Blog di informazioni e riflessioni su quanto concerne temi cristiani

domenica 31 marzo 2024

E VIDE E CREDETTE: L'EVENTO CHE HA CAMBIATO IL MONDO


 

Il giorno di Pasqua si manifesta in tutta la sua portata, in tutto il suo fascino anche a coloro che si dichiarano non credenti o che professano altre fedi. Sì, inevitabilmente il giorno di Pasqua rimanda a qualcosa. Ma a cosa? Ad una rinascita interiore o all’augurio che le cose possano andare meglio? Ad un giorno trascorso in compagnia tra balli e risate? Tutte cose lecite e buone, ci mancherebbe, ma la Pasqua del Signore è altro. Non che le cose di contorno non vadano bene, ma occorre afferrare il contenuto dell’evento pasquale ed è possibile farlo. Chiedo la pazienza di leggere l’articolo interamente.

In realtà la vera fede nasce dal sepolcro, da quel medesimo sepolcro nel quale era stato posto il corpo di Gesù di Nazaret, il corpo di colui che fino a poco tempo prima si era presentato come «la Vita» (Ego sum via, et veritas, et vita. Nemo venit ad Patrem, nisi per me, come si legge in Gv 14,6-7). Domanda: in che modo la morte può riguardare colui che si è presentato come la Vita? O meglio, per essere più taglienti: in che modo «il Vivente» può andare incontro alla morte? Come può «il Vivente» ridursi all’essere «morente»? La riposta è che Gesù ha la potestà di porre/dare la sua vita e di riprendersela (cfr. Gv 10,17-18), in tal modo il Vivente conobbe la morte non perché la morte ebbe potestà su di lui, ma perché Gesù il Cristo ebbe potestà sulla morte, colui che è vivente nei secoli dei secoli (cfr. Ap 1,18). Ed ecco un aspetto fondamentale sia dal punto di vista teologico sia metafisico: la morte non potrebbe «esserci» se mancasse quel bene verso il quale la morte si dirige per morderlo, per logorarlo, per esaurirlo. La morte, che di per sé tende al non essere, nella constatazione dei fatti essa in qualche modo è, ossia esiste. Come mai? Ebbene l’esistenza della morte è secondaria e subordinata all’esistenza del bene fontale senza il quale la morte non potrebbe esserci: la vita. In questo caso la vita in quanto tale non basta, dacché vita e morte si oppongono, nonostante il primato spetti sempre alla vita. In questo caso la risposta non risiede nella vita, ma nel Vivente, in colui che è la sua stessa vita – noi non siamo la nostra vita – e che ha la potestà di donarla e riprendersela.

Ma ora cerchiamo di concentrarci sul quel sepolcro dal quale è nato tutto e che ha cambiato sia la vita sia la morte.

Troppe volte si sente dire che «il sepolcro fu trovato vuoto»; «il corpo non c’era più, il sepolcro era vuoto»; «le donne andarono al sepolcro, ma lo trovarono vuoto» ecc. In realtà alcuni ‘studiosi’ affermano che il messaggio della resurrezione sarebbe soprattutto ‘teologico’, per cui il senso sarebbe ‘teologico’ e in tal modo il brano evangelico di Gv 20,1-9 andrebbe letto… Ma cosa vuol dire che il messaggio è teologico? Vuol dire che tale messaggio è scollegato con la realtà storica? Di cosa stiamo parlando? Queste posizioni non sono teologiche, ma anti-teologiche. La teologia, in quanto scientia fidei, deve necessariamente poggiare sulla storia dell’uomo, nonostante la sua origine non sia puramente umana (rimando agli articoli sulla fede che si trovano nel blog). Questo modo di procedere è anti-divino e anti-umano, e la prova è che il Lógos di Dio si è fatto carne, ha assunto natura umana. Il messaggio teologico deve necessariamente trovare riscontro nella storia dell’uomo, altrimenti il medesimo messaggio non avrebbe senso. La teologia è cosa seria, così come la filosofia, per cui bisogna ponderare bene le parole prima di proferirle. Semmai non si prestasse attenzione all’equilibro di ciò che la fede in quanto tale comporta, si rischierebbe di cadere in alcuni eccessi: razionalismo, storicismo, fideismo, deismo. Ma questi sono eccessi e come tali sono sbagliati. Una caratteristica fondamentale del concetto di «rivelazione» è quella della doppia valenza di soprannaturale e naturale, per cui Dio agisce nei confronti dell’uomo e lo fa lasciando, in qualche modo, le sue tracce.

Parlare in quei modi della resurrezione, con tutto il rispetto, vuol dire parlare del «vuoto», ossia del «nulla», e di conseguenza nullificare la resurrezione. Come può Dio, il quale ci conosce più di ogni altro, aver affidato il messaggio fondamentale della fede cristiana al «vuoto»? Il testo evangelico si esprime chiaramente: il sepolcro non era vuoto! Occorre indagare su quegli elementi che il Vangelo secondo Giovanni riporta con chiarezza disarmante e che non è possibile ignorare. Se lo facessimo ci prederemmo l’ammonizione di Pietro, che riguarda non solo le lettere paoline ma tutta la Scrittura: in essere ci sono alcune cose difficili da comprendere e gli ignoranti e gli instabili le travisano, al pari delle altre Scritture, per loro propria rovina (2Pt 3,16).

Non è possibile analizzare in dettaglio il brano evangelico di Gv 20,1-9, dal momento che richiederebbe troppo spazio, ma bisogna insistere sul fatto che tale brano riporta «tracce storiche» della resurrezione del Cristo. In modo particolare vorrei concentrarmi su alcuni elementi: le fasce, il sudario, il verbo «vedere». Ovviamente vi sono tanti altri elementi, ma la scelta di questi tre è stata doverosa. Al riguardo, nonostante molti studiosi si siano soffermati su questi elementi (Giuseppe Ghiberti, Xavier Leon-Dufour, Rudolf Schnackenburg, Giuseppe Segalla e altri), ritengo che alla ricerca del biblista don Antonio Persili debba spettare la giusta attenzione, dal momento che lo studioso mette in luce aspetti che in molti lavori mancano. Con ciò non si vuol porre Persili al di sopra degli altri, assolutamente no, ma semplicemente richiamare l’attenzione ad una ricerca della quale, purtroppo, non se ne parla mai e che invece meriterebbe non poca attenzione per precisione e capacità di analisi (A. Persili, Sulle tracce del Cristo risorto. Con Pietro e Giovanni testimoni oculari, Edizioni Centro Poligrafico Romano, Tivoli 1988).

La versione che Persili prende in considerazione è ovviamente quella greca, per cui egli si sofferma sui vocaboli greci per poi proporre una traduzione strettamente letterale di Gv 20,1-9, ma nel nostro caso ci soffermeremo dal versetto 5 al versetto 9.

Per quanto riguarda le fasce (τὰ ὀθόνια/tà othónia), che non bisogna confondere con la sindone (infatti, in Mt 27,59 si trova il riferimento σινδών/sindόn), queste avvolgevano interamente il lenzuolo di lino (sindone) e il discepolo che arrivò prima di Simon Pietro le vide che giacevano distese. Il fatto che giacessero distese vuol dire che non vi era più il corpo come sostegno. Inoltre, la sepoltura di Gesù non avvenne come quella di Lazzaro, per il fatto che il corpo di Gesù aveva versato molto sangue e la fasciatura avvenne interamente, senza lasciare aperture. Ecco le parole di Persili:

«le “fasce distese” costituiscono la prima traccia della risurrezione: era infatti assolutamente impossibile che il corpo di Gesù fosse uscito dalle fasce, semplicemente rianimato, o che fosse stato asportato, sia da amici che da nemici, senza svolgere le fasce o, comunque, senza manometterle in qualche maniera. Questa traccia sarebbe stata sufficiente per credere nella risurrezione, ma nel sepolcro v’era una traccia più sorprendente, che Pietro ebbe la ventura di vedere per primo: la posizione del sudario» (p. 145).

Il sudario (καὶ τὸ σουδάριον/kaì tò soudárion = e il sudario) non era né un lenzuolo né un panno mortuario, ma un fazzoletto che serviva per asciugare il sudore. Il sudario che Pietro vide era quello posto fuori e si trovava sul capo di Gesù e fuori le fasce (cfr. Gv 20,7), non quello che si trovava all’interno e che non era visibile. Qui il discorso si complica, per cui bisogna stare calmi e cercare di mantenere un certo equilibrio. La traduzione corrente è questa: «[…] e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non era per terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte». In latino risulta questo: «[…] et sudarium, quod fuerat super caput eius, non cum linteaminibus positum, sed separatim involutum in unum locum». Persili propende, per quanto riguarda «in unum locum», con la traduzione «nello stesso luogo» o «nella stessa posizione». Ora, il problema risiede tra le fasce e il sudario. Entrambi gli elementi avevano il corpo di Gesù come supporto in quanto avvolgevano il suo corpo, ma le fasce furono trovate in un modo e il sudario in un altro. Inoltre, il famoso luogo a parte in cui sarebbe stato trovato il sudario, piegato e col significato di «tornerò», anche se avesse una qualche corrispondenza nei costumi ebraici, in questo caso è fuori contesto.

Il verbo vedere nel Vangelo secondo Giovanni ha molte sfumature, ormai note agli studiosi del Quarto Vangelo, che sono fondamentali per capire il tipo di «sguardo». In modo particolare Giovanni usa tre verbi nello stesso brano (Gv 20,1-9) e li utilizza in tal modo: per Maria di Magdala «καὶ βλέπει/kaì blépei»; per Simon Pietro «καὶ θεωρεῖ/kaì theoreî»; per il discepolo amato «καὶ εἶδεν/kaì eîden». In italiano vuol dire «e vide», senza cogliere le sfumature determinanti che l’evangelista ha volutamente lasciato. Il punto è che il «vedere», in questo caso, inizia da quello della vista corporea per andare a quella dell’intelletto. Ed ecco che la fede in quanto tale poggia sull’intelletto. Leggiamo la spiegazione di Persili:

Con il verbo «blépei» Giovanni vuol dire che non vede tutto, ma scorge qualcosa, che gli fa iniziare il cammino della fede. […] Quando Pietro giunge al sepolcro, entra e rimane in contemplazione «theoreî» dello spettacolo che le fasce e il sudario offrono, ma non ne comprende il messaggio. […] Infine Giovanni entrò nel sepolcro e non appena osservò le fasce distese e soprattutto il sudario rialzato, comprese immediatamente che esse costituivano le tracce lasciate dalla risurrezione del corpo di Gesù, e credette. Per esprimere questo vedere con intelligenza, Giovanni usa il verbo «kaì eîden», accompagnato dal verbo della fede «καὶ ἐπίστευσεν/haì epísteusen»; Giovanni «vide, comprese e credette» (pp. 169-170).

A questo punto credo sia giunto il momento della traduzione proposta da Persili in merito al brano evangelico di Gv 20,1-9:

(Maria di Magdala) corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: “Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!”. Uscì allora Simon Pietro insieme all’altro discepolo, e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Chinatosi, scorge le fasce distese, ma non entrò. Giunge intento anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entra nel sepolcro e contempla le fasce distese (afflosciate, vuote, non manomesse), e il sudario, che era sul capo di lui, non con le fasce disteso, ma al contrario avvolto (rimasto nella posizione di avvolgimento, perciò rialzato ma non sostenuto nell’interno, perché vuoto) in una posizione unica (straordinaria, eccezionale, perché contro la legge di gravità). Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti (pp. 161-162).

Ora, vi sarebbero tanti altri elementi su cui soffermarsi (il giardino; la figura di Maria di Magdala; il suo iniziale non riconoscimento di Gesù e il successivo riconoscimento in seguito alla pronuncia del nome; il terzo giorno; il giorno dopo il sabato; i due che stanno da una parte e dall’altra della pietra sepolcrale; il lenzuolo chiamato «sindone» e tanti altri), ma credo di essermi dilungato già troppo per un articolo. Lo scopo è stato quello di utilizzare il preciso studio di Persili per mettere in luce un dato fondamentale: Cristo è risorto e ha lasciato le tracce della sua resurrezione. Occorre soltanto mettersi alla ricerca delle tracce a partire dal testo. Ed ecco che il contenuto teologico si radica fortemente nella dimensione storica per andare oltre la dimensione storica. Il sepolcro non era vuoto, ma pieno delle tracce della resurrezione.

Gabriele Cianfrani


PS. Il video sotto, tratto dal film "The Passion", potrebbe rendere l'idea.

https://www.youtube.com/watch?v=VLTzQXNcxmk

giovedì 21 marzo 2024

A COSA DOBBIAMO CREDERE? TRA VERITA' E MISTIFICAZIONE (prima parte)

 


Ultimamente giungono all’attenzione alcuni temi che riguardano una realtà ben precisa, ossia la Watchtower (o Watch Tower) Society, ossia la Società della Torre di Guardia, ossia i Testimoni di Geova. Da premettere che chi scrive non lo fa volentieri, dal momento che ormai si tratta di una realtà chiaramente inquadrata, per cui sarebbe alquanto superfluo scrivere al riguardo. Inoltre, chi scrive è ben consapevole che alcune persone potranno restarci male e avanzare delle accuse, ma non è possibile continuare a voltarsi dall’altra parte per il semplice motivo di non inimicarsi nessuno. Mi dispiace, ma questo atteggiamento tiepido (né carne né pesce) non può essere approvato. È pur vero che anche in ambiente cattolico si respira, a volte, un’aria di appiattimento di quelli che sono i «divini misteri», con il conseguente appiattimento di quello che viene tradizionalmente chiamato il nexus mysteriorum. Da ciò ne consegue una quasi allergia per i «dogmi», come se questi fossero stabiliti arbitrariamente da una istanza superiore, la quale impone l’osservanza cieca degli stessi. Certamente è richiesto il pieno assenso dell’intelletto al dogma, ma il dogma in quanto tale non prescinde né dalle fonti della Rivelazione divina né dalla capacità dell’intelletto umano di capire il contenuto della stessa Rivelazione, ed esprimerlo mediante la formulazione riguardante una precisa verità di fede. Se proprio volessimo dirla tutta, il «dogma» consente di capire almeno due aspetti fondamentali: 1) il Dio che si rivela è Colui che è sommamente intelligente e ci consente esprimerci su di Lui e sulle sue opere, per il fatto che sia Lui sia le sue opere possono essere conosciute con l’intelletto; 2) il Dio che si rivela è Colui che ci è più intimo di quanto noi lo siamo a noi stessi, per riprendere una espressione di sant’Agostino. Cosa vuol dire? Il dogma può dire tutto di Dio? Assolutamente no, ma ciò che si può dire di Dio è possibile proprio perché Egli si è fatto conoscere, per questo la natura del dogma è immutabile, perché si fonda direttamente su Dio e su quanto Egli ha fatto conoscere delle sue opere. Insomma, qui è in gioco un punto di vitale importanza: la possibilità di conoscere Dio e di dire qualcosa su di Lui.

Ora, questo punto potrebbe comportare due rischi, se non trattato in maniera equilibrata: 1) la convinzione di conoscere tutto di Dio; 2) la convinzione di non poter conoscere nulla di Dio. In entrambi i casi Dio non avrebbe più senso. Semmai si conoscesse tutto di Dio, non sarebbe più Dio, in quanto risulterebbe finito come noi e sarebbe solo una nostra proiezione (che senso avrebbe?); semmai non si potesse conoscere nulla di Dio, ugualmente non sarebbe più Dio, in quanto non essendo neanche minimamente conoscibile non potrà che essere nulla e il nulla, per definizione, è inconoscibile (che senso avrebbe?). Ed ecco che occorre stare nel mezzo: Dio è conoscibile, ma la sua conoscibilità non lo esaurisce, anzi, fa di Lui l’eternamente conoscibile.

Per quale motivo queste precisazioni? Ebbene, da alcuni anni vi sono voci che denunciano l’inquinamento del pensiero greco nei confronti del Cristianesimo, come se il Cristianesimo dovesse liberarsi da questo inquinamento e ritornare alla sola fonte biblica. Si tratta della cosiddetta «deellenizzazione». Peccato che questa strada conduca in un vicolo cieco. Sì, perché la stessa fonte biblica (redazione dei testi) esprime chiaramente che ciò sarebbe del tutto innaturale, oltre al fatto che condurrebbe ai rischi riportati sopra.

Pertanto, la questione relativa alla Torre di Guardia è una questione che deve tener conto anzitutto di due cose: 1) il testo biblico in quanto tale, con riferimento alle lingue originali e alle traduzioni proposte; 2) cosa Dio ha rivelato e come lo ha fatto.

Per trattare questi punti in merito a ciò che viene proposto dalla Torre di Guardia, mi servirò principalmente di due testi: l’opuscolo della Torre di Guardia “Dovreste credere alla Trinità?” e lo studio di Valerio Polidori, “La Bibbia dei Testimoni di Geova. Storia e analisi di una falsificazione”, EDB, Bologna 2013. Nonostante la consapevolezza che lo studio di Polidori ha ricevuto qualche critica, lo si ritiene apprezzabile soprattutto per le note filologiche, oltre che teologiche. Ma vi saranno anche altre osservazioni.

A questo tema saranno dedicati alcuni articoli, probabilmente non ordinatamente in successione, i quali susciteranno – forse – delle perplessità o addirittura delle antipatie, ma si è disposti a correre il rischio. Ovviamente non si vuole attaccare nessuno dal punto di vista personale e sarebbe un grande dispiacere, per il sottoscritto, se qualcuno pensasse tal cosa. Le osservazioni critiche verteranno esclusivamente sul contenuto di ciò che si vuole proporre, ossia sulla dottrina, mai sulle persone in quanto tali e per nessuna ragione!

In poche parole gli articoli che seguiranno vorranno essere un contributo per chiarire – speriamo – alcuni temi che spesse volte oscillano tra verità e mistificazione e che ogni tanto bussano alla porta. Purtroppo, a volte, si tratta proprio di mistificazione e non è possibile continuare con un buonismo che in realtà nasconde una crisi di fondo proprio in chi si presenta come tale.

Per concludere, una cosa deve essere chiara fin da ora: il Cristianesimo e l’essere cristiani hanno una identità ben precisa, non ci si trova nell’anonimato, e tale identità si fonda su Colui che manifesta il volto del Padre in quanto è rivolto al Padre da prima che Abramo fosse, o meglio, dall’eternità.


Gabriele Cianfrani


giovedì 7 marzo 2024

ADAMO, DOVE SEI?


 

Quanto accaduto il 4 marzo 2024 in Francia, che ha visto addirittura la modifica della Costituzione per consentire l’ingresso della «interruzione volontaria di gravidanza» (Ivg), con 780 voti a favore e 72 contro (come dal sito dell’ANSA), e con l’esultanza del presidente francese Macron: «Fierezza francese, messaggio universale», appare come il primo caso al mondo in cui una simile decisione giunge persino a toccare la stessa Costituzione.

È il caso di spendere alcune parole al riguardo, dal momento che tale decisione e l’esultanza del presidente francese risultano essere un inno all’oblio dell’uomo. Inoltre, il sottoscritto è sempre più convinto del fatto che la ragione in quanto tale ha conosciuto, nella storia umana, i suoi momenti di gloria, ma da un po' di anni a questa parte si trova nell’arresto più totale. La ragione umana, continuamente osteggiata dal dominio della tecnica spregiudicata, al punto tale da rendersi dipendenti da quella che, con vero e proprio abuso logico e ontologico viene chiamata «intelligenza artificiale», ormai si ritrova ad essere nella quasi totale atrofia, in una sorta di «intellettogramma» piatto – mi si consenta questo neologismo. Tuttavia, non si pensi che chi scrive sia contrario al progresso tecnologico, ma dal momento che in medio stat virtus, e questa medietà è stata completamente smarrita, l’uomo di oggi non sta facendo altro che rendersi schiavo delle sue stesse azioni. Procediamo con la riflessione.

Non tratterò dell’aborto in sé, che è omicidio a tutti gli effetti e si faccia avanti chi pretende di negarne l’evidenza, né delle riprovevoli parole del presidente francese che ho tratto dall’ANSA – e questa persona vorrebbe dare lezioni di civiltà alle altre Nazioni? Sarebbe meglio se si facesse un bagno in acqua corrente (ispirazione eraclitea) –, ma dell’affermazione sempre più evidente di quello che risulta essere un vero e proprio «antropocentrismo» senza precedenti, con tanto di presunzione e arroganza, celate sotto il velo della falsa modestia ed umiltà (si consiglia la seguente lettura: Le lettere di Berlicche di C. S. Lewis).

A differenza del Cristianesimo, il quale è cristocentrico e non antropocentrico, l’uomo di oggi si considera così tanto una piccola parte dell’universo da battersi, senza tregua, per la salute della natura. Ricordate? La grande rivoluzione che ha scardinato la pretesa della società dell’uomo al centro dell’universo, per cui non più l’uomo al vertice del creato, dal momento che esso è una piccola parte dell’universo sterminato. Peccato che la confusione – e forse direi anche l’ignoranza – su tale punto permane indisturbata nel suo torpore, senza considerare che nella visione cristiana vi è Cristo al centro, non l’uomo. L’uomo è per Cristo, vero Dio e vero uomo. Il vertice del mondo creaturale è rappresentato certamente dall’uomo, da quello stesso uomo che ormai ha perso se stesso, ma l’uomo è per Dio e non per se stesso. Ebbene, con quest’ultimo atto del 4 marzo 2024, appare lampante come l’uomo si stia ponendo al principio e alla fine di tutto; l’uomo che stabilisce quale sia la «verità» delle cose, non adeguando se stesso alla cosa ma la cosa a se stesso; l’uomo che stabilisce chi deve vivere e chi deve morire (Ippocrate si rivolta nella tomba!); l’uomo che trasforma i capricci in presunti diritti naturali; l’uomo che si considera ‘modestamente’ come parte della natura e nonostante ciò si erge a redentore della medesima ecc. Insomma, abbiamo capito: il futuro è nelle mani dell’uomo. Non c’è niente da fare, sono sempre più convinto della mia posizione: la ragione è ferma! Valga per tutti quel capolavoro indiscusso che è il mito della caverna del grande Platone, che per alcuni studiosi si tratta di una analogia e non senza motivazione. Vi sono esempi della nobile sapienza greca che può essere accostata alla più nobile sapienza cristiana, la quale trae la sua sapienza dalla Sapienza stessa. Semmai si provasse a confrontare i contenuti della sapienza antica con quella della sapienza contemporanea, ci si renderebbe conto della frivolezza dei contenuti odierni rispetto a quelli passati. Se poi parlassimo della sapienza medievale, così tanto ignorata da molti… Lasciamo perdere.

Ciò che è accaduto il 4 marzo è l’esempio di come l’uomo si consideri parte – falsamente, oserei aggiungere – del mondo naturale, ma al contempo è l’esempio di come l’uomo proceda contro la natura. Sì, poiché la parola «natura», stando alla sua etimologia, significa anzitutto «nascere». In termini filosofici, quando si parla di «natura» in riferimento all’essenza dell’ente, si fa riferimento al principio di operazione propria di quell’ente, in grado di identificarlo. Tale «principio di operazione» vuol dire che vi è un «principio» ed una «operazione» che deriva da quel principio, ossia nasce da quel principio. Semmai si privasse l’ente di tale principio di operazione, lo si priverebbe della sua natura. E la conseguenza? La perdita dell’ente stesso. Ora, in merito alla donna in quanto donna, con la sua precisa natura, cosa vi sarebbe di più nobilitante per essa del suo essere principio della vita? Non si tratta di far fronte a casi difficili, come la conseguenza di una violenza o altro, questi sono eventi secondari. Importanti, assolutamente, ma secondari e non primari. L’obiettivo è di andare al principio della norma che regola la decisione presa in Francia, poiché anche una norma in quanto tale scaturisce da un principio.

A questo punto viene da concludere che il principio non è per niente «naturale», ma «artificiale», imposto alla natura stessa delle cose in maniera innaturale. A questo punto risulta chiaro lo smarrimento dell’uomo, all’interno di quell’antropocentrismo radicale odierno, che nella falsa considerazione dell’uomo nell’ordine naturale getta l’uomo stesso nel nulla. Ed ecco che la finzione dell’uomo d’oggi – non di tutti gli uomini, sia chiaro, ma di una buona parte – si manifesta nella sua presunta grandezza. Oggi più che mai risuonano, in tutta la loro forza allarmante, le seguenti parole: «diventerete come Dio/dei» (Gen 3,5). Certo, nella storia umana vi sono stati momenti notevoli che hanno assecondato le parole seducenti del serpente antico, ma quanto sta accadendo oggi risulta fuori controllo. Lo smarrimento della propria natura ha fatto il suo ingresso. Ma a tale smarrimento seguirà sempre l’inevitabile domanda, valida indistintamente per l’uomo in quanto uomo: «Adamo, dove sei?» (Cf. Gen 3,9).

Gabriele Cianfrani