’Essere per sé sussistente ed è somma Bontà, che partecipa
l’essere al mondo creaturale, e l’essere come atto esprime «perfezione». Ma il diavolo
è colui che si frappone, colui che divide e va contro le perfezioni stabilite
da Dio, per cui andrebbe anche contro quell’essere che Dio comunica per via
partecipativa al mondo creaturale. Infatti, il diavolo o il Satana,
non è mai se stesso, anzi è la negazione continua di ogni precisazione del suo
essere […]. Come si presenta Mefistofele con una frase lapidaria molto
espressiva: «Io sono lo spirito che nega sempre!».[9]
Il diavolo, in
radicale opposizione alla possibilità creatrice (che coinvolgerà l’uomo nella
“nuova creazione” alla fine del tempo), si conferma il principale costante
nemico del progetto divino edificato sull’amore e sulla libertà.[10]
Per cui l’azione del diavolo è anche una vera azione di
spersonalizzazione nei confronti dell’uomo, che smarrisce se stesso aderendo a
questi, al suo piano di morte.[11]
In merito a questo smarrimento, Joseph Ratzinger (Papa Benedetto XVI) si
esprime chiaramente riguardo alla considerazione del «peccato» in questi ultimi
anni:
il peccato è uno dei temi su
cui regna un perfetto silenzio. La predicazione religiosa cerca di evitarlo
accuratamente. Il teatro e la cinematografia utilizzano il termine in senso
ironico e come tema di intrattenimento. La sociologia e la psicologia cercano
di smascherarlo come un’illusione o un complesso. Persino il diritto tenta di
fare sempre più a meno della nozione di colpa e preferisce servirsi di una
terminologia sociologica, che riduce l’idea del bene e del male a un dato
statistico e si limita a distinguere tra comportamento normale e comportamento
deviante. Ciò implica che le proporzioni statistiche possono anche
capovolgersi: quel che oggi è la deviazione può un giorno diventare la regola
[…].[12]
Altro punto, molto interessante e messo in
luce nel saggio, è quello riguardante l’«anomos» [ἄνομος, da ἀ- privativo e
νόμος], che vuol dire «senza legge», «ingiusto», che è strettamente connesso ad
ἀνομία (anomia), ossia «illegalità», «ingiustizia», «empietà».[13]
Dunque un tratto importante da considerare è che il diavolo cercherà
sempre di confondere la giustizia con l’iniquità, con lo scopo dello
smarrimento dell’uomo e affinché l’umanità non sappia capacitarsi della
persistenza della propria sofferenza in un mondo che fu creato per la sua
felicità. E nonostante ciò è l’uomo stesso che lo permette con l’adesione ai
piani dell’iniquità.[14]
Ma in principio era il Logos, Colui che non è solo Via e Verità, ma anche Vita,
e l’ultima parola non spetta alla morte ma alla Vita (Cfr. Ap 1,17-18).
Per concludere, certamente occorre
approfondire l’aspetto riguardante l’ἄνομος (anomos), dato che ciò rimanda
senza dubbio al piano «morale», che gode di una importanza notevole e che
spesse volte, purtroppo, subisce una vera e propria distorsione a causa di un
vero e proprio snaturamento. Allora è da considerare, poiché questo aspetto
riguarda l’ἀνομία, ciò che concerne non soltanto la legge morale naturale ma
ancor prima la Legge eterna di Dio, poiché colui che è l’ἄνομος si pone già
contro la Legge di Dio, e di conseguenza contro la legge naturale partecipata
da Dio all’uomo. Ora, poiché ogni agente agisce per un fine (omne agens agit
propter finem), e il primo principio della ragione pratica si fonda sulla
nozione di «bene», che è ciò che tutte le cose desiderano, il primo precetto
della legge è che bisogna «fare e cercare il bene e bisogna evitare il male».
Su questo si fondano gli altri precetti.[15]
Ed è appunto per questo che occorre prestare attenzione all’aspetto dell’ἀνομία,
dacché si pone contro ogni forma di legge, compresa quella (morale) naturale, e
di conseguenza contro il bene. Non solo, ma l’adesione umana all’ἄνομος
certamente avrebbe modo di sfociare in una legge (umana positiva) contro la
legge naturale, sulla quale invece dovrebbe fondarsi. Ma in tal modo non si
avrebbe più una legge, bensì corruzione della legge.[16] Per
cui è importante l’approfondimento, considerando ciò che molto spesso si
cerca – non a caso – di negare: la «libertà», che ha a che fare fortemente con
il subsistens in rationali natura, ossia la «persona», e in questa si
fondamenta, la quale trova il suo fondamento ultimo in «Ego sum qui sum» (Es
3,14).
[1]
Dal Vocabolario etimologico e
ragionato del Romizi. Pertanto, διαβάλλω vuol dire «getto attraverso», «metto
discordia», «calunnio», «accuso». Evince l’aspetto di separazione, di mettersi
di traverso.
[2] Cfr. AA. VV., Nuovo dizionario enciclopedico illustrato della Bibbia, Piemme, Casale Monferrato (AL) 20052, p. 772.
[3] Cfr. A. Castaldini, Dolore del mondo e mistero di iniquità. Il
male in Rm 8,18-39, Aracne editrice, Canterano 2020, pp. 32-33.
[4] È importante il fatto che il
percorso della nozione di «persona» sia avvenuta certamente per mezzo di
speculazioni filosofiche, ma le esigenze erano fortemente teologiche
(trinitarie e cristologiche). Infatti, ci troviamo nei primi secoli del
Cristianesimo, meglio ancora nei primi Concilȋ: Nicea I (325 d.C.);
Costantinopoli I (381 d.C.); Efeso (431); Calcedonia (451). Al riguardo va
espresso il contributo determinante dei Padri Cappadoci san Basilio, san Gregorio
di Nissa e san Gregorio di Nazianzo.
[5] Cfr. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia, q.
29, a.2.
[6] Cfr. Ibid., IIIa,
q. 2, a. 3.
[7] Ibid., Ia, q.
29, a. 3. In questa definizione san Tommaso perfeziona quella di san Severino
Boezio.
[8]
In questa sede non ci si
sofferma sulla gerarchia angelica risalente allo Pseudo-Dionigi l’Areopagita
(De Coelesti Hierarchia) e sul posto gerarchico del Satana, che comunque viene
identificato con Lucifero (per esempio in Origene, san Gregorio di Nazianzo, san
Girolamo, sant’Anselmo d’Aosta e altri). In ogni caso il Catechismo della
Chiesa Cattolica riporta che all’inizio era un angelo buono, creato da Dio,
come gli altri angeli ribelli, ma che da se stessi si sono trasformati in
malvagi (Cfr. CCC., n. 391).
[9] R.
Lavatori, Satana, l’angelo del male, La fontana di Siloe, Torino
2018, p. 521.
[10]
A.
Castaldini, Dolore
del mondo e mistero di iniquità. Il male in Rm 8,18-39, Aracne editrice,
Canterano 2020, p. 60.
[11] Cfr. Ibid., p. 32.
[12] J.
Ratzinger (Benedetto XVI), In principio Dio creò il cielo e la terra.
Riflessioni sulla creazione e il peccato, Lindau, Torino 2006, pp. 86-87.
[13] Cfr. A. Castaldini, Dolore del mondo e mistero di iniquità. Il
male in Rm 8,18-39, Aracne editrice, Canterano 2020, p. 19. Il testo
rimanda anche a 2Ts 2,8 in cui: l’«empio» (ἄνομος) sarà rivelato e il Signore Gesù lo distruggerà col soffio
della sua bocca e lo annienterà con lo splendore della sua venuta. Tale
contesto sarebbe quello riguardante la figura dell’anticristo.
[14] Cfr. Ibid., p. 79.
[15] Cfr. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIa,
q. 94, a.2.
[16] Cfr. Ibid., q. 95, a. 2.