Così si legge nel Vangelo
secondo Giovanni (1,14), ossia che «il Verbo si fece carne/carne si fece, e
venne ad abitare in noi», proprio quel Verbo, quel Lógos per mezzo del quale
tutto fu fatto e senza di lui non fu fatto nulla di ciò che è stato fatto (1,3).
Alcuni studi evidenziano che sarebbe meglio propendere per un’altra traduzione:
«e il Lógos carne si fece e si accampò/si attendò fra noi» (Καὶ ὁ λόγος σὰρξ ἐγένετο καὶ ἐσκήνωσεν ἐν
ἡμῖν), e ciò con evidenti riferimenti alla «tenda» (σκηνή, skēné) di
Es 33,7-11:
Mosè ad ogni tappa prendeva
la tenda e la piantava fuori dell’accampamento, lontano dall’accampamento, e
l’aveva chiamata tenda del convegno. Chiunque ricercava il Signore usciva verso
la tenda del convegno, che era fuori dell’accampamento. Quando Mosè usciva
verso la tenda, tutto il popolo si alzava e ognuno stava all’entrata della
propria tenda e seguiva Mosè con lo sguardo finché entrava nella tenda. Quando
Mosè entrava nella tenda, la colonna di nube scendeva e stava all’ingresso
della tenda; ed Egli parlava a Mosè. Tutto il popolo vedeva la colonna di nube
che stava all’entrata della tenda: tutto il popolo si alzava e ognuno si
prostrava all’ingresso della propria tenda. Il Signore parlava con Mosè faccia
a faccia, come un uomo parla con il suo vicino: poi tornava all’accampamento.
Il richiamo al passo biblico sopra riportato è di
estrema importanza, dal momento che la «tenda» indicava la presenza di Dio, o
meglio, la dimora di Dio in mezzo al popolo d’Israele nel deserto (cfr. anche
Es 25-26). La colonna di nube è una chiara allusione alla presenza di
Dio in quel momento, e non a caso il riferimento alla potenza dell’Altissimo
che coprirà con la sua ombra la Beata Vergine si riscontra nell’annuncio
dell’angelo celeste. L’autore del quarto Vangelo conosceva benissimo la
Scrittura (a quel tempo la Legge e Profeti)[1],
per cui bisogna considerare sempre questo dato. Infatti, se a quel tempo la
dimora di Dio presso il popolo d’Israele era rappresentata dalla «tenda del
convegno», con l’incarnazione del Lógos il salto è enorme: Dio è ormai presente
in mezzo al suo popolo stabilmente, dal momento che ha assunto natura umana,
ossia carne si fece.[2]
Ciò è collegato, ovviamente, con il sacrificio sulla croce, che è lo scopo
della venuta della seconda Persona della Santissima Trinità. Al riguardo,
risulta particolarmente importante quanto è riportato nel Catechismo della
Chiesa Cattolica, ossia il motivo dell’incarnazione del Verbo:
n. 456: con il Credo
niceno-costantinopolitano rispondiamo confessando: «Per noi uomini e per la
nostra salvezza discese dal cielo; per opera dello Spirito Santo si è
incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo»;
n. 457: il Verbo si è fatto
carne per salvarci riconciliandoci con Dio: è Dio «che ha amato noi e ha
mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati» (1Gv 4,10).
«Il Padre ha mandato il suo Figlio come salvatore del mondo» (1Gv 4,14).
«Egli è apparso per togliere i peccati» (1Gv 3,5);
n. 458: il Verbo si è fatto
carne perché noi così conoscessimo l’amore di Dio: «In questo si è
manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel
mondo perché noi avessimo la vita per lui» (1Gv 4,9). «Dio infatti ha
tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in
lui non muoia, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16);
n. 459: il Verbo si è fatto
carne per essere nostro modello di santità: «Prendete il mio giogo su di
voi e imparate da me…» (Mt 11,29). «Io sono la via, la verità e la vita.
Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (Gv 14,6). E il Padre,
sul monte della trasfigurazione, comanda: «Ascoltatelo» (Mc 9,7). In
realtà, egli è il modello delle beatitudini e la norma della Legge nuova:
«Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati» (Gv 15,12). Questo amore
implica l’effettiva offerta di se stessi alla sua sequela;
n. 460: il Verbo si è fatto
carne perché diventassimo «partecipi della natura divina» (2Pt
1,4): «Infatti, questo è il motivo per cui il Verbo si è fatto uomo, e il
Figlio di Dio, Figlio dell’uomo: perché l’uomo, entrando in comunione con Verbo
e ricevendo così la filiazione divina, diventasse figlio di Dio»[3];
«Infatti il Figlio di Dio si è fatto uomo per farci Dio»[4];
«Unigenitus […] Dei Filius, Suae divinitatis volens nos esse participes,
naturam nostram assumpsit, ut homines deos faceret factus homo – L’unigenito
[…] Figlio di Dio, volendo che noi fossimo partecipi della sua divinità,
assunse la nostra natura, affinché, fatto uomo, facesse gli uomini dei».[5]
Questi sono, in breve, i
motivi che rispondono alla domanda: perché il Verbo si è fatto carne?
Ora, è chiaro che il
riferimento principale è quello circa la salvezza degli uomini nella
riconciliazione con Dio, ma la partecipazione alla natura divina,
che meriterebbe di essere trattata in altra sede, ha la sua «fondamentale»
importanza. Tuttavia, oltre ai peccati in genere, la questione che non può
essere persa di vista è quella della colpa di origine, ossia del peccato
originale. Infatti, intaccare la rivelazione sul peccato originale vuol
dire attentare al mistero di Cristo.[6]
La conseguenza estrema del peccato
originale – vi sarebbe da esporre in che modo l’uomo fu creato e in quale
stato, per capire pienamente – è stata la «morte»:
Sì, Dio ha creato l’uomo per
l’incorruttibilità e lo ha fatto a immagine della propria natura; ma per
invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo e ne fanno esperienza quanti
sono del suo numero (Sap 2,23-24).
Non bisogna incorrere
nell’errore di una sorta di immortalità naturale, poiché l’uomo, come ogni
essere vivente sottoposto al movimento (generazione-corruzione) è mortale.
L’immortalità – e ciò che ne sarebbe scaturito – era conferita nello stato di
grazia da Dio stesso[7],
il quale stato consentiva la perfetta armonia tra l’anima e il corpo (giustizia
originale). Con la colpa d’origine questa armonia venne meno e la conseguenza
più dura fu l’esperienza della morte, non solo fisica. Ora, per non andare nel
sottile, sono chiare le parole di Cristo in riferimento alla morte e cosa
questa abbia a che fare con la sua venuta:
Le dice Gesù: «Tuo fratello
risorgerà». Gli risponde Marta: «So che risorgerà nella risurrezione all’ultimo
giorno». Le disse Gesù: «Io sono la risurrezione e la vita. Chi crede in me,
anche se morisse, vivrà; e chiunque vive e crede in me, non morirà mai. Credi
tu a ciò?». Gli dice: «Sì, Signore. Io ho creduto che tu sei il Cristo, il
Figlio di Dio, quello che deve venire nel mondo» (Gv 11,23-27).
Il contesto è quello della
risurrezione di Lazzaro. Ebbene, in ultimo, Cristo è venuto per ristabilire
quella vita che è la piena comunione con Dio, l’accesso alla patria celeste,
perso anzitutto col peccato d’origine e concesso nuovamente da Cristo stesso
per mezzo del suo sacrificio. Al riguardo, è certamente illuminante quanto
riportato nel Catechismo Romano (Tridentino):
n. 48: in realtà se tutti
gli uomini muoiono nel primo [Adamo], tutti sono richiamati a vita nel secondo
[Cristo]. E come Adamo è stato il padre del genere umano nell’ordine di natura,
così Gesù Cristo è per tutti l’autore della grazia e della gloria (Rom.
V,14). Parimente si può stabilire un’analogia fra la Vergine Madre, seconda
Eva, e la prima […]. Avendo creduto alle lusinghe del serpente (Gen. III,6),
Eva attirò sul genere umano la maledizione e la morte; avendo Maria creduto
all’annuncio dell’angelo, fece sì che la bontà di Dio ridonasse agli uomini
benedizione e vita. A causa di Eva nasciamo figli della collera (Efes.
II,3); ma da Maria ricevemmo Gesù Cristo, per merito del quale siamo rigenerati
come figli della grazia;
n.51: mentre mediteranno
tutto ciò, i fedeli non dimenticheranno che Dio volle sottostare all’umile
fragilità della nostra carne, affinché il genere umano fosse innalzato al più
alto livello della dignità.
Questi testi sono molto
chiari. Pertanto, il Lógos si è incarnato principalmente per ciò e continua ad
essere presente per mezzo della Chiesa, suo corpo mistico. In che modo?
Principalmente attraverso i «sacramenti» e soprattutto con la santa
«Eucaristia».
Per concludere, le parole
del Doctor Angelicus risultano alquanto limpide:
Benché il primo peccato del
progenitore abbia infettato tutta la natura umana, questa al contrario non ha
potuto essere riparata per la sua penitenza o per qualsiasi merito. È chiaro
infatti che la penitenza di Adamo o qualsiasi altro suo merito fu un atto della
persona singola; ora, l’atto di un individuo non ha alcuna influenza su tutta
la natura della specie [umana]. […] Quindi il merito singolare di Adamo, o di
qualsiasi altro puro uomo, non ha potuto essere sufficiente per reintegrare
tutta la natura umana. Che poi per un atto singolo del primo uomo sia stata
viziata tutta la natura umana avvenne per accidens, in quanto, privato
lui dello stato di innocenza, [l’innocenza] non poteva attraverso di lui
derivare negli altri. […] ora, la grazia non si acquista con i meriti, ma è
concessa gratuitamente da Dio: perciò, come il primo uomo ebbe all’inizio la
giustizia originale non per proprio merito, ma per un dono divino, così molto
meno la poté meritare mediante la penitenza, o compiendo qualsiasi altra opera,
dopo il peccato. […] Era dunque conveniente che Dio si facesse uomo, così che
uno solo potesse nello stesso tempo riparare e soddisfare. Ed è questa la causa
della divina incarnazione che viene indicata dall’Apostolo quando afferma: «Cristo
Gesù è venuto in questo mondo per salvare i peccatori» [1Tm 1,9-11].[8]
Insomma, quello del Natale è senza dubbio un tempo di dolcezza, di vicinanza, di luce, di calore – anche se la stagione è quella invernale –, di regali ecc. Ma è bene ribadire che qualora mancasse il riferimento a Cristo, o meglio, «al» Cristo, tutto ciò non avrebbe alcun senso… Nemmeno uno. Con il Cristo e in riferimento a Lui, tutto raggiunge il senso ultimo. Pertanto, in questa novena di Natale, il mio augurio è che si possa certamente ritrovare l’unità e la pace, ma in Cristo, il quale dà la pace ma non come la dà il mondo, e che si riscopra la vita cristiana scaturita dai sacramenti, ultimamente così poco considerati e che invece sono il prolungamento di Cristo in mezzo a noi, in mezzo alla sua Chiesa.
Gabriele Cianfrani
[1] In merito alla «questione
dell’autore» del quarto Vangelo vi sono diverse posizioni da parte di studiosi
di notevole spessore (Martin Hengel, Raymond Edward Brown, Xavier Leon-Dufour, Rudolf
Schnackenburg e altri), per cui non è possibile neanche accennare alla
quesitone. La modesta opinione di chi scrive rimanda alla origine apostolica
dei quattro Vangeli, da intendere come riporta la Dei Verbum: la Chiesa
ha sempre e in ogni luogo ritenuto e
ritiene che i quattro Vangeli siano di origine apostolica. Infatti, ciò che gli
Apostoli per mandato di Cristo predicarono, dopo, per ispirazione dello Spirito
Santo, fu dagli stessi e da uomini della loro cerchia tramandato in scritti,
come fondamento della fede, cioè l’Evangelo quadriforme, secondo Matteo, Marco,
Luca e Giovanni (Conc. Vat. II, Dei
Verbum; cfr. Ireneo di Lione, Adversus
haereses, III, 11,8: PG 7,885). In questo estratto vi sono tantissimi
elementi, ma che per evidenti motivi di estensione non è possibile sviluppare.
[2] Appare così in questa frase un’allusione
all’antica Tenda dell’Incontro, dimora di Dio fra gli israeliti durante la loro
peregrinazione per il deserto, nella prima epoca di Israele (Es 33,7-10), e
rimpiazzata più tardi dal santuario di Gerusalemme (2Sam 7,1-13; 1Re 5,15-19;
6,1ss.). Quella presenza di Dio è ormai sostituita da questa: la tenda di Dio,
il luogo dove egli abita in mezzo agli uomini, è un uomo, una «carne» (J.Mateos – J. Barreto, Il Vangelo di
Giovanni. Analisi linguistica e commento esegetico, Cittadella Editrice,
Assisi 20165,p.63).
[3] Ireneo di Lione, Adversus haereses, III, 19,1: PG 7,939.
[4] Atanasio di Alessandria, De Incarnatione, 54,3: PG 25,192.
[5] Tommaso d’Aquino, Officium de festo corporis Christi, Ad Matutinas, In
primo Nocturno, Lectio 1.
[6] Cfr. Catechismo della Chiesa
Cattolica, n. 389.
[7] È insegnamento ormai della Chiesa
quello riguardante i doni preternaturali (integrità, immortalità,
impassibilità, scienza infusa) e il dono soprannaturale (grazia
santificante), come riportato nel Catechismo Maggiore di san Pio X, n. 57.
L’armonia che vi fu in questo stato di grazia e la partecipazione alla vita
divina è chiamata «santità originale» (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica,
n. 375).
[8] Tommaso
d’Aquino, Compendio di teologia, I, cc. 198-200.
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