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domenica 24 maggio 2020

SOLENNITÀ DELL'ASCENSIONE DEL SIGNORE

maggio 24, 2020 Posted by Gabriele Cianfrani , , No comments


Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre, «quella – disse – che voi avete udito da me: Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo». Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra». Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo» (At 1,3-11).

 

In questo giorno della solennità dell’Ascensione, tra le tante informazioni che si colgono, una risalta particolarmente: il numero «quaranta».

Tante cose sono state scritte in merito, per cui ci si limiterà ad un piccolo contributo.

Il numero «quaranta» è biblicamente molto importante, dato che viene collegato molte volte a potenti azioni di Dio, ad esempio: quaranta giorni di diluvio (Gen 7,17); dopo quaranta giorni fu fatto uscire il corvo dall’arca (Gen 8,6); per quaranta giorni e quaranta notti Mosè rimase sul monte (Es 24,18); il tempo della permanenza di Israele nel deserto dopo l’uscita dall’Egitto (Es 16,35); la preghiera di Mosè per Israele (Dt 9,25); il cammino di Elia verso l’Oreb (1Re 19,8); la durata del regno di Davide (1Sam 5,4); la durata del regno di Salomone, che aveva regnato a Gerusalemme su tutto Israele (1Re 11,42); la permanenza di Gesù nel deserto prima della tentazione (Mt 4,2) e così via. Il tempo di Quaresima è di quaranta giorni. Dunque il numero «quaranta» è certamente legato alle grandi azioni di Dio, ma è anche legato alla purificazione ed esprime anche maturità. Pertanto, è un numero reale ma fortemente simbolico. Diversamente da come oggi si intende il «simbolo», esso esprime ciò che rimanda ad una realtà concreta, talmente concreta e grande che il miglior modo per esprimerla è appunto il «simbolo». Infatti, σύμβολον (sýmbolon), derivante da συμβάλλω (symbállo), vuol dire «insieme metto/getto». Interessante che il contrario del simbolo, che mette insieme, è il diaballo, che separa. Ciò vale anche per tanti altri numeri, come ad esempio il «sette», che è legato all’idea di compimento e di perfezione, e di riferimenti ve ne sono tantissimi, ma soprattutto si tratta di riferimenti reali. Oggi vi sono delle distorsioni riguardanti il linguaggio, per cui tante cose espresse in modo genuino, come nella Scrittura e in altri testi del passato, non sempre vengono capite come dovrebbero. Un esempio è l’abuso della parola «solidarietà», la quale presenta una ricchezza di significato immensa, ma che spesse volte, purtroppo, la si vede privata di tal ricchezza, impoverendola fortemente. La Scrittura è Parola di Dio, e già questo basterebbe per esprimere quanto occorre.

Per concludere, non è possibile non attingere da San Tommaso d’Aquino:

Dopo che alla risurrezione di Cristo, dobbiamo credere anche alla sua ascensione al cielo, perché Cristo vi salì quaranta giorni dopo. Perciò si dice nel Simbolo: Salì al cielo [...]. Fu un fatto ragionevole [...]. È infatti conforme a natura che ogni cosa ritorni là da dove ha tratto origine. Orbene, l’origine di Cristo è da Dio, il quale è sopra ogni cosa, ed era perciò giusto che egli salisse sopra tutte le cose [...]. È vero che anche i santi salirono a salgono al cielo, ma in maniera diversa da quella di Cristo; perché, mentre egli vi salì per virtù propria, i santi vi salgono perché attratti da lui: Attirami dietro a te (Ct 1,4) [...]. Ma il cielo era dovuto a Cristo anche per la sua vittoria. Egli era infatti stato mandato nel mondo per combattere contro il diavolo, e lo aveva sconfitto. Perciò si meritò di venire esaltato sopra tutte le cose (Cfr. Tommaso d’Aquino, Commento al Simbolo degli apostoli, ESD, Bologna 2012, 77).




Gabriele Cianfrani

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