Senza dubbio è una parola che si sente tante volte e che presenta un’importanza poche volte considerata. Si tratta della parola « religione ». Ma quale sarebbe il significato di tale parola? Quale sarebbe la realtà a cui si riferisce? È importante, oggi, la religione? Domande alle quali vale la pena rispondere anche se in maniera generale e molto breve, dato che l’argomento è molto vasto e i diversi trattati di religione oggi presenti lo confermano pienamente.
Anzitutto partiamo
dall’etimologia del termine religione, il quale deriva dal latino religio,
che a sua volta può derivare da due verbi latini: relegere o religare.
Marco Tullio Cicerone (106 a.C. – 43 a. C.) accettava il primo termine, relegere,
il quale indica «il ripetere, il rileggere o il considerare ciò che riguarda
il culto, ciò che riguarda la divinità». Il secondo termine, religare,
risalente a Lattanzio (250 ca. d.C. – 320 ca. d.C.) e ripreso da Sant’Agostino
(354 d.C. – 430 d.C.), indica «l’unione, il legame nei confronti di Dio».
Anche San Tommaso d’Aquino preferirà il termine religare, il quale è il
solo che adopera nel suo opuscolo Contra impugnantes Dei cultum et
religionem. C’è da dire che non tutti concordano con la derivazione del
termine religio da religare, poiché questi pongono l’accento sul
fatto che religiosus voglia indicare la persona «scrupolosa», ossia la
persona attenta a fare ciò che deve. Non a caso spesse volte si sente dire che
quella data persona compia «religiosamente» un lavoro o che lo esegua in «religioso silenzio». In ogni caso pare che questa ultima posizione non
contrasti con quella riguardo alla derivazione dal verbo religare, dato
che il legame con Dio spinge ad essere attento, consapevoli del legame stesso e
non negligenti.
La religione è in ogni
caso definibile come l’insieme di credenze, di riti, di norme con cui gli
esseri umani esprimono il loro rapporto con la divinità dalla quale si sanno
dipendenti, ma è chiaro che l’elemento fondamentale della religione in quanto
tale è il «sacro», al quale Rudolf Otto (1869 – 1937) si riferiva col termine
Numinoso. Nei confronti del sacro l’uomo sperimenta la propria
creaturalità, e si giunge alla realtà numinosa attraverso ciò che lo stesso
Otto chiamava con Tremendum, Mysterium et Fascinans. Il Tremendum
indica lo stare, il trovarsi dinanzi ad una realtà di una grandezza tale da
risultare insuperabile; il Mysterium indica che l’oggetto numinoso è
presentato come il «totalmente Altro»; il Fascinans indica lo stato
soggettivo della persona dinanzi a ciò. Pertanto, è possibile affermare che la religione,
oltre ad essere l’insieme di credenze, di riti, di norme con cui l’uomo si
rapporta alla divinità, presenta delle parti costitutive che sono comuni a
tutte le religioni, e sono tre: il soggetto dell’esperienza religiosa,
l’oggetto di venerazione e/o di adorazione (il Sacro) e la relazione
tra il soggetto e l’oggetto (Cfr. M. B. Pereira, La ricerca di quello splendore. Note introduttive alla
fenomenologia della religione, IF Press, Morolo 2011). Importante il
fatto che il «sacro» è un elemento imprescindibile per la religione in quanto
tale. Senza il «sacro» non vi è religione. Inoltre, non è bene pensare che il
«fatto religioso» sia più o meno antico, dacché è addirittura antico quanto
l’uomo, o meglio, è connaturale all’uomo, tanto che l’uomo stesso si presenta
sempre come homo religiosus. Infatti, al periodo chiamato Paleolitico,
che sarebbe iniziato circa 2 milioni di anni fa e terminato circa 10.000 anni
fa, risalgono proprio dei ritrovamenti archeologici che dimostrano la presenza
di tracce religiose. Ad esempio vi è la grotta di Laas Geel in Somalia, la
grotta di Lascaux, Chauvet e del Pech-Merle in Francia, quella di Altamira in
Spagna, Warganata Mina in Tasmania, i ritrovamenti a Gӧbekli Tepe in Turchia,
la grotta del Genovese in Sicilia e altre testimonianze di tracce di
religiosità. Ma ciò che richiama maggiormente l’attenzione sono le risapute «sepolture». Queste risalirebbero anche a circa 90.000 anni fa e diversi
ritrovamenti mostrano non solo che la testa era rivolta verso Oriente, ma anche
che la posizione dei morti era simile ad un feto nel grembo materno, oltre
all’utilizzo di prodotti naturali utilizzati come una sorta di ornamento. Ma
anche in Oriente, e proprio nella parte di tempo risalente agli inizi del
Paleolitico, furono ritrovati resti riguardanti l’uomo come cacciatore e
raccoglitore – è chiaro che la caccia non era considerata semplicemente per
trovare del cibo per nutrirsi, ma aveva una importanza che andava oltre ciò –,
precisamente nelle caverne del monte Carmelo (Wādi Mugāra). Ebbene si può
concludere che queste tracce di religiosità dimostrano che l’uomo è di per se
stesso «religioso». La storia dell’umanità è inseparabile dall’aspetto
religioso, dall’aspetto che lega l’uomo al divino. In nessun animale si trovano
tracce di religiosità. La religione è costitutiva dell’uomo e non può esservi
uomo senza religione.
Non vi è stato alcun
riferimento a nessuna religione esistente nel mondo, per il semplice fatto che
l’intenzione è stata solo quella di far emergere quanto sia importante il
discorso circa la «religione» in generale, tanto che l’uomo è per sua
costituzione un essere religioso, homo religiosus, e trascurare questo
aspetto non può che risultare, oltre che dannoso, come una buona parte di
ignoranza sull’uomo stesso. È chiaro che Colui che è la Luce del mondo ci ha
indicato la verità, poiché è Egli stesso la Verità (Cfr. Gv 14,6), ma questo
merita un approfondimento a parte, dato che lo scopo dell’articolo, come già
scritto, è stato solo quello di evidenziare la religione in sé e l’aspetto
religioso dell’uomo come rientrante nella sua costituzione di uomo. Così come
ogni decisione dell’uomo rimanda ad una posizione antropologica bene precisa.
Pertanto, credo si possa concludere con le parole di Van der Leeuw: «quanto
più violentemente si presenta l’ateismo, tanto più chiaro vediamo in esso le
tracce di antiche esperienze religiose, come quelle dell’escatologia e della
religione della comunità umana nell’ateismo comunista. L’uomo che non vuole
essere religioso lo è proprio per questa sua volontà. Può ben fuggire di fronte
a Dio, ma non può sfuggirgli» (G. Van der
Leeuw, L’uomo primitivo e la religione, Boringhieri, Torino 1952,
p. 146).
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