Le domande circa l’«universo» sono tante:
Ha avuto inizio o è sempre esistito? È infinito o finito? Se fosse infinito
avrebbe comunque dei limiti oppure no? Cosa ci sarebbe oltre quei limiti
qualora ci fossero? Come esprimersi sull'universo in rapporto a Dio? Queste e
tante altre domande, a volte, sorgono spontanee. Motivo per il quale seguirà
una riflessione, senza alcuna pretesa di esaustività, cosa che non sarebbe
neanche possibile.
Prima di ciò non sarebbe male chiamare in
causa due nozioni, tanto comuni quanto nuove ogni qualvolta sono oggetto di
indagine: lo spazio e il tempo.
Il latino spatium viene dal greco
σπάδιον (spadion) e da στάδιον (stadion) e indicava una determinata lunghezza,
come quella appunto di uno «stadio». Ma vi sono altre derivazioni come quella
da τόπος (topos) che significa «luogo».
Il latino tempus trova
corrispondenza col greco χρόνος (kronos), e appoggiandoci sulla definizione
aristotelica diremmo che il tempo è: «la misura del movimento, e del riposo,
secondo il prima e il dopo». Questa definizione è molto importante in quanto
comunica che il tempo non precede il movimento ma che il movimento
precede il tempo, dato che questo è misurabile proprio grazie al movimento.
Senza insistere molto sui tipi di spazio e
di tempo, ciò che in tal caso interessa riguarda i cosiddetti spazio
assoluto e tempo assoluto. In quanto tali, lo spazio e il tempo
assoluti avrebbero una sussistenza per sé, indipendentemente e sciolti da ogni
altra realtà, o meglio, all'interno dello spazio e tempo assoluti troverebbero
collocazione tutte le cose. Da uno spazio assoluto deriva lo spazio
relativo e da un tempo assoluto un tempo relativo. In poche
parole lo spazio relativo sarebbe «contenuto» e si «collocherebbe» all'interno
dello spazio assoluto e il tempo relativo sarebbe tale perché «rientrante» nel
tempo assoluto. Questa posizione, di origine newtoniana e in parte comune, non
è stata risparmiata da critiche, ma quel che interessa in questo caso è che
tale posizione esagera ciò che riguarda lo spazio e il tempo. Infatti, non
avremmo consapevolezza di uno spazio – qualunque esso sia – se non in
riferimento a corpi fisici che vanno a determinare quello spazio. Lo spazio
assoluto non sarebbe riscontrabile nella realtà. Ugualmente per il tempo.
Non potrebbe esserci consapevolezza del tempo se non in riferimento al movimento,
che consente la misurabilità del tempo. Pertanto, lo spazio, incluse tutte le
sue dimensioni, è dato dall'insieme dei corpi, mentre il tempo è dato
dall'insieme dei movimenti. È possibile applicare una proporzione: «l’insieme
dei corpi : spazio reale = l’insieme dei movimenti : tempo reale».
Cosa c’entra questo con l’universo e con
Dio? C’entra molto, soprattutto per la realtà materiale che non a caso
chiamiamo «spazio-temporale». Ora, se considerassimo tutto quanto esiste nella
realtà spazio-temporale, noteremmo che vi è un aspetto comune a tutto: la finitezza.
Tutto ciò che esiste nella realtà materiale è finito, e in quanto tale è
misurabile. Il tempo, in quanto costituito dall'insieme dei movimenti, è
misurabile e dunque non gode di una sorta di «eternità», la quale non sarebbe
tale se fosse temporale, così come la temporalità non sarebbe tale se
presentasse eternità. In merito vengono in mente le grandi parole di
sant'Agostino: «Non ci fu dunque un tempo, durante il quale avresti fatto
nulla, poiché il tempo stesso l’hai fatto tu; e non vi è un tempo eterno con
te, poiché tu sei stabile, mentre un tempo che fosse stabile non sarebbe tempo»
(Confessioni, XI, 14.17).
Lo spazio, in quanto costituito
dall'insieme dei corpi, è anch'esso misurabile ed è perciò definibile come
tale. Se fosse «infinito» non ci sarebbe possibilità di misurarlo
materialmente, poiché gli strumenti di indagine strettamente empirici sono per
la realtà materiale, la quale è finita e in quanto finita è misurabile
empiricamente. Ciò che è finito nella propria costituzione ontologica non deve
essere visto esclusivamente in modo negativo, ma questo è un altro discorso.
Dunque lo spazio e il tempo
possono essere misurati. Ora, qualora si dovesse considerare l’universo,
questo non potrebbe essere considerato escludendo la materia presente, che è
tantissima! Stando a quanto si è giunti in campo scientifico, con particolare
riferimento alla relatività generale di Einstein, lo spazio presenta una
curvatura, dovuta alla massa. Per cui maggiore è la massa e maggiore è la
curvatura. Ma la curvatura riguarda anche il tempo, per cui si tratta di una
curvatura spazio-temporale, e la domanda da porsi sarebbe quella su quanto
influisca la massa totale presente su questa curvatura. Ora, da qui vi sono
diverse posizioni circa la geometria dell’universo. Una posizione che esprime
la finitezza dell’universo dovuto alla totale curvatura ma al contempo
l’assenza di limiti; un’altra posizione che include la curvatura, ma non «del
tutto», e al contempo la linearità e l’assenza di limiti... Nonostante le differenti posizioni, pare si
convenga sulla finitezza dell’universo, anche per ciò che rientra nella
osservabilità, ma comunque in espansione.
Dal punto di vista temporale, la teoria
più utilizzata circa l’origine dell’universo pare sia quella del Big Bang,
lanciata dal sacerdote e fisico Georges
E. Lemaître. Questo dato, ricordando ciò che è stato esposto sopra in merito al
tempo (l’insieme dei movimenti), può dar risposte sulla «temporalità»,
ma non sull'inizio della stessa, per il fatto che il tipo di indagine va ben
oltre la ricerca legata alla materialità delle cose. In tal caso il movimento
non deve essere considerato solo di tipo «locale», ma anche «quantitativo» e
«qualitativo». Ciò sarebbe compito arduo anche per la sola ragione umana, come
ricorda san Tommaso d’Aquino, dato che l’inizio del mondo – l’universo – non
può essere dimostrato partendo dal mondo stesso (Summa Theologiae, Ia,
q. 46, a. 2). Pertanto, l’universo sarebbe finito in estensione e
temporalmente, nonostante l’assenza di limiti e la continua espansione. Ma ciò,
strettamente parlando, è compito degli esperti dell’argomento, il quale è molto
interessante e importante. Questa breve esposizione permette di fare un salto –
si spera – verso il motivo principale della esposizione stessa, che sarebbe più
di tipo ontologico.
Per cui da
ciò è possibile pervenire ad alcune conclusioni, ossia che l’universo presenta
movimento; non ha una sussistenza assoluta come se fosse il suo essere; non sarebbe associabile
all'universo la nozione di «eterno» e così via. Conclusioni che esprimono non
solo la totale tranquillità del discorso sull'universo e su Dio, ma anche il
fatto che l’universo stesso ha la sua dipendenza ontologica da Dio. Solo Dio è
l’Essere per sé sussistente, tutto il resto possiede l’essere in
maniera «partecipata» e non assoluta. Inoltre, ci troviamo su due piani
diversi, per cui non potrà mai esserci contrasto alcuno, semmai garanzia, da
parte di Dio, del reale in quanto tale. Infatti, strettamente parlando, la
parola «creazione» rimanda solo a Dio, dato che «creare» implica la produzione
dell’essere in modo assoluto, e questo può farlo solo Dio (Cfr. Summa
Theologiae, Ia, q. 45, a. 5). Per questo anche l’universo, nella
sua vastità, dipende ontologicamente da Dio.
Nel caso ci
si ponesse la domanda su cosa vi fosse al di là dell’universo espanso, questa
pare non avrebbe molta differenza circa quella riguardante il «prima»
dell’universo, anche se alcune differenze vi sono. Quale potrebbe essere la
risposta? Pura possibilità di essere? La risposta non risulta semplice, anche
perché l’indagine fisica non va oltre l’universo, ma una cosa è certa:
qualsiasi risposta non potrebbe mai prescindere dal fatto che nulla all'infuori
di Dio può essere considerato come avente l'essere per sé sussistente, per cui l’«oltre», in tal caso, non potrà
mai identificarsi con Dio dacché Dio trascende la realtà materiale e non
si identifica affatto con essa. Pertanto, anche l’universo non presenta alcuna
necessità, e non presentando alcuna necessità il fondamento ultimo non può
risiedere nell'universo stesso, il quale non essendo necessario presenta
dipendenza. In conclusione, il fondamento ultimo risiede in colui che è l’Essere
per sé sussistente: Dio.
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