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mercoledì 30 agosto 2023

CENNI DI ERMENEUTICA BIBLICA (parte 2)

 


Nel precedente articolo (clicca qui) è stato riportato che l’interpretazione autentica, sulla base della Dei Verbum n. 10, è quell’ufficio riservato al solo Magistero della Chiesa. Tuttavia, potrebbe sorgere una domanda: se tale ufficio è riservato al Magistero, quale sarebbe il compito degli studiosi?

Una domanda del tutto legittima, infatti, gli studiosi sono molto importanti in quanto preparano ciò su cui il Magistero si esprimerà, qualora lo ritenesse opportuno. È possibile notare tanti lavori di eminenti studiosi del campo biblico, con approfondimenti e commenti, e questi studi sono fondamentali non solo per la ricerca biblica, ma perché offrono il materiale per eventuali interventi magisteriali – da non dimenticare che il contenuto del Magistero è la fede e la morale (fides et mores). Seguendo il Discorso di San Giovanni Paolo II del 23 aprile 1993 riportato dalla Pontificia Commissione Biblica (L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa):

 

«Desidero oggi mettere in risalto alcuni aspetti dell’insegnamento di queste due Encicliche [Providentissimus Deus di Leone XIII e Divino afflante Spiritu di Pio XII] e la validità permanente del loro orientamento attraverso circostanze mutevoli al fine di poter meglio beneficiare del loro contributo. In primo luogo, si nota fra questi due documenti un’importante differenza. Si tratta della parte polemica – o, più precisamente, apologetica – delle due Encicliche. Infatti, l’una e l’altra manifestano la preoccupazione di rispondere agli attacchi contro l’interpretazione cattolica della Bibbia ma questi attacchi non andavano nella stessa direzione. La Providentissimus Deus, da una parte, vuole soprattutto proteggere l’interpretazione cattolica della Bibbia dagli attacchi della scienza razionalista; dall’altra, la Divino afflante Spiritu si preoccupa piuttosto di difendere l’interpretazione cattolica dagli attacchi che si oppongono all’utilizzazione della scienza da parte degli esegeti e che vogliono imporre un’interpretazione non scientifica, cosiddetta «spirituale», delle Sacre Scritture. Questo cambiamento radicale della prospettiva era dovuto, evidentemente, alle circostanze. La Providentissimus Deus fu pubblicata in un’epoca segnata da forti polemiche contro la fede della Chiesa. L’esegesi liberale forniva a queste polemiche un sostegno importante, poiché essa utilizzava tutte le risorse delle scienze, dalla critica testuale alla geologia, passando per la filologia, la critica letteraria, la storia delle religioni, l’archeologia e altre discipline ancora. Al contrario, la Divino afflante Spiritu venne pubblicata poco tempo dopo una polemica del tutto differente, condotta, soprattutto in Italia, contro lo studio scientifico della Bibbia. Nell’uno e nell’altro caso, la reazione del Magistero fu significativa, poiché, invece di attenersi a una riposta puramente difensiva, esso andava a fondo del problema e manifestava così – notiamolo subito – la fede della Chiesa nel mistero dell’Incarnazione. […] Costatiamo così che, nonostante la grande diversità delle difficoltà da affrontare, le due Encicliche si riuniscono perfettamente a livello più profondo. Esse rifiutano, sia l’una che l’altra, la rottura tra l’umano e il divino, tra la ricerca scientifica e lo sguardo della fede, fra il senso letterale e il senso spirituale. Esse si mostrano su quel punto pienamente in armonia con il mistero dell’Incarnazione».

 

Dalle parole di San Giovanni Paolo II si capisce quanto la ricerca scientifica nel campo biblico sia incoraggiata! E questo incoraggiamento è rivolto a tutti gli studiosi del campo, in modo particolare agli esegeti. È la posizione espressa dalla Dei Verbum:

 

È compito degli esegeti contribuire secondo queste norme alla più profonda intelligenza ed esposizione del senso della Sacra Scrittura, fornendo i dati previi, dai quali si maturi il giudizio della Chiesa. Quanto, infatti, è stato qui detto sul modo di interpretare la Scrittura, è sottoposto in ultima istanza al giudizio della Chiesa, la quale adempie il divino mandato e mistero di conservare e interpretare la parola di Dio (n.12).

 

Chiarita l’importanza determinante degli studiosi anche per i successivi compiti del Magistero, è doveroso passare, brevemente, alla esposizione delle tre grandi parti della ermeneutica biblica, come ricordato dall’articolo precedente (qui): la noematica (da νόημα = pensiero), ossia l’analisi dei vari sensi della Scrittura; l’euristica (da εὑρίσκειν = trovare), ossia l’insegnamento per trovare i sensi della Scrittura; la proforistica (da προφέρειν = proferire, enunziare), ossia il modo di esporre il senso così trovato e per l’uso della Chiesa. Il testo di riferimento sarà sempre L. Moraldi I.M.C. – S. Lyonnet S.J. (ed.), Introduzione alla Bibbia. Corso sistematico di studi biblici, I. Introduzione generale, Marietti, Torino 1960. In questa sede si prenderà in esame la noematica, mentre l’euristica e la proforistica saranno trattate nel prossimo articolo.

Per quanto riguarda la noematica, e partendo dal senso letterale, è possibile strutturare nel modo seguente.

 

Senso letterale

a) a seconda dei termini usati:         

- proprio (l’utilizzo delle parole nel loro significato originale);

- improprio (l’utilizzo delle parole in maniera figurata, ma con una certa attinenza col significato della parola originaria: «l’agnello di Dio», in riferimento a Cristo).

Il senso letterale improprio presenta altre divisioni:

paragone: confronto di due termini mediante qualche particella similitudinaria, i termini sono presi in senso proprio («come un agnello davanti a chi lo tosa»);

metafora: confronto di due termini ma con verbo «essere», non con particella similitudinaria, e i termini sono preso in senso figurato («[Cristo è] l’agnello di Dio»);

parabola: sviluppo del paragone, con termini presi in senso proprio;

allegoria: sviluppo della metafora, con termini presi in senso figurato o traslato.

Il simbolo, che si riscontra nella Scrittura, a differenza del tipo (da cui la lettura tipologica), svolge la funzione di significare qualcos’altro; il tipo ha ragione di essere anche in se stesso e non esclusivamente in altro.

 

b) a seconda dell’intenzione dell’autore:       

- esplicito: ciò che risulta a prima vista dalle parole;

- implicito: ciò che risulta nascosto nelle parole o nella totalità del testo;

- pieno: ciò che si riferisce ordinariamente a Dio, senza sorpassare il senso letterale, ma comunque al di sopra della portata dell’agiografo, ossia lo scrittore sacro (ad esempio, il passo di Is 7,14 non parla di una «vergine», ma di una «giovane donna», e il richiamo di tale passo in Mt 1,23 sostituisce la «giovane donna» con la «vergine», dando senso pieno a quel passo di Is 7,14);

- eminente: ciò che si dice in modo eminente di uno della collettività, in maniera tale che quella eminenza coinvolga la stessa collettività (ad esempio, la discendenza della donna o la discendenza di Davide, ossia la parte buona degli uomini o della casa/dinastia di Davide).

 

Per quanto riguarda il senso spirituale, la Pontificia Commissione Biblica è chiara:

 

come regola generale, possiamo definire il senso spirituale, compreso secondo la fede cristiana, il senso espresso dai testi biblici quando vengono letti sotto l’influsso dello Spirito Santo nel contesto del mistero pasquale di Cristo e della vita nuova che ne risulta. Questo contesto esiste effettivamente. Il Nuovo Testamento riconosce in esso il compimento delle Scritture. È perciò normale rileggere le Scritture alla luce di questo nuovo contesto, quello della vita nello Spirito. […] Contrariamente a un’opinione corrente, non c’è necessaria distinzione tra questi due sensi [letterale e spirituale]. […] Quando c’è una distinzione, il senso spirituale non può mai essere privato dei rapporti con il senso letterale che ne rimane la base indispensabile; diversamente, non si potrebbe parlare di «compimento» della Scrittura. […] Il senso spirituale non è da confondere con le interpretazioni soggettive dettate dall’immaginazione o dalla speculazione intellettuale. Esso scaturisce dalla relazione del testo con certi dati reali che non gli sono estranei, l’evento pasquale e la sua inesauribile fecondità, che costituiscono il vertice dell’intervento divino nella storia di Israele, a vantaggio di tutta l’umanità (L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa, pp. 74-75).

 

Il senso spirituale, che in alcuni testi si trova come senso tipico, si divide in:

- allegorico (da non confondere con l’allegoria del senso letterale improprio): ha per oggetto Cristo o la Chiesa;

- tropologico o morale: riguarda una lezione concernente la morale;

- anagogico: ha per oggetto le cose riguardanti la vita futura.

 

Quella riportata è una breve esposizione di ciò che riguarda la noematica, dal momento che vi sarebbero da fare altri approfondimenti, ma per questo si rimanda ai testi specifici. Tuttavia, non è possibile impoverire il senso letterale, come purtroppo avviene spesso, col risultato della mancata comprensione del testo biblico. Quello letterale è il senso più articolato! Si consiglia vivamente ciò che scrive san Tommaso d’Aquino in Summa Theologiae, I, q. 1 a. 10, in cui anche l’historia, l’aetiologia e l’analogia ad unum litteralem sensum pertinet. Inoltre, per concludere, spesse volte si accusa Origene († 254 d.C. ca.) di aver «spiritualizzato» troppo la Scrittura. In realtà Origene, che è stato tra i massimi esegeti della storia della Chiesa – basta leggere il suo commento al Padre Nostro –, distingueva tre tipi di lettura in base alla concezione antropologica. Egli distingueva, antropologicamente, tra somatici, psichici e pneumatici, per cui abbiamo: somatico/letterale (proprio) – psichico/morale – pneumatico/allegorico (letterale improprio e/o tipologico). Pare che egli intendesse dire che non tutti i passi della Scrittura godano di senso letterale «proprio» (somatico o corporeo), e in questo aveva perfettamente ragione (cfr. L. Moraldi I.M.C. – S. Lyonnet S.J. (ed.), Introduzione alla Bibbia. Corso sistematico di studi biblici, I. Introduzione generale, Marietti, Torino 1960, p. 182). Pertanto, Origene non è un Padre della Chiesa per precisi motivi, va bene, ma alcune posizioni ostinatamente contro di lui dovrebbero essere riviste.

 

 

Gabriele Cianfrani


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