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domenica 31 maggio 2020

SOLENNITA' DI PENTECOSTE

maggio 31, 2020 Posted by Gabriele Cianfrani , , 1 comment


La Pentecoste, dal greco he pentekoste (hemera), «il cinquantesimo (giorno)», era per il popolo d’Israele la «festa delle Settimane o della mietitura» (Cfr. Es 34,22; 23,16) ed era un festa delle primizie. Si celebrava sette settimane dopo l’offerta del covone d’orzo (Cfr. Lv 23,15-21). Seguiva, come ultima festa alla fine dell’anno, la «festa del Raccolto o delle Capanne» (Cfr. Es 23,16; Lv 23,34). Le tre grandi feste d’Israele: la festa degli Azzimi, la festa della mietitura o delle Settimane, la festa del Raccolto o delle Capanne (Cfr. Es 23,14-19). Alla festa della Pasqua, stabilita al quattordicesimo giorno del primo mese (di Abib, poi sarà Nisan, che è corrispondente all’incirca al mese di aprile), seguiva la festa degli Azzimi al quindicesimo giorno dello stesso mese, che durava sette giorni (Cfr. Lv 23,5-6). Seguiva poi quella della mietitura o delle Settimane, fino a giungere a quella del Raccolto o delle Capanne.

È molto interessante uno sguardo al Pentateuco, seppur velocemente, in merito a ciò.

Ora, non a caso dopo il giorno della risurrezione del Signore Gesù (Domenica, da dies Domini, ossia “giorno del Signore”), abbiamo sette settimane del tempo pasquale, a conclusione delle quali abbiamo la Domenica di Pentecoste, e mentre stava compiendosi il giorno di Pentecoste si trovavano tutti insieme [gli Apostoli] nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi (At 2,1-4). La conseguenza di ciò è un vero e proprio rinnovamento, una nuova creazione nella Nuova Alleanza, che è eterna. Infatti, quel «soffio» che troviamo in Gv 20,22-23 (Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A chi rimettete i peccati, sono loro rimessi; a chi li ritenete, sono ritenuti»), è lo stesso che troviamo all’inizio in Gen 2,7 (Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere dal suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente) e poi anche in Sap 15,11 (..., colui che gli inspirò un’anima attiva e gli infuse uno spirito vitale). Pertanto, soprattutto in questo giorno, si prende atto che Gesù fa davvero nuove tutte le cose (Cfr. Ap 21,5a), per cui non è possibile perdere di vista il grande legame Pasqua-Pentecoste. Ma oltre al rinnovamento vi è anche una missione. Infatti, dopo che san Pietro parlò alla folla, alla domanda su cosa occorreva fare, risponde chiaramente: «Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e riceverete il dono dello Spirito Santo» (At 2,38). A ciò corrisponde quella figliolanza divina di cui parla san Paolo, dato che tutti voi infatti siete figli di Dio mediante la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo (Gal 3,26-27). Dunque emerge ancora l’importanza del Battesimo. Il quale è il fondamento di tutta la vita cristiana, il vestibolo d’ingresso alla vita nello Spirito («vitae spiritualis ianua»), e la porta che apre l’accesso agli altri sacramenti. Mediante il Battesimo siamo liberati dal peccato e rigenerati come figli di Dio, diventiamo membra di Cristo; siamo incorporati alla Chiesa e resi partecipi della sua missione [...] (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1213).

Piccola osservazione: quando Gesù parla dello Spirito (Santo), lo identifica come l’«altro paraclito» (Cfr. Gv 14,16), come «Paraclito» (Cfr. Gv 15,26; 16,7), come «Spirito della verità» (Cfr. Gv 16,13). Da ciò traspare che il Paraclito è Cristo stesso e lo Spirito è l’altro Paraclito, ma questo altro Paraclito viene presentato sullo stesso piano del primo (il Cristo). Si conclude, da questi brevi riferimenti, che lo Spirito è non solo lo Spirito della verità (che è il Cristo) ma che gode dello stesso piano ontologico del Cristo, che è Dio e che è una sola cosa col Padre (Cfr. Gv 10,30). Da ciò la possibilità di concludere che vi è legame della Chiesa col mistero trinitario. 

Per concludere, San Tommaso d’Aquino riassume perfettamente quanto occorre circa il rinnovamento come effetto dello Spirito Santo, e lo fa nella conferenza vespertina del sermone 11:

Dunque il primo effetto dello Spirito Santo è che crea. Il secondo è il rinnovamento, che si verifica in quattro modi, cioè: secondo la grazia che purifica, secondo la giustizia che fa progredire, secondo la sapienza che illumina e secondo la gloria che porta a compimento.



Gabriele Cianfrani




domenica 24 maggio 2020

SOLENNITÀ DELL'ASCENSIONE DEL SIGNORE

maggio 24, 2020 Posted by Gabriele Cianfrani , , No comments


Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre, «quella – disse – che voi avete udito da me: Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo». Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra». Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo» (At 1,3-11).

 

In questo giorno della solennità dell’Ascensione, tra le tante informazioni che si colgono, una risalta particolarmente: il numero «quaranta».

Tante cose sono state scritte in merito, per cui ci si limiterà ad un piccolo contributo.

Il numero «quaranta» è biblicamente molto importante, dato che viene collegato molte volte a potenti azioni di Dio, ad esempio: quaranta giorni di diluvio (Gen 7,17); dopo quaranta giorni fu fatto uscire il corvo dall’arca (Gen 8,6); per quaranta giorni e quaranta notti Mosè rimase sul monte (Es 24,18); il tempo della permanenza di Israele nel deserto dopo l’uscita dall’Egitto (Es 16,35); la preghiera di Mosè per Israele (Dt 9,25); il cammino di Elia verso l’Oreb (1Re 19,8); la durata del regno di Davide (1Sam 5,4); la durata del regno di Salomone, che aveva regnato a Gerusalemme su tutto Israele (1Re 11,42); la permanenza di Gesù nel deserto prima della tentazione (Mt 4,2) e così via. Il tempo di Quaresima è di quaranta giorni. Dunque il numero «quaranta» è certamente legato alle grandi azioni di Dio, ma è anche legato alla purificazione ed esprime anche maturità. Pertanto, è un numero reale ma fortemente simbolico. Diversamente da come oggi si intende il «simbolo», esso esprime ciò che rimanda ad una realtà concreta, talmente concreta e grande che il miglior modo per esprimerla è appunto il «simbolo». Infatti, σύμβολον (sýmbolon), derivante da συμβάλλω (symbállo), vuol dire «insieme metto/getto». Interessante che il contrario del simbolo, che mette insieme, è il diaballo, che separa. Ciò vale anche per tanti altri numeri, come ad esempio il «sette», che è legato all’idea di compimento e di perfezione, e di riferimenti ve ne sono tantissimi, ma soprattutto si tratta di riferimenti reali. Oggi vi sono delle distorsioni riguardanti il linguaggio, per cui tante cose espresse in modo genuino, come nella Scrittura e in altri testi del passato, non sempre vengono capite come dovrebbero. Un esempio è l’abuso della parola «solidarietà», la quale presenta una ricchezza di significato immensa, ma che spesse volte, purtroppo, la si vede privata di tal ricchezza, impoverendola fortemente. La Scrittura è Parola di Dio, e già questo basterebbe per esprimere quanto occorre.

Per concludere, non è possibile non attingere da San Tommaso d’Aquino:

Dopo che alla risurrezione di Cristo, dobbiamo credere anche alla sua ascensione al cielo, perché Cristo vi salì quaranta giorni dopo. Perciò si dice nel Simbolo: Salì al cielo [...]. Fu un fatto ragionevole [...]. È infatti conforme a natura che ogni cosa ritorni là da dove ha tratto origine. Orbene, l’origine di Cristo è da Dio, il quale è sopra ogni cosa, ed era perciò giusto che egli salisse sopra tutte le cose [...]. È vero che anche i santi salirono a salgono al cielo, ma in maniera diversa da quella di Cristo; perché, mentre egli vi salì per virtù propria, i santi vi salgono perché attratti da lui: Attirami dietro a te (Ct 1,4) [...]. Ma il cielo era dovuto a Cristo anche per la sua vittoria. Egli era infatti stato mandato nel mondo per combattere contro il diavolo, e lo aveva sconfitto. Perciò si meritò di venire esaltato sopra tutte le cose (Cfr. Tommaso d’Aquino, Commento al Simbolo degli apostoli, ESD, Bologna 2012, 77).




Gabriele Cianfrani

sabato 2 maggio 2020

HOMO RELIGIOSUS

maggio 02, 2020 Posted by Gabriele Cianfrani , No comments



Senza dubbio è una parola che si sente tante volte e che presenta un’importanza poche volte considerata. Si tratta della parola « religione ». Ma quale sarebbe il significato di tale parola? Quale sarebbe la realtà a cui si riferisce? È importante, oggi, la religione? Domande alle quali vale la pena rispondere anche se in maniera generale e molto breve, dato che l’argomento è molto vasto e i diversi trattati di religione oggi presenti lo confermano pienamente.

Anzitutto partiamo dall’etimologia del termine religione, il quale deriva dal latino religio, che a sua volta può derivare da due verbi latini: relegere o religare. Marco Tullio Cicerone (106 a.C. – 43 a. C.) accettava il primo termine, relegere, il quale indica «il ripetere, il rileggere o il considerare ciò che riguarda il culto, ciò che riguarda la divinità». Il secondo termine, religare, risalente a Lattanzio (250 ca. d.C. – 320 ca. d.C.) e ripreso da Sant’Agostino (354 d.C. – 430 d.C.), indica «l’unione, il legame nei confronti di Dio». Anche San Tommaso d’Aquino preferirà il termine religare, il quale è il solo che adopera nel suo opuscolo Contra impugnantes Dei cultum et religionem. C’è da dire che non tutti concordano con la derivazione del termine religio da religare, poiché questi pongono l’accento sul fatto che religiosus voglia indicare la persona «scrupolosa», ossia la persona attenta a fare ciò che deve. Non a caso spesse volte si sente dire che quella data persona compia «religiosamente» un lavoro o che lo esegua in «religioso silenzio». In ogni caso pare che questa ultima posizione non contrasti con quella riguardo alla derivazione dal verbo religare, dato che il legame con Dio spinge ad essere attento, consapevoli del legame stesso e non negligenti.
La religione è in ogni caso definibile come l’insieme di credenze, di riti, di norme con cui gli esseri umani esprimono il loro rapporto con la divinità dalla quale si sanno dipendenti, ma è chiaro che l’elemento fondamentale della religione in quanto tale è il «sacro», al quale Rudolf Otto (1869 – 1937) si riferiva col termine Numinoso. Nei confronti del sacro l’uomo sperimenta la propria creaturalità, e si giunge alla realtà numinosa attraverso ciò che lo stesso Otto chiamava con Tremendum, Mysterium et Fascinans. Il Tremendum indica lo stare, il trovarsi dinanzi ad una realtà di una grandezza tale da risultare insuperabile; il Mysterium indica che l’oggetto numinoso è presentato come il «totalmente Altro»; il Fascinans indica lo stato soggettivo della persona dinanzi a ciò. Pertanto, è possibile affermare che la religione, oltre ad essere l’insieme di credenze, di riti, di norme con cui l’uomo si rapporta alla divinità, presenta delle parti costitutive che sono comuni a tutte le religioni, e sono tre: il soggetto dell’esperienza religiosa, l’oggetto di venerazione e/o di adorazione (il Sacro) e la relazione tra il soggetto e l’oggetto (Cfr. M. B. Pereira, La ricerca di quello splendore. Note introduttive alla fenomenologia della religione, IF Press, Morolo 2011). Importante il fatto che il «sacro» è un elemento imprescindibile per la religione in quanto tale. Senza il «sacro» non vi è religione. Inoltre, non è bene pensare che il «fatto religioso» sia più o meno antico, dacché è addirittura antico quanto l’uomo, o meglio, è connaturale all’uomo, tanto che l’uomo stesso si presenta sempre come homo religiosus. Infatti, al periodo chiamato Paleolitico, che sarebbe iniziato circa 2 milioni di anni fa e terminato circa 10.000 anni fa, risalgono proprio dei ritrovamenti archeologici che dimostrano la presenza di tracce religiose. Ad esempio vi è la grotta di Laas Geel in Somalia, la grotta di Lascaux, Chauvet e del Pech-Merle in Francia, quella di Altamira in Spagna, Warganata Mina in Tasmania, i ritrovamenti a Gӧbekli Tepe in Turchia, la grotta del Genovese in Sicilia e altre testimonianze di tracce di religiosità. Ma ciò che richiama maggiormente l’attenzione sono le risapute «sepolture». Queste risalirebbero anche a circa 90.000 anni fa e diversi ritrovamenti mostrano non solo che la testa era rivolta verso Oriente, ma anche che la posizione dei morti era simile ad un feto nel grembo materno, oltre all’utilizzo di prodotti naturali utilizzati come una sorta di ornamento. Ma anche in Oriente, e proprio nella parte di tempo risalente agli inizi del Paleolitico, furono ritrovati resti riguardanti l’uomo come cacciatore e raccoglitore – è chiaro che la caccia non era considerata semplicemente per trovare del cibo per nutrirsi, ma aveva una importanza che andava oltre ciò –, precisamente nelle caverne del monte Carmelo (Wādi Mugāra). Ebbene si può concludere che queste tracce di religiosità dimostrano che l’uomo è di per se stesso «religioso». La storia dell’umanità è inseparabile dall’aspetto religioso, dall’aspetto che lega l’uomo al divino. In nessun animale si trovano tracce di religiosità. La religione è costitutiva dell’uomo e non può esservi uomo senza religione.
Non vi è stato alcun riferimento a nessuna religione esistente nel mondo, per il semplice fatto che l’intenzione è stata solo quella di far emergere quanto sia importante il discorso circa la «religione» in generale, tanto che l’uomo è per sua costituzione un essere religioso, homo religiosus, e trascurare questo aspetto non può che risultare, oltre che dannoso, come una buona parte di ignoranza sull’uomo stesso. È chiaro che Colui che è la Luce del mondo ci ha indicato la verità, poiché è Egli stesso la Verità (Cfr. Gv 14,6), ma questo merita un approfondimento a parte, dato che lo scopo dell’articolo, come già scritto, è stato solo quello di evidenziare la religione in sé e l’aspetto religioso dell’uomo come rientrante nella sua costituzione di uomo. Così come ogni decisione dell’uomo rimanda ad una posizione antropologica bene precisa. Pertanto, credo si possa concludere con le parole di Van der Leeuw: «quanto più violentemente si presenta l’ateismo, tanto più chiaro vediamo in esso le tracce di antiche esperienze religiose, come quelle dell’escatologia e della religione della comunità umana nell’ateismo comunista. L’uomo che non vuole essere religioso lo è proprio per questa sua volontà. Può ben fuggire di fronte a Dio, ma non può sfuggirgli» (G. Van der Leeuw, L’uomo primitivo e la religione, Boringhieri, Torino 1952, p. 146).



Gabriele Cianfrani