Una riflessione cristiana
in merito a un tema ricorrente.
A volte si prende
consapevolezza di alcune posizioni che pare presentino delle imprecisioni. Vorrei concentrarmi su queste «imprecisioni» che non credo
possano passare inosservate… e nemmeno innocue, col rischio di risultare anche
un po' pungente.
Il problema risiederebbe in alcune posizioni che pare esprimano una sorta di opposizione forte, che sfocerebbe nella esclusione: o si sceglie la vita laicale, e con ciò non sarà possibile servire Dio come si deve, o si sceglie una vita da religioso, una vita da suora, e allora sarà possibile servire Dio come si deve e chi ricevesse il sacramento dell’Ordine (sacerdozio ministeriale) lo servirebbe ancora meglio… Il problema non risiede affatto nella scelta in sé, ma come questa viene presentata, quasi a voler far trapelare che «o» si sceglie in un modo «o» in un altro modo, con la differenza che uno dei due modi va bene mentre l’altro va meno bene. Una esclusione tale che, in altri termini, conduce il pensiero ad un velato aut-aut, ma questo rimanderebbe ad altre e precise considerazioni. In questo caso la vita laicale non avrebbe poi così tanta importanza, e discorso a parte meriterebbe la parola «laico» – da λαός (popolo) –, il cui significato discosta evidentemente da quello che ultimamente viene attribuito a tale parola, con forte senso di opposizione, da cui spesse volte l’espressione: «non sono cattolico ma laico». E allora? Cosa vuol dire?
Vale la pena tornare sul
tema, anche perché si chiamerebbe in campo quel «sacerdozio comune» dei fedeli
del quale non pare se ne senta parlare tanto. Certamente vi sarebbe da fare un
discorso che tocchi anche alcuni punti di storia della Chiesa, ma con approccio
storico, comprese le contestualizzazioni e senza prendere un po' di qua e un
po' di là per poi suturare il tutto, anche perché verrebbe fuori una sutura
inesatta, per poi attendere inevitabilmente la guarigione per seconda intenzione
(espressione in ambito chirurgico).
Comunque verrebbe da
chiedersi per quale motivo vi sono posizioni che propendono quasi per una
separazione tra il «sacerdozio ministeriale» e il «sacerdozio comune», e ancor
peggio quasi escludendo il secondo. In altre parole, l’attenzione non riguarda
la cosa in sé, ma ciò a cui una persona è chiamata. Insomma, entriamo nel campo
della «vocazione» – non è da intendere esclusivamente con il solito prendere i
voti, dato che il discorso è molto più ampio –, che non è uguale per tutti e
non è possibile pretendere che lo sia! È un tema abbastanza delicato che
meriterebbe di essere trattato accuratamente. Dunque il problema non riguarda
affatto la scelta in sé di una persona – e ci mancherebbe! –, ma come
questa scelta viene presentata, quasi che la vita laicale fosse insufficiente
per il cammino cristiano verso la santità. Ciò riguarda alcuni mezzi di comunicazione, attraverso i quali pervengono informazioni alquanto scorrette. Magari non rientrerà nella intenzione della comunicazione, e allora questa dovrebbe considerare meglio alcuni aspetti certamente rilevanti, in modo tale da evitare anche di distorcere la testimonianza di una persona. Alcune parole dell’Apostolo: A
ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la grazia secondo la misura del dono di
Cristo (Ef 4,7); Ciascuno, fratelli, rimanga davanti a Dio in
quella condizione in cui era quando è stato chiamato (Rm 7,24). Con questo
passo di san Paolo mi collego alla esortazione apostolica postsinodale Christifideles
laici di san Giovanni Paolo II, la quale risulta illuminante in merito al
tema dei laici «nella Chiesa e nel mondo». Nel documento si legge: i fedeli
laici sono chiamati in particolare a ridare alla creazione tutto il suo
originario valore. […] La partecipazione dei fedeli laici al triplice
ufficio di Cristo sacerdote, profeta e re trova la sua radice prima
nell’unzione del Battesimo, il suo sviluppo nella Confermazione e il suo
compimento e sostegno dinamico nell’Eucaristia (n. 14). Ed ecco che quella
sorta di opposizione a modo di esclusione che traspare da alcune posizioni non
ha motivo di esistere: la comune dignità battesimale assume nel fedele laico
una modalità che lo distingue, senza però separarlo, dal presbitero, dal
religioso e dalla religiosa (n. 15). Il testo precisa che il fedele laico non
è separato, ma è comunque distinto dal presbitero, dal religioso e
dalla religiosa. Tale precisazione è importante per non gettare tutto nel
calderone per poi sostenere alcune posizioni aventi come fondo l’indistinzione
più assoluta. Ciò non sarebbe reale dacché vi sono delle distinzioni che sono
da riconoscere e da rispettare – traspare già dal passo riguardante Abramo e
Melchìsedek (Cfr. Gen 14,19-20) –, ma senza separazione. Vi è diversità di
ministeri ma unità di missione. I fedeli sono chiamati ad attuare, secondo la
condizione propria di ciascuno, la missione che Dio ha affidato alla Chiesa da
compiere nel mondo (CIC, can.
204, § 1). Inoltre,
il testo della Christifideles laici si esprime anche in merito alla
«dignità battesimale», che molto spesso pare si trovi nel dimenticatoio, col risultato
di un vero e proprio prorompere di espressioni e posizioni del tutto avulse da
quel che sarebbe il loro contesto. Pertanto, sia il sacerdozio ministeriale sia
il sacerdozio comune di tutti i fedeli, ognuno a suo proprio modo, partecipano
all’unico sacerdozio di Cristo, pur con differenze essenziali, che ci sono e
vanno riconosciute e rispettate. Per cui non è possibile neanche ascoltare interventi
del tipo: «quel prete ha sbagliato, se la vedrà dall’altra parte» e altri che
non riporto. Anzitutto, se un prete sbaglia, ciò non riguarda lui soltanto ma
l’intero Popolo di Dio, laici compresi, e bisognerebbe far sì che si rimedi a
quello sbaglio, senza assumere comportamenti isolati sulla base della falsa
separazione tra il sacerdozio ministeriale e quello comune. Lo stesso vale per
il prete, per cui se alcuni fedeli laici commettono degli errori, non è
possibile far finta di nulla.
Il titolo «servitore del
mondo o servitore di Dio: in che modo?», per essere sinceri, interpella sia il
sacerdozio ministeriale sia quello comune, poiché si pone sul
piano del «fine». Scambiare il mezzo per il fine può riguardare entrambe le
parti.
Insomma, si tratta di prendere
maggiore consapevolezza della nozione di «Corpus Mysticum Christi», in cui vi è
distinzione ma non separazione.
Si potrebbe continuare
ulteriormente, ma a questo punto si rimanda ad alcuni documenti sul tema (per
es. la Lumen gentium del Concilio Vaticano II). Inoltre, tra i
sacramenti abbiamo anche il Matrimonio, il quale presenta un dato singolare: i «ministri»
di tale sacramento sono gli sposi, che mediante il «consenso» fanno sì che si
costituisca il Matrimonio. Ovviamente un consenso libero e senza impedimenti (Cfr.
CCC, n. 1625). Il sacerdote accoglie il consenso degli sposi a nome della
Chiesa e dà la benedizione della Chiesa, esprime visibilmente che il Matrimonio
è una realtà ecclesiale (Cfr. Ibid., n. 1630) e gode di unità e di
indissolubilità. Conosco tanti laici che sono eccellenti, persone squisite e
impegnate su tanti fronti e con qualità eccelse, così come conosco sacerdoti
ministeriali eccellenti e religiosi e religiose – e non solo – impregnate di
quella caritas cristiana di cui parla san Paolo (Cfr. 1Cor 13,1-13).
Purtroppo anche la parola «carità» è quasi diventata un modo di dire, perdendo
il senso profondo dell’agape, dell’amore di dilezione, che è il
solo amore che guarda al valore «intrinseco» della persona in quanto tale.
Pertanto, credo sia opportuno porre in luce proprio quella «dignità
battesimale», dalla quale inizia la vita cristiana. Inoltre, dopo tante cose
che son state dette ultimamente proprio sul sacramento del Battesimo – per
l’ennesima volta –, forse sarebbe il caso di esprimersi con termini più
opportuni qualora ci si addentrasse nell’argomento.
Ci sarebbe tanto da dire
– in questo caso ‘da scrivere’ –, ma credo che il messaggio si possa cogliere
facilmente.
La «caritas» cristiana,
questa sì che ha la sua vera esclusività… e non esclude affatto!
Gabriele Cianfrani