Nel
precedente articolo (clicca qui) è stato riportato che l’interpretazione
autentica, sulla base della Dei Verbum n. 10, è quell’ufficio riservato al
solo Magistero della Chiesa. Tuttavia, potrebbe sorgere una domanda: se tale
ufficio è riservato al Magistero, quale sarebbe il compito degli studiosi?
Una
domanda del tutto legittima, infatti, gli studiosi sono molto importanti in
quanto preparano ciò su cui il Magistero si esprimerà, qualora lo ritenesse
opportuno. È possibile notare tanti lavori di eminenti studiosi del campo
biblico, con approfondimenti e commenti, e questi studi sono fondamentali non
solo per la ricerca biblica, ma perché offrono il materiale per eventuali
interventi magisteriali – da non dimenticare che il contenuto del Magistero è la
fede e la morale (fides et mores). Seguendo il Discorso di
San Giovanni Paolo II del 23 aprile 1993 riportato dalla Pontificia Commissione
Biblica (L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa):
«Desidero oggi mettere in risalto
alcuni aspetti dell’insegnamento di queste due Encicliche [Providentissimus
Deus di Leone XIII e Divino afflante Spiritu di Pio XII] e la
validità permanente del loro orientamento attraverso circostanze mutevoli al
fine di poter meglio beneficiare del loro contributo. In primo luogo, si nota
fra questi due documenti un’importante differenza. Si tratta della parte
polemica – o, più precisamente, apologetica – delle due Encicliche. Infatti, l’una
e l’altra manifestano la preoccupazione di rispondere agli attacchi contro l’interpretazione
cattolica della Bibbia ma questi attacchi non andavano nella stessa direzione. La
Providentissimus Deus, da una parte, vuole soprattutto proteggere l’interpretazione
cattolica della Bibbia dagli attacchi della scienza razionalista; dall’altra,
la Divino afflante Spiritu si preoccupa piuttosto di difendere l’interpretazione
cattolica dagli attacchi che si oppongono all’utilizzazione della scienza da
parte degli esegeti e che vogliono imporre un’interpretazione non scientifica,
cosiddetta «spirituale», delle Sacre Scritture. Questo cambiamento radicale della
prospettiva era dovuto, evidentemente, alle circostanze. La Providentissimus
Deus fu pubblicata in un’epoca segnata da forti polemiche contro la fede
della Chiesa. L’esegesi liberale forniva a queste polemiche un sostegno
importante, poiché essa utilizzava tutte le risorse delle scienze, dalla
critica testuale alla geologia, passando per la filologia, la critica letteraria,
la storia delle religioni, l’archeologia e altre discipline ancora. Al contrario,
la Divino afflante Spiritu venne pubblicata poco tempo dopo una polemica
del tutto differente, condotta, soprattutto in Italia, contro lo studio
scientifico della Bibbia. Nell’uno e nell’altro caso, la reazione del Magistero
fu significativa, poiché, invece di attenersi a una riposta puramente
difensiva, esso andava a fondo del problema e manifestava così – notiamolo subito
– la fede della Chiesa nel mistero dell’Incarnazione. […] Costatiamo così che,
nonostante la grande diversità delle difficoltà da affrontare, le due
Encicliche si riuniscono perfettamente a livello più profondo. Esse rifiutano,
sia l’una che l’altra, la rottura tra l’umano e il divino, tra la ricerca scientifica
e lo sguardo della fede, fra il senso letterale e il senso spirituale. Esse si
mostrano su quel punto pienamente in armonia con il mistero dell’Incarnazione».
Dalle
parole di San Giovanni Paolo II si capisce quanto la ricerca scientifica nel campo biblico
sia incoraggiata! E questo incoraggiamento è rivolto a tutti gli studiosi del
campo, in modo particolare agli esegeti. È la posizione espressa dalla Dei
Verbum:
È
compito degli esegeti contribuire secondo queste norme alla più profonda
intelligenza ed esposizione del senso della Sacra Scrittura, fornendo i dati
previi, dai quali si maturi il giudizio della Chiesa. Quanto, infatti, è stato qui
detto sul modo di interpretare la Scrittura, è sottoposto in ultima istanza al
giudizio della Chiesa, la quale adempie il divino mandato e mistero di
conservare e interpretare la parola di Dio (n.12).
Chiarita
l’importanza determinante degli studiosi anche per i successivi compiti del
Magistero, è doveroso passare, brevemente, alla esposizione delle tre grandi
parti della ermeneutica biblica, come ricordato dall’articolo precedente (qui):
la noematica (da νόημα = pensiero), ossia l’analisi dei vari
sensi della Scrittura; l’euristica (da εὑρίσκειν = trovare),
ossia l’insegnamento per trovare i sensi della Scrittura; la proforistica (da
προφέρειν = proferire, enunziare), ossia il modo di esporre il senso
così trovato e per l’uso della Chiesa. Il testo di riferimento sarà sempre L. Moraldi I.M.C. – S. Lyonnet S.J. (ed.), Introduzione
alla Bibbia. Corso sistematico di studi biblici, I. Introduzione
generale, Marietti, Torino 1960. In questa sede si prenderà in esame la noematica,
mentre l’euristica e la proforistica saranno trattate nel prossimo
articolo.
Per
quanto riguarda la noematica, e partendo dal senso letterale, è
possibile strutturare nel modo seguente.
Senso
letterale
a)
a seconda dei termini usati:
- proprio (l’utilizzo delle parole nel loro significato
originale);
- improprio (l’utilizzo delle parole in
maniera figurata, ma con una certa attinenza col significato della parola
originaria: «l’agnello di Dio», in riferimento a Cristo).
Il
senso letterale improprio presenta altre divisioni:
paragone: confronto di due termini mediante
qualche particella similitudinaria, i termini sono presi in senso proprio («come
un agnello davanti a chi lo tosa»);
metafora: confronto di due termini ma con
verbo «essere», non con particella similitudinaria, e i termini sono preso in
senso figurato
parabola: sviluppo del paragone, con
termini presi in senso proprio;
allegoria: sviluppo della metafora, con
termini presi in senso figurato o traslato.
Il
simbolo, che si riscontra nella Scrittura, a differenza del tipo (da
cui la lettura tipologica), svolge la funzione di significare qualcos’altro; il
tipo ha ragione di essere anche in se stesso e non esclusivamente in
altro.
b)
a seconda dell’intenzione dell’autore:
- esplicito: ciò che risulta
a prima vista dalle parole;
- implicito: ciò che risulta
nascosto nelle parole o nella totalità del testo;
- pieno: ciò che si
riferisce ordinariamente a Dio, senza sorpassare il senso letterale, ma comunque
al di sopra della portata dell’agiografo, ossia lo scrittore sacro (ad esempio,
il passo di Is 7,14 non parla di una «vergine», ma di una «giovane donna», e il
richiamo di tale passo in Mt 1,23 sostituisce la «giovane donna» con la «vergine»,
dando senso pieno a quel passo di Is 7,14);
- eminente: ciò che si dice
in modo eminente di uno della collettività, in maniera tale che quella eminenza
coinvolga la stessa collettività (ad esempio, la discendenza della donna o la
discendenza di Davide, ossia la parte buona degli uomini o della casa/dinastia
di Davide).
Per
quanto riguarda il senso spirituale, la Pontificia Commissione Biblica è
chiara:
come
regola generale, possiamo definire il senso spirituale, compreso secondo la
fede cristiana, il senso espresso dai testi biblici quando vengono letti sotto
l’influsso dello Spirito Santo nel contesto del mistero pasquale di Cristo e
della vita nuova che ne risulta. Questo contesto esiste effettivamente. Il Nuovo
Testamento riconosce in esso il compimento delle Scritture. È perciò normale
rileggere le Scritture alla luce di questo nuovo contesto, quello della vita
nello Spirito. […] Contrariamente a un’opinione corrente, non c’è necessaria
distinzione tra questi due sensi [letterale e spirituale]. […] Quando c’è una
distinzione, il senso spirituale non può mai essere privato dei rapporti con il
senso letterale che ne rimane la base indispensabile; diversamente, non si
potrebbe parlare di «compimento» della Scrittura. […] Il senso spirituale non è
da confondere con le interpretazioni soggettive dettate dall’immaginazione o
dalla speculazione intellettuale. Esso scaturisce dalla relazione del testo con
certi dati reali che non gli sono estranei, l’evento pasquale e la sua
inesauribile fecondità, che costituiscono il vertice dell’intervento divino
nella storia di Israele, a vantaggio di tutta l’umanità (L’interpretazione
della Bibbia nella Chiesa, pp. 74-75).
Il
senso spirituale, che in alcuni testi si trova come senso tipico, si divide in:
- allegorico (da non confondere con l’allegoria
del senso letterale improprio): ha per oggetto Cristo o la Chiesa;
- tropologico o morale: riguarda una
lezione concernente la morale;
- anagogico: ha per oggetto
le cose riguardanti la vita futura.
Quella
riportata è una breve esposizione di ciò che riguarda la noematica, dal
momento che vi sarebbero da fare altri approfondimenti, ma per questo si
rimanda ai testi specifici. Tuttavia, non è possibile impoverire il senso
letterale, come purtroppo avviene spesso, col risultato della mancata
comprensione del testo biblico. Quello letterale è il senso più articolato! Si consiglia
vivamente ciò che scrive san Tommaso d’Aquino in Summa Theologiae, I, q.
1 a. 10, in cui anche l’historia, l’aetiologia e l’analogia ad
unum litteralem sensum pertinet. Inoltre, per concludere, spesse volte si
accusa Origene († 254 d.C. ca.) di aver «spiritualizzato» troppo la Scrittura. In
realtà Origene, che è stato tra i massimi esegeti della storia della Chiesa –
basta leggere il suo commento al Padre Nostro –, distingueva tre tipi di
lettura in base alla concezione antropologica. Egli distingueva, antropologicamente,
tra somatici, psichici e pneumatici, per cui abbiamo:
somatico/letterale (proprio) – psichico/morale – pneumatico/allegorico (letterale
improprio e/o tipologico). Pare che egli intendesse dire che non tutti i passi
della Scrittura godano di senso letterale «proprio» (somatico o corporeo), e in
questo aveva perfettamente ragione (cfr. L.
Moraldi I.M.C. – S. Lyonnet
S.J. (ed.), Introduzione alla Bibbia. Corso sistematico di studi
biblici, I. Introduzione generale, Marietti, Torino 1960, p. 182). Pertanto,
Origene non è un Padre della Chiesa per precisi motivi, va bene, ma alcune posizioni
ostinatamente contro di lui dovrebbero essere riviste.
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