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venerdì 8 dicembre 2023

NESSUNO METTE DEL VINO NUOVO IN OTRI VECCHI: L'IMMACOLATA CONCEZIONE


 

Quella dell’8 dicembre, dal 1854, risulta essere la solennità della Immacolata concezione della Beata Vergine Maria. Per quale motivo dal 1854? Perché l’8 dicembre 1854 Papa Pio IX proclamò tale dogma con la bolla Ineffabilis Deus (per leggerla interamente cliccare qui). I dogmi mariani sono complessivamente quattro: Maternità divina (431 d.C.); verginità perpetua (553 d.C.); immacolata concezione (1854); assunzione in Cielo in anima e corpo (1950).

Fin da ora è necessario precisare che trattare del concepimento immacolato di Maria è cosa che richiede troppo spazio, per cui non sarà possibile raggiungere quella esaustività richiesta da un tema di questa portata, ma qualche dato è possibile riportarlo. Tuttavia, se si volesse andare nel dettaglio, sarebbe necessaria almeno un’infarinatura riguardante lo stato dei progenitori prima della colpa d’origine, la stessa colpa o peccato d’origine (cos’è, come si trasmette, cosa comporta, quale rimedio sacramentale ecc.), la costituzione della natura umana, alcuni argomenti riguardanti la natura e la grazia e tante altre cose. Inoltre, è bene sapere che in passato vi sono state alcune disquisizioni teologiche che non sempre hanno condotto ad affermare il concepimento immacolato di Maria, pur mantenendo quella grande venerazione nei suoi confronti, comune a tutti i grandi teologi. Non solo, ma per quanto riguarda tali disquisizioni è stato osservato che andrebbe posta la distinzione tra conceptio e animatio e la stessa animazione intellettiva durante il Medioevo, ma questo rimanda ad un altro momento (per chi vuole leggere qualcosa sulla creazione dell’anima e in particolar modo secondo san Tommaso d’Aquino, riporto un mio lavoro al quale è possibile collegarsi cliccando qui).

Prima di procedere è importante sapere che gli ultimi due dogmi mariani sono stati proclamati considerando la duplice infallibilità magisteriale, che si divide in infallibilitas in credendo e infallibilitas in docendo: la prima (in credendo) riguarda la totalità dei fedeli (universitas fidelium: indica la Chiesa nel suo insieme, non la somma aritmetica di ogni singolo membro) «non può sbagliarsi nel credere – in credendo falli nequit» (Lumen gentium, n. 12); la seconda (in docendo) è la funzione magisteriale, affidata ai soli Pastori, che garantisca la certezza del credere, in materia di fede e morale. In tal caso il riferimento è soprattutto alla infallibilità in credendo, che si radica in quel sensus fidei che riguarda tutto il popolo di Dio, ecclesiastici e laici. In poche parole riguarda tutta la Chiesa.

A questo punto sarebbe necessario parlare di un aspetto che ultimamente, anche da parte dei cattolici, è poco compreso: la Rivelazione, ossia la Parola di Dio. Sembra strano, ma non lo è. Spesse volte si considera ‘solo’ la Sacra Scrittura come Parola di Dio, lasciando nell’oblio l’altra fonte imprescindibile, ossia la Sacra Tradizione (cfr. Lc 1,1-4; Gv 21,24-25; 2Pt 3,15-16). È un errore grossolano – oggi più o meno comprensibile –, per il semplice motivo che la Rivelazione in quanto Parola di Dio scaturisce e dalla Sacra Scrittura e dalla Sacra Tradizione, senza considerare che la Sacra Tradizione appare sia in senso ampio (per iscritto) sia in senso stretto (oralmente). La domanda sarebbe la seguente: cos’è la Sacra Tradizione? Questa domanda sarà alla base del prossimo articolo, nel quale sarà trattato il rapporto tra Sacra Scrittura e Sacra Tradizione.

Ora, il dogma dell’Immacolata concezione esprime che la Beata Vergine fu esente dalla macchia del peccato d’origine, ossia non ereditò il peccato d’origine, non per suo merito creaturale ma per l’applicazione preventiva dei meriti redentivi di Cristo, cioè preservata dalla colpa d’origine in virtù dei meriti redentivi di Cristo. Possibile obiezione: dove sta scritto? Non è vero che san Paolo ha detto che tutti hanno peccato (cfr. Rm 3,23) e che tutti, per somiglianza col peccato di Adamo, sono colpiti dalla morte e che necessitano della redenzione (cfr. Rm 5,12-14; 1Cor 15,22)? Certo, san Paolo ha riportato in maniera straordinaria quella che è riconosciuta come la dottrina del peccato d’origine e le sue conseguenze, perciò ha espresso tutto con quella finezza che gli era propria. Infatti, ciò non viene neanche minimamente scalfito con il dogma della Immacolata concezione, anzi, tale dogma avvalora il tutto. Senza riprendere il passo del Protovangelo (Gen 3,15), che permane nella sua importanza e che consta del duplice senso letterale proprio ed improprio, oltre ad altri luoghi veterotestamentari, si ritiene necessario soffermarsi su due luoghi sui quali riflettere: Lc 1,28; Lc 1,41-45.

Il primo riferimento è al verso di Lc 1,28, ossia a quel «piena di grazia» (gratia plena), che risulta essere un caso unico in tutta la Scrittura. Pertanto, occorre chiedersi cosa sia la «grazia» e come questa agisca sulla natura umana, se si vogliono comprendere quelle parole. La grazia è di per sé quel dono soprannaturale di Dio che consente alla creatura umana di partecipare della natura divina (cfr. Tt 3,7; 2Pt 1,4) e che comporta un vero e proprio rinnovamento dell’uomo (cfr. Concilio di Trento, Decreto sulla giustificazione, capitolo VII). Tale grazia che agisce sul piano ontologico è stata chiamata gratia gratum faciens o grazia santificante o grazia abituale. Si tratta di quella grazia che rende graditi a Dio in seguito al rinnovamento della creatura umana e che comporta la vera adozione divina (cfr. Gal 3,5). A questo punto san Tommaso d’Aquino direbbe che l’adozione divina è diversa da quella umana, in quanto solitamente l’uomo adotta ciò che gli è già gradito ed è già idoneo, mentre Dio, adottandoci divinamente, ci rende graditi a Lui e ci partecipa la sua beatitudine (Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, III, q. 23, a. 1). Pertanto, la grazia divina agisce primariamente sul piano ontologico, rinnovando interamente la creatura e rendendo la medesima partecipe della divina natura. Ma cosa sarebbe la grazia, in ultimo, se non Dio stesso? Quale sarebbe il suo rapporto con l’uomo? Sarebbe una sorta di panteismo o di emanatismo? Assolutamente no, dal momento che Dio è assolutamente semplice e tutto ciò che si manifesta al di fuori di Dio è «creato». Pertanto, nonostante l’autore della grazia sia Dio e in ultimo la medesima coincide con Dio, dal momento che viene ricevuta dalla creatura risulta essere creata. Ovviamente la partecipazione della natura divina supera infinitamente la partecipazione dell’essere, per cui bisogna ponderare bene le parole e soprattutto capire che ciò, spesse volte, supera la stessa capacità umana di comprensione.

Ora, dal momento che la grazia non può coabitare col peccato, e nel grembo di Maria ha assunto natura umana l’Autore della grazia, come poteva essere possibile la coabitazione di Dio e del peccato (d’origine)? Si ricordi che Dio è Trinità e che in tal caso la natura umana è stata assunta dalla Seconda Persona della Trinità (il Figlio). Ma se la colpa del peccato d’origine viene rimossa con la grazia santificante (conferita inizialmente col Battesimo) e l’angelo Gabriele saluta Maria come «piena di grazia», vuol dire che ella era già piena di Dio, ossia l’angelo non trova in lei neanche l’ombra del peccato, altrimenti non l’avrebbe salutata come «piena di grazia». A questo punto sorge un’altra domanda: come si manifesta la grazia? La riposta a tale domanda richiederebbe uno spazio notevole, ma bisogna sapere che la grazia è di per sé gratuita e in chiave biblica comprende anche l’aspetto della elezione, della scelta da parte di Dio, non per i meriti umani ma per la ricchezza della bontà divina (cfr. Dt 4,37; 7,7-8). A questo punto appare chiaro che Maria è «piena di grazia» per quei singolari meriti redentivi di Cristo – anche Maria è stata redenta, per cui non vale l’obiezione sopra riportata –, applicati ad ella preventivamente (Pio XI, Bolla Ineffabilis Deus; Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 53), senza contare il dialogo tra Maria e l’angelo Gabriele.

Per quanto riguarda il secondo passo, Lc 1,41-45, vi sono due verità: Maria in quanto Madre del Signore e Maria in quanto dispensatrice delle grazie. Evidentemente Elisabetta saluta Maria quale madre del suo Signore, ma tale saluto segue un fatto ben preciso: la voce di Maria fa sussultare il figlio di Elisabetta che in quel momento si trovava nel suo grembo (Giovanni il Battista). Il tempo si ferma: da una parte la madre del Signore e la madre del precursore, dall’altra Cristo e Giovanni il Battista nel grembo delle relative madri. L’Autore della grazia, per mezzo della voce di Maria, raggiunge colui che sarà il suo precursore per mezzo della madre. Ed ecco che colei che era già piena di grazia porta nel suo grembo l’Autore della grazia, dal momento che ha trovato in lei quel tabernacolo che poteva permetterGli di porre la Sua tenda in mezzo a noi (cfr. Gv 1,14). Mi pare che tutto ciò emerga dai testi stessi.

Nonostante l’argomento meriterebbe di essere trattato in tutta la sua ampiezza – non è facile! –, il dogma dell’Immacolata concezione non lede quanto si legge nei passi paolini sopra riportati, dal momento che la redenzione è stata universale e anche Maria è stata redenta, ma preventivamente, come risulta dai passi lucani.

Per concludere, al di là delle ricerche teologiche, proprio colui che nutre grande odio verso la Beata Vergine affermò il suo concepimento immacolato. Nel 1823 i due domenicani P. Cassetti e P. Pignatura, dopo aver constatato la possessione diabolica di un ragazzo undicenne analfabeta dell’attuale Ariano Irpino, e dopo aver ricevuto il permesso di esorcizzarlo da parte del Vescovo, procedettero con l’esorcismo. Tuttavia, dal momento che a quel tempo si discuteva molto del concepimento immacolato di Maria – si ricordi che il dogma fu proclamato nel 1854 e nel 1858 la Beata Vergine a Lourdes lo confermò, e sulle mariofanie di Lourdes ci sarebbe tanto da dire –, i due domenicani richiesero al demonio una cosa strana, ossia di esprimersi sul concepimento immacolato di Maria mediante un sonetto con caratteristiche ben precise. Impossibile per un ragazzino analfabeta, ma forse anche qualcun altro. Bisogna sapere che l’angelo caduto non pronuncia i nomi di Gesù e di Maria e non lo fece neanche quella volta, ma ciò che venne fuori, anche se pronunciato dal demonio per bocca del ragazzino, ha il suo fascino. Attenzione: non bisogna prestare ascolto a tante cose che girano oggi, né a presunte catechesi da parte dell’angelo caduto né ad altre corbellerie, si cadrebbe nel tranello di colui ha l’intelletto deturpato, sì, ma comunque superiore all’intelletto umano. Il caso in questione fu un’eccezione e fu riconosciuto da chi era del mestiere. Pertanto, ecco il sonetto, anche se qualcuno avanza dei dubbi, ma senza fornire spiegazioni:

Vera madre son io d’un Dio ch’è Figlio

e son figlia di Lui benché sua Madre.

Ab aeterno nacqu’Egli ed è mio Figlio.

Nel tempo io nacqui e pur gli son Madre.

 

Egli è mio Creator ed è mio Figlio,

son io sua creatura e gli son Madre.

Fu prodigio divin l’esser mio Figlio

un Dio eterno e me aver per Madre.

 

L’esser quasi è comun tra Madre e Figlio,

perché l’esser dal Figlio ebbe la Madre

e l’esser dalla Madre ebbe anche il Figlio.

 

Or, se l’esser dal Figlio ebbe la Madre

o s’ha da dir che fu macchiato il Figlio

o senza macchia s’ha da dir la Madre.[1]

 

Pertanto, nessuno mette il vino nuovo in otri vecchi, men che mai Colui che è il Pane di Vita.



 

Gabriele Cianfrani



[1] Il testo l’ho preso da F. Bamonte, La Vergine Maria e il diavolo negli esorcismi, Paoline Editoriale Libri, Milano 20105, pp. 37-38.


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