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giovedì 21 marzo 2024

A COSA DOBBIAMO CREDERE? TRA VERITA' E MISTIFICAZIONE (prima parte)

 


Ultimamente giungono all’attenzione alcuni temi che riguardano una realtà ben precisa, ossia la Watchtower (o Watch Tower) Society, ossia la Società della Torre di Guardia, ossia i Testimoni di Geova. Da premettere che chi scrive non lo fa volentieri, dal momento che ormai si tratta di una realtà chiaramente inquadrata, per cui sarebbe alquanto superfluo scrivere al riguardo. Inoltre, chi scrive è ben consapevole che alcune persone potranno restarci male e avanzare delle accuse, ma non è possibile continuare a voltarsi dall’altra parte per il semplice motivo di non inimicarsi nessuno. Mi dispiace, ma questo atteggiamento tiepido (né carne né pesce) non può essere approvato. È pur vero che anche in ambiente cattolico si respira, a volte, un’aria di appiattimento di quelli che sono i «divini misteri», con il conseguente appiattimento di quello che viene tradizionalmente chiamato il nexus mysteriorum. Da ciò ne consegue una quasi allergia per i «dogmi», come se questi fossero stabiliti arbitrariamente da una istanza superiore, la quale impone l’osservanza cieca degli stessi. Certamente è richiesto il pieno assenso dell’intelletto al dogma, ma il dogma in quanto tale non prescinde né dalle fonti della Rivelazione divina né dalla capacità dell’intelletto umano di capire il contenuto della stessa Rivelazione, ed esprimerlo mediante la formulazione riguardante una precisa verità di fede. Se proprio volessimo dirla tutta, il «dogma» consente di capire almeno due aspetti fondamentali: 1) il Dio che si rivela è Colui che è sommamente intelligente e ci consente esprimerci su di Lui e sulle sue opere, per il fatto che sia Lui sia le sue opere possono essere conosciute con l’intelletto; 2) il Dio che si rivela è Colui che ci è più intimo di quanto noi lo siamo a noi stessi, per riprendere una espressione di sant’Agostino. Cosa vuol dire? Il dogma può dire tutto di Dio? Assolutamente no, ma ciò che si può dire di Dio è possibile proprio perché Egli si è fatto conoscere, per questo la natura del dogma è immutabile, perché si fonda direttamente su Dio e su quanto Egli ha fatto conoscere delle sue opere. Insomma, qui è in gioco un punto di vitale importanza: la possibilità di conoscere Dio e di dire qualcosa su di Lui.

Ora, questo punto potrebbe comportare due rischi, se non trattato in maniera equilibrata: 1) la convinzione di conoscere tutto di Dio; 2) la convinzione di non poter conoscere nulla di Dio. In entrambi i casi Dio non avrebbe più senso. Semmai si conoscesse tutto di Dio, non sarebbe più Dio, in quanto risulterebbe finito come noi e sarebbe solo una nostra proiezione (che senso avrebbe?); semmai non si potesse conoscere nulla di Dio, ugualmente non sarebbe più Dio, in quanto non essendo neanche minimamente conoscibile non potrà che essere nulla e il nulla, per definizione, è inconoscibile (che senso avrebbe?). Ed ecco che occorre stare nel mezzo: Dio è conoscibile, ma la sua conoscibilità non lo esaurisce, anzi, fa di Lui l’eternamente conoscibile.

Per quale motivo queste precisazioni? Ebbene, da alcuni anni vi sono voci che denunciano l’inquinamento del pensiero greco nei confronti del Cristianesimo, come se il Cristianesimo dovesse liberarsi da questo inquinamento e ritornare alla sola fonte biblica. Si tratta della cosiddetta «deellenizzazione». Peccato che questa strada conduca in un vicolo cieco. Sì, perché la stessa fonte biblica (redazione dei testi) esprime chiaramente che ciò sarebbe del tutto innaturale, oltre al fatto che condurrebbe ai rischi riportati sopra.

Pertanto, la questione relativa alla Torre di Guardia è una questione che deve tener conto anzitutto di due cose: 1) il testo biblico in quanto tale, con riferimento alle lingue originali e alle traduzioni proposte; 2) cosa Dio ha rivelato e come lo ha fatto.

Per trattare questi punti in merito a ciò che viene proposto dalla Torre di Guardia, mi servirò principalmente di due testi: l’opuscolo della Torre di Guardia “Dovreste credere alla Trinità?” e lo studio di Valerio Polidori, “La Bibbia dei Testimoni di Geova. Storia e analisi di una falsificazione”, EDB, Bologna 2013. Nonostante la consapevolezza che lo studio di Polidori ha ricevuto qualche critica, lo si ritiene apprezzabile soprattutto per le note filologiche, oltre che teologiche. Ma vi saranno anche altre osservazioni.

A questo tema saranno dedicati alcuni articoli, probabilmente non ordinatamente in successione, i quali susciteranno – forse – delle perplessità o addirittura delle antipatie, ma si è disposti a correre il rischio. Ovviamente non si vuole attaccare nessuno dal punto di vista personale e sarebbe un grande dispiacere, per il sottoscritto, se qualcuno pensasse tal cosa. Le osservazioni critiche verteranno esclusivamente sul contenuto di ciò che si vuole proporre, ossia sulla dottrina, mai sulle persone in quanto tali e per nessuna ragione!

In poche parole gli articoli che seguiranno vorranno essere un contributo per chiarire – speriamo – alcuni temi che spesse volte oscillano tra verità e mistificazione e che ogni tanto bussano alla porta. Purtroppo, a volte, si tratta proprio di mistificazione e non è possibile continuare con un buonismo che in realtà nasconde una crisi di fondo proprio in chi si presenta come tale.

Per concludere, una cosa deve essere chiara fin da ora: il Cristianesimo e l’essere cristiani hanno una identità ben precisa, non ci si trova nell’anonimato, e tale identità si fonda su Colui che manifesta il volto del Padre in quanto è rivolto al Padre da prima che Abramo fosse, o meglio, dall’eternità.


Gabriele Cianfrani


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