Nel Triduo pasquale, a volte, si pone attenzione quasi esclusivamente al Venerdì santo e alla Domenica di resurrezione, ma il Sabato santo risulta quasi una sorta di vuoto, una semplice attesa della Domenica (il giorno dopo il sabato). In realtà il Sabato santo è un giorno fondamentale del Triduo pasquale, anzi, è proprio nel Sabato santo che avviene quello sconvolgimento atteso da secoli e secoli. Quando il Simbolo apostolico riporta «discéndit ad inferi» (discese agli inferi), il riferimento è ad una realtà ben precisa. Infatti, nell’ Ufficio delle Letture di oggi, è riportata un’antica «Omelia sul Sabato santo»:
Che
cosa è avvenuto? Oggi sulla terra c’è grande silenzio, grande silenzio e
solitudine. Grande silenzio perché il Re dorme: la terra è rimasta sbigottita e
tace perché il Dio fatto carne si è addormentato e ha svegliato coloro che da
secoli dormivano. Dio è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli
inferi. Certo egli va a cercare il primo padre, come la pecorella smarrita.
Egli vuole scendere a visitare quelli che siedono nelle tenebre e nell’ombra di
morte. Dio e il Figlio suo vanno a liberare dalle sofferenze Adamo ed Eva che
si trovano in prigione. Il Signore entrò da loro portando le armi vittoriose
della croce. Appena Adamo, il progenitore, lo vide, percuotendosi il petto per
la meraviglia, gridò a tutti e disse: «Sia con tutti il mio Signore». E Cristo
rispondendo disse ad Adamo: «E con il tuo spirito». E, presolo per mano, lo
scosse, dicendo: «Svegliati, tu che dormi, e risorgi dai morti, e Cristo ti
illuminerà. […] Sorgi, allontaniamoci di qui. Il nemico ti fece uscire dalla
terra del paradiso. Io invece non ti rimetto più in quel giardino, ma ti
colloco sul trono celeste. Ti fu proibito di toccare la pianta simbolica della
vita, ma io, che sono la vita, ti comunico quello che sono. Ho posto dei
cherubini che come servi ti custodissero. Ora faccio sì che i cherubini ti
adorino quasi come Dio, anche se non sei Dio. Il trono celeste è pronto, pronti e
agli ordini sono i portatori, la sala è allestita, la mensa apparecchiata,
l’eterna dimora è addobbata, i forzieri aperti. In altre parole, è preparato
per te dai secoli eterni il regno dei cieli».
Non ci sarebbe altro da
aggiungere, nonostante l’omelia non sia stata riportata interamente, ma è
possibile qualche commento.
Anzitutto è questo il
significato di quel meraviglio affresco dell’ἀνάστασις (anastasis) – è l’immagine sopra, scelta per l’articolo
– che si trova nella Chiesa di San Salvatore in Chora (Instanbul), dal momento
che Cristo, vero Dio e vero uomo, ha compiuto quella redenzione che anche i «giusti»
che furono prima di Lui attendevano. Le due persone che nell’affresco si
trovano a destra e a sinistra di Cristo, che le prende per mano, sono i
progenitori Adamo ed Eva, portati via da quel soggiorno dei morti che va sotto
il nome ebraico di Shéol, corrispondente a quello che in greco si chiama
ade (cfr. Fil 2,10; At 2,24; Ef 4,9; Ap 1,18). Circa lo Shéol, il
noto Dizionario di Teologia Biblica diretto da Xavier Leon-Dufour (e altri)
riporta:
Il defunto «non è più» (Sal 39,14;
Giob 7,8.21; 7,10): prima impressione di inesistenza, perché l’oltretomba
sfugge alle prese dei viventi. Nelle credenze primitive, conservate a lungo dal
VT [Vecchio Testamento], la morte non è tuttavia un annientamento totale. Mentre
il corpo è deposto in una fossa sotterranea, qualcosa del defunto, un’ombra,
sussiste nello šeol. Ma questi inferi sono concepiti in modo molto
rudimentale: un buco spalancato, un pozzo profondo, un luogo di silenzio (Sal
115,17), di perdizione, di tenebre, di dimenticanza (Sal 88,12 s; Giob 17,13). Ivi
tutti i morti radunati partecipano alla stessa misera sorte (Giob 3,13-19; Is
14,9 s), anche se vi sono gradi nella loro ignominia (Ez 32,17-32). […] Tale è
la prospettiva desolante che la morte apre all’uomo per il giorno in cui dev’essere
«riunito ai suoi padri» (Gen 49,29). Qui le immagini non fanno che dare una
forma concreta ad impressioni spontanee che sono universali ed a cui si limitano
ancora molti dei nostri contemporanei (pp. 642-643).
Nonostante vi sia molto da indagare sullo Shéol e
soprattutto svolgere un confronto sull’oltretomba con altre religioni, cosa che
in parte Leon-Dufour fa, si riporta il superamento dello Shéol grazie
alla potenza divina:
Non è in potere dell’uomo salvare se
stesso dalla morte: occorre la grazia di Dio, che solo è per natura il vivente.
Quando perciò il potere della morte si manifesta sull’uomo, in qualsiasi modo,
egli non può che rivolgere a Dio un appello (Sal 6,5; 13,4; 116,3). Allora, se
è giusto, può nutrire la speranza che Dio «non abbandonerà la sua anima allo
sheol» (Sal 16,10), «libererà la sua anima dagli artigli dello sheol» (Sal 49,
16). Una volta guarito o salvato dal pericolo, renderà grazie a Dio per averlo
liberato dalla morte (Sal 18,17; 30; Giona 2,7; Is 38,17), perché appunto di
una tale liberazione avrà fatto l’esperienza concreta. Ancor prima che le
prospettive della sua fede abbiano superato i limiti della vita presente, egli
saprà così che la potenza divina prevale su quella della morte e dello sheol:
primo germe di una speranza che si evolverà infine in una prospettiva di
immortalità. […] D’altronde la rivelazione, ancor prima di aprire a tutti
simili prospettive, aveva illuminato di nuova luce l’enigma della morte dei
giusti, attestandone la fecondità. Il fatto che il giusto per eccellenza, il
servo di Jahve, sia colpito a morte e «strappato via dalla terra dei viventi»,
non è privo di significato: la sua morte è un sacrificio espiatorio offerto
volontariamente per i peccati degli uomini; con essa si compie il disegno di
Dio (Is 53,8-12). Si svela così in anticipo il tratto più misterioso dell’economia
della salvezza, che la storia di Gesù porrà in atto. […] Fino a Cristo e senza
di lui, c’era il regno della morte; Cristo viene e, con la sua morte, trionfa
della morte stessa; da questo istante la morte cambia senso per la nuova
umanità che muore con Cristo per vivere con lui eternamente (pp. 646-647).
Questo il breve percorso biblico
fino ad arrivare al momento decisivo, ossia il Sabato santo. Da precisare che
ciò non sarebbe stato possibile se l’incarnazione del Verbo non fosse avvenuta
così com’è avvenuta, ossia l’unione ipostatica, sulla quale si tornerà in altra
sede. Il discorso sull’unione ipostatica è così importante da determinare tutto
il resto, oltre alla corretta comprensione di tanti fatti. La corretta
comprensione dell’incarnazione evita tanti problemi che ultimamente sono emersi
nuovamente, ai quali è possibile rispondere con chiarimenti risalenti a molti
secoli fa. Uno dei problemi, ad esempio, riguarda la conversione del pane e del
vino nel corpo e nel sangue di Cristo, in riferimento alla quale si dice: «è
venuto Gesù»; «ora Gesù si è trasformato nel pane e nel vino»; «adesso Gesù è venuto
dal Cielo ed è nell’ostia». Non è così e un’impostazione simile sminuirebbe
enormemente ciò che avviene nella conversione del pane e del vino, poiché sono
questi elementi a «convertirsi», ma ciò rimanda ad un altro lavoro.
Tornando al Sabato santo, il
Catechismo della Chiesa Cattolica riporta:
La Scrittura chiama inferi, Shéol o ̔Αιδην
il soggiorno dei morti dove Cristo morto è disceso, perché quelli che vi si
trovano sono privati della visione di Dio. Tale infatti è, nell’attesa del
Redentore, la sorte di tutti i morti, cattivi o giusti; il che non vuol dire
che la loro sorte sia identica, come dimostra Gesù nella parabola del povero
Lazzaro accolto nel «seno di Abramo». «Furono appunto le anime di questi giusti
in attesa del Cristo a essere liberate da Gesù disceso all’inferno». Gesù non è
disceso agli inferi per liberare i dannati né per distruggere l’inferno della
dannazione, ma per liberare i giusti che l’avevano preceduto. «La Buona Novella
è stata annunciata anche ai morti…» (1Pt 4,6). La discesa agli inferi è
il pieno compimento dell’annunzio evangelico della salvezza. È la fase ultima
della missione messianica di Gesù, fase condensata nel tempo ma immensamente
ampia nel suo reale significato e estensione dell’opera redentrice a tutti gli
uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi, perché tutti coloro i quali sono
salvati sono stati resi partecipi della redenzione (CCC, nn. 633-634).
Da questo si capisce che il Sabato
santo non è un giorno di «vuoto» o una «semplice attesa», ma il pieno
compimento della redenzione. Inoltre, il Catechismo Romano (o Tridentino)
riporta notevoli precisazioni:
Con queste parole [discese
all’inferno] riconosciamo che, in quel tempo, la medesima persona di Gesù
Cristo fu nell’inferno e giacque nel sepolcro, il che non deve sorprendere. Infatti,
come spesso abbiamo ripetuto, sebbene l’anima fosse uscita dal corpo, tuttavia
la divinità non si separò mai né dall’anima né dal corpo. […] Qui il vocabolo
in questione [inferno] vuole significare quelle nascoste sedi, in cui stanno le
anime di coloro che non hanno conseguito la beatitudine celeste. La Sacra
Scrittura offre molteplici esempi di questo uso. In san Paolo leggiamo: In nome
di Gesù, ogni ginocchio si curvi, in cielo, in terra, nell’inferno (Filipp.
II, 10). Negli Atti degli Apostoli, san Pietro assicura che Gesù Cristo
N. S. risuscitò, dopo aver superato i dolori dell’inferno (Atti II, 24).
Tali sedi non son tutte del medesimo genere. Una è quella prigione tenebrosa e
orribile, nella quale le anime dei dannati giacciono in un fuoco perpetuo e
inestinguibile, insieme agli spiriti immondi. In questo significato abbiamo i
termini equivalenti di geenna, abisso, inferno propriamente detto. In secondo
luogo c’è la sede del fuoco purgante, soffrendo nel quale, per un determinato
tempo, le anime dei giusti subiscono l’espiazione, onde possano salire alla
patria eterna, chiusa a ogni ombra di colpa. […] Una terza sede è quella in cui
le anime dei santi furono ospitate prima della venuta di Gesù Cristo N. S. Esse
vi dimorarono quietamente, immuni da ogni pena, alimentate dalla beatifica
speranza della redenzione. […] Gesù Cristo scendendo nell’inferno liberò appunto
le anime di questi giusti, aspettanti il Salvatore nel seno di Abramo. […]
Tutti vi erano penetrati prigionieri; egli invece, libero e vincitore fra
morti, vi entrò per debellare i demòni, dai quali essi erano tenuti prigionieri
a causa della colpa originale. […] Così fu compiuta la promessa fatta al buon
ladrone: Oggi sarai con me in paradiso (Luc. XXIII, 43). Questa liberazione dei
buoni era stata molto tempo innanzi predetta da Osea con queste parole: O morte,
io sarò la tua morte; o inferno, io sarò la tua distruzione (Os. XIII, 14); e
dal Profeta Zaccaria: Per te, a causa del sangue del tuo patto, io ritirerò i
tuoi prigionieri dalla fossa senz’acqua (Zac. IX, 11); nonché dal passo dell’Apostolo:
Egli ha spogliato i principati e le potestà, offrendoli a spettacolo e trionfando
di loro (Col. II,15).
Per concludere, sui passi sopra riportati occorrerebbe riflettere, ma soprattutto si capisce che Gesù, durante il Sabato, non stava «dormendo», ma stava salvando il mondo.
Gabriele Cianfrani
Complimenti, un testo scritto in maniera eccellente e molto comprensibile.
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