Ultimamente
giungono all’attenzione alcuni temi che riguardano una realtà ben precisa,
ossia la Watchtower (o Watch Tower) Society, ossia la Società
della Torre di Guardia, ossia i Testimoni di Geova. Da premettere
che chi scrive non lo fa volentieri, dal momento che ormai si tratta di una
realtà chiaramente inquadrata, per cui sarebbe alquanto superfluo scrivere al
riguardo. Inoltre, chi scrive è ben consapevole che alcune persone potranno
restarci male e avanzare delle accuse, ma non è possibile continuare a voltarsi
dall’altra parte per il semplice motivo di non inimicarsi nessuno. Mi dispiace,
ma questo atteggiamento tiepido (né carne né pesce) non può essere approvato. È
pur vero che anche in ambiente cattolico si respira, a volte, un’aria di
appiattimento di quelli che sono i «divini misteri», con il conseguente
appiattimento di quello che viene tradizionalmente chiamato il nexus
mysteriorum. Da ciò ne consegue una quasi allergia per i «dogmi», come se
questi fossero stabiliti arbitrariamente da una istanza superiore, la quale
impone l’osservanza cieca degli stessi. Certamente è richiesto il pieno assenso
dell’intelletto al dogma, ma il dogma in quanto tale non prescinde né dalle
fonti della Rivelazione divina né dalla capacità dell’intelletto umano di
capire il contenuto della stessa Rivelazione, ed esprimerlo mediante la
formulazione riguardante una precisa verità di fede. Se proprio volessimo dirla
tutta, il «dogma» consente di capire almeno due aspetti fondamentali: 1) il Dio
che si rivela è Colui che è sommamente intelligente e ci consente esprimerci su
di Lui e sulle sue opere, per il fatto che sia Lui sia le sue opere possono
essere conosciute con l’intelletto; 2) il Dio che si rivela è Colui che ci è
più intimo di quanto noi lo siamo a noi stessi, per riprendere una espressione
di sant’Agostino. Cosa vuol dire? Il dogma può dire tutto di Dio? Assolutamente
no, ma ciò che si può dire di Dio è possibile proprio perché Egli si è fatto
conoscere, per questo la natura del dogma è immutabile, perché si fonda
direttamente su Dio e su quanto Egli ha fatto conoscere delle sue opere.
Insomma, qui è in gioco un punto di vitale importanza: la possibilità di
conoscere Dio e di dire qualcosa su di Lui.
Ora,
questo punto potrebbe comportare due rischi, se non trattato in maniera
equilibrata: 1) la convinzione di conoscere tutto di Dio; 2) la convinzione di
non poter conoscere nulla di Dio. In entrambi i casi Dio non avrebbe più senso.
Semmai si conoscesse tutto di Dio, non sarebbe più Dio, in quanto risulterebbe
finito come noi e sarebbe solo una nostra proiezione (che senso avrebbe?);
semmai non si potesse conoscere nulla di Dio, ugualmente non sarebbe più Dio,
in quanto non essendo neanche minimamente conoscibile non potrà che essere
nulla e il nulla, per definizione, è inconoscibile (che senso avrebbe?). Ed
ecco che occorre stare nel mezzo: Dio è conoscibile, ma la sua conoscibilità
non lo esaurisce, anzi, fa di Lui l’eternamente conoscibile.
Per
quale motivo queste precisazioni? Ebbene, da alcuni anni vi sono voci che
denunciano l’inquinamento del pensiero greco nei confronti del Cristianesimo,
come se il Cristianesimo dovesse liberarsi da questo inquinamento e ritornare
alla sola fonte biblica. Si tratta della cosiddetta «deellenizzazione». Peccato
che questa strada conduca in un vicolo cieco. Sì, perché la stessa fonte
biblica (redazione dei testi) esprime chiaramente che ciò sarebbe del tutto
innaturale, oltre al fatto che condurrebbe ai rischi riportati sopra.
Pertanto,
la questione relativa alla Torre di Guardia è una questione che deve
tener conto anzitutto di due cose: 1) il testo biblico in quanto tale, con
riferimento alle lingue originali e alle traduzioni proposte; 2) cosa Dio ha
rivelato e come lo ha fatto.
Per
trattare questi punti in merito a ciò che viene proposto dalla Torre di
Guardia, mi servirò principalmente di due testi: l’opuscolo della Torre di
Guardia “Dovreste credere alla Trinità?” e lo studio di Valerio Polidori, “La
Bibbia dei Testimoni di Geova. Storia e analisi di una falsificazione”, EDB,
Bologna 2013. Nonostante la consapevolezza che lo studio di Polidori ha
ricevuto qualche critica, lo si ritiene apprezzabile soprattutto per le note
filologiche, oltre che teologiche. Ma vi saranno anche altre osservazioni.
A
questo tema saranno dedicati alcuni articoli, probabilmente non ordinatamente
in successione, i quali susciteranno – forse – delle perplessità o addirittura
delle antipatie, ma si è disposti a correre il rischio. Ovviamente non si vuole
attaccare nessuno dal punto di vista personale e sarebbe un grande dispiacere,
per il sottoscritto, se qualcuno pensasse tal cosa. Le osservazioni critiche
verteranno esclusivamente sul contenuto di ciò che si vuole proporre, ossia sulla
dottrina, mai sulle persone in quanto tali e per nessuna ragione!
In
poche parole gli articoli che seguiranno vorranno essere un contributo per
chiarire – speriamo – alcuni temi che spesse volte oscillano tra verità e
mistificazione e che ogni tanto bussano alla porta. Purtroppo, a volte, si
tratta proprio di mistificazione e non è possibile continuare con un buonismo
che in realtà nasconde una crisi di fondo proprio in chi si presenta come tale.
Per
concludere, una cosa deve essere chiara fin da ora: il Cristianesimo e l’essere
cristiani hanno una identità ben precisa, non ci si trova nell’anonimato, e
tale identità si fonda su Colui che manifesta il volto del Padre in quanto è
rivolto al Padre da prima che Abramo fosse, o meglio, dall’eternità.
Gabriele Cianfrani
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