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giovedì 31 agosto 2023

RECENSIONE DEL LIBRO "L'ADESIONE DIABOLICA. UNA SFIDA ANTICA FRA DANNAZIONE E SALVEZZA" DEL PROF. ALBERTO CASTALDINI


 

Alberto Castaldini, L’adesione diabolica. Una sfida antica fra dannazione e salvezza, Sugarco Edizioni, Milano 2023

Recensione a cura di Gabriele Cianfrani

 

Il libro che ho il piacere di recensire, dedicato al grande esorcista e Servo di Dio P. Candido Amantini (1914-1992), è “L’adesione diabolica. Una sfida antica fra dannazione e salvezza” del Prof. Alberto Castaldini[1], che conosco personalmente e al quale va la mia stima e la mia gratitudine per un lavoro come questo. Sì, perché il Prof. Castaldini pone in luce alcuni aspetti antropologici – e non solo – di grande importanza, chiamati in causa a fronteggiare quell’azione diabolica nei confronti della quale, purtroppo ma molto spesso, si finisce per assecondarla, o meglio, per «aderirvi». Questo aspetto risulta centrale e lo si capisce già dal primo capitolo: La libertà spezzata. È proprio dalla libertà, che viene talmente piegata da «spezzarsi», che tutto ha inizio.

È importante, soprattutto per lo smarrimento odierno su temi come quello trattato dal Prof. Castaldini, dato che quando si parla del Maligno il riferimento non è ad una realtà impersonale, ma certamente personale, dal momento che il Maligno è un angelo caduto e come tutti gli angeli (buoni e cattivi) è una «persona»: omne subsistens in natura rationali vel intellectuali est persona (Tommaso d’Aquino, Summa contra Gentiles, IV, c. 35). Ciò emerge chiaramente sia dalla prefazione di don Silvio Zonin (esorcista della diocesi di Verona) sia dall’introduzione dell’Autore.

Ora, la libertà dell’uomo, che come facoltà spirituale rientra nella sua costituzione ontologica, conobbe il primo ostacolo con i progenitori Adamo ed Eva. Senza svolgere particolari approfondimenti, è possibile notare che alla domanda del serpente (cfr. Gen 3,1) la donna risponde inserendo il «non toccare» (cfr. Gen 3,3), ossia inserisce del suo al divieto divino, acconsentendo al serpente, per poi ritrovarsi con la libertà piegata, o meglio, spezzata. Tale stato poteva essere sanato soltanto dal rinnovamento della creazione in Cristo, come risulta dall’epilogo del libro (Per una creazione rinnovata in Cristo), che concede la partecipazione alla natura divina (cfr. 2Pt 1,4) per mezzo della gratia gratum faciens conferita sacramentalmente, a partire dal sacramento del Battesimo (cfr. Gal 3,27).

Passando in rassegna alcuni punti, il Prof. Castaldini pone in evidenza il fatto che l’«adesione» diabolica, per essere tale, non può non coinvolgere l’intelletto e la volontà. Infatti, nel primo capitolo egli scrive: «[…] in cui la tentazione viene perfezionata dalla volontà umana in iniziative che penetrano e si radicano nel vissuto concreto, quotidiano, abituale, proprio e altrui» (p. 36). In questo passo emerge un aspetto molto importante, ossia che la tentazione del Maligno non si pone in maniera totalmente estranea all’essere umano, altrimenti non vi sarebbe adesione alcuna, ma si radica nel vissuto, e se si radica nel vissuto vuol dire che si radica in ciò che la volontà umana cerca per sua natura: il bene. Infatti, se l’oggetto della volontà è il bene conosciuto, ossia il bene presentato come tale dall’intelletto, la volontà è disposta naturalmente ad aderirvi. Ma se questo bene venisse falsamente presentato come tale, ossia un male sotto le sembianze di bene, allora occorrerebbe una seria valutazione che chiami in causa l’agire morale, incluso il dinamismo delle virtù, che implica sia la potenza dell’intelletto sia quella della volontà. Ciò permette che un bene sia conosciuto e riconosciuto come tale. Tuttavia, come ben scrive l’Autore, spesse volte nel cooperatore di iniquità si confonde ogni criterio di discernimento. Ed ecco che dal punto di vista psichico e morale, la fragilità umana – spesse volte evocata come una vera e propria scusa… – non esonera l’uomo dal suo agire morale. Se è vero, come è vero, che agere sequitur esse, all’«adesione» diabolica segue un vero e proprio «assoggettamento», dal momento che viene coartato il vero agire libero dell’uomo, per cedere il passo alla negazione della libertà umana, ergo alla negazione dell’essere: «[…] poiché il diavolo, ribellandosi, negò l’essere, e con esso sconvolse l’armonia della creazione oltre a negare Dio, se stesso e gli uomini» (p. 40). Ora, tra i vari aspetti che il Prof. Castaldini evidenzia, ve ne sono alcuni e tutti di estrema importanza: la deformazione della intelligenza dei demòni, pur conservando quella volontà che continuamente aderisce al male (cfr. pp. 41-42); la falsa mistica come ricerca irrequieta che vuole trasformare l’uomo, cercando di elevarlo in modo illusorio decretando la sua rovina, facendo a meno di Dio (cfr. p. 49); l’adesione alle tenebre che giunge al cuore della questione antropologica situandosi nel nucleo ontologico dell’uomo (cfr. p.52); l’immaginazione creatrice che si riscontra nel mondo dell’occulto e che tende ad una vera e propria autodivinizzazione, subordinando a ciò anche la Rivelazione divina (cfr. 60-61) ed altri. Tra i vari aspetti ritengo particolarmente importante soffermare l’attenzione su quello relativo alla «soggezione/assoggettamento» conseguente alla «adesione». Lungi dal voler presentare il male come una sorta di algoritmo senza volto, come tante volte capita di constatare nell’epoca odierna, che ha quasi perso il concetto del volto (cfr. p. 121) e di conseguenza dell’identità, ergo della personalità, non vi sarebbe adesione diabolica se mancassero gli atteggiamenti attivo e cooperante, ossia volontario (cfr. p. 82). Cosa comporterebbe l’adesione alla proposta del Maligno? Non solo ciò che si definisce «peccato», ma un progressivo deterioramento ontologico. Certamente, non si mette in discussione l’immortalità dell’anima intellettiva, ossia l’anima umana – ovvio! –, ma certamente l’uomo, considerato nella sua totalità di anima e corpo, nonostante sia chiamato da Dio alla perfezione eterna, può incorrere nella più grande imperfezione, ossia la dannazione eterna. Se Dio è l’Essere per sé sussistente che partecipa l’essere alle creature, e l’essere come atto è la perfezione di tutte le perfezioni, l’incontro eterno con Dio comporta il compimento della perfezione umana, e sul piano soprannaturale comporta la piena partecipazione alla Bontà divina – già la grazia santificante agisce soprannaturalmente sul piano ontologico. Non solo, ma sia l’intelletto umano sia la volontà umana troveranno in Dio il pieno appagamento, Colui che solo può appagare in pienezza l’essere umano, essendo Egli somma Verità e somma Bontà. Tutto ciò corrisponde ad una vera e propria perfezione ontologica della creatura umana.

Al contrario, l’adesione diabolica, che non può non includere il moto della volontà verso l’oggetto diabolicamente presentato, mira a condurre ad una vera e propria dipendenza morale dal demonio, tale da provare una sorta di gusto del peccato (cfr. p. 80). Ciò si riscontra nell’opposizione tra «virtù» e «vizi». Ed ecco che l’agire morale, in quanto tale, non può prescindere né dall’intelletto né dalla volontà, infatti, l’Apostolo dice: […] lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto (Rm 12,2). Si noti l’ordine adoperato dall’Apostolo: pensiero – volontà. Il discernimento avviene sul piano intellettivo e successivamente subentra quello volitivo. Ma come l’intelletto presenta alla volontà il suo oggetto, così la stessa volontà muove l’intelletto e le due facoltà s’incontrano sul campo della libertà. Come riporta il Catechismo della Chiesa Cattolica: la libertà è il potere, radicato nella ragione e nella volontà, di agire o di non agire, di fare questo o quello, di porre così da se stessi azioni deliberate. Grazie al libero arbitrio ciascuno dispone di sé. La libertà è nell’uomo una forza di crescita e di maturazione nella verità e nella bontà. La libertà raggiunge la sua perfezione quando è ordinata a Dio, nostra beatitudine (n. 1731).

Nell’«adesione» diabolica è proprio la libertà ad essere coartata, impedendo alla creatura umana di raggiungere la sua perfezione in Dio, sfociando in quell’assoggettamento che non è altro che il risultato di un’adesione continua, scegliendo di partecipare al mysterium iniquitatis, e ciò volontariamente, fino a subire una certa conformazione a quest’ultimo.

Quale sarebbe il punto di partenza? Il Prof. Castaldini parla di stupidità metafisica (p. 65) nel rifiuto della propria creaturalità e di conseguenza nel rifiuto del progetto divino. È tutto concatenato, dacché Dio ha creato l’uomo per un progetto soprannaturale e l’uomo «aderisce» a tale progetto accettando, anzitutto, la propria creaturalità.

Oggi più che mai è necessario il ritorno ad una sana metafisica, anzitutto di stampo tomista, anziché chiudersi in quell’antropocentrismo falsamente presentato come bene per l’uomo, ma che in realtà continua imperterrito nell’estromissione di Dio dalla storia dell’uomo.

Ora, il rifiuto di Dio comporta il rifiuto della somma Bontà conseguente al rifiuto della propria creaturalità, nella convinzione di poter fare a meno, ontologicamente, di Colui che è (Es 3,14). Un rifiuto del genere implica la tendenza al non essere, nella negazione dell’essere, e non a caso il Maligno è colui che nega soprattutto ciò che il Creatore ha elargito sin dal principio: l’essere. La negazione dell’essere equivale alla negazione non solo di se stessi ma anche di Dio, con la differenza che Dio non può essere negato e non corre il rischio della dannazione, l’uomo sì, dacché con l’«adesione» diabolica si assoggetta a colui che è irreversibilmente dannato e che tende a negare anche se stesso pur di negare Dio Creatore. E in tal caso la conformazione al mysterium iniquitatis diventa così grande da propendere, addirittura, per la contraddizione, estranea persino a Dio. Ma il Verbo incarnato ha mostrato anche questo, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori (Lc 2,35). Ancora una volta la Beata Vergine, inseparabile dal Figlio eterno del Padre e sempre piena dello Spirito Santo, è il modello perfetto della perfezione umana corrisposta al progetto di Dio.

Un ringraziamento al Prof. Castaldini per aver messo in luce, nel suo libro, quello che a questo punto sembra essere l’aspetto più importante: la dipendenza ontologica e antropologica dell’uomo da Colui che è l’Essere per sé sussistente e sommamente Persona, offuscate dall’azione del Maligno, ma che dal riconoscimento di tale dipendenza creaturale dipende la salvezza o la dannazione.



[1] Laureato in Giurisprudenza e dottore di ricerca in Filosofia, è docente universitario, membro associato della Facoltà di Teologia Greco-Cattolica dell’Università Babeş-Bolyai di Cluj, in Transilvania, dove insegna filosofia e teologia della storia. Dal 2006 al 2010 ha diretto l’Istituto Italiano di Cultura di Bucarest e ha ricoperto l’incarico di addetto culturale dell’Ambasciata d’Italia in Romania. Collabora come esperto con l’Associazione Internazionale Esorcisti (AIE).


mercoledì 30 agosto 2023

CENNI DI ERMENEUTICA BIBLICA (parte 2)

 


Nel precedente articolo (clicca qui) è stato riportato che l’interpretazione autentica, sulla base della Dei Verbum n. 10, è quell’ufficio riservato al solo Magistero della Chiesa. Tuttavia, potrebbe sorgere una domanda: se tale ufficio è riservato al Magistero, quale sarebbe il compito degli studiosi?

Una domanda del tutto legittima, infatti, gli studiosi sono molto importanti in quanto preparano ciò su cui il Magistero si esprimerà, qualora lo ritenesse opportuno. È possibile notare tanti lavori di eminenti studiosi del campo biblico, con approfondimenti e commenti, e questi studi sono fondamentali non solo per la ricerca biblica, ma perché offrono il materiale per eventuali interventi magisteriali – da non dimenticare che il contenuto del Magistero è la fede e la morale (fides et mores). Seguendo il Discorso di San Giovanni Paolo II del 23 aprile 1993 riportato dalla Pontificia Commissione Biblica (L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa):

 

«Desidero oggi mettere in risalto alcuni aspetti dell’insegnamento di queste due Encicliche [Providentissimus Deus di Leone XIII e Divino afflante Spiritu di Pio XII] e la validità permanente del loro orientamento attraverso circostanze mutevoli al fine di poter meglio beneficiare del loro contributo. In primo luogo, si nota fra questi due documenti un’importante differenza. Si tratta della parte polemica – o, più precisamente, apologetica – delle due Encicliche. Infatti, l’una e l’altra manifestano la preoccupazione di rispondere agli attacchi contro l’interpretazione cattolica della Bibbia ma questi attacchi non andavano nella stessa direzione. La Providentissimus Deus, da una parte, vuole soprattutto proteggere l’interpretazione cattolica della Bibbia dagli attacchi della scienza razionalista; dall’altra, la Divino afflante Spiritu si preoccupa piuttosto di difendere l’interpretazione cattolica dagli attacchi che si oppongono all’utilizzazione della scienza da parte degli esegeti e che vogliono imporre un’interpretazione non scientifica, cosiddetta «spirituale», delle Sacre Scritture. Questo cambiamento radicale della prospettiva era dovuto, evidentemente, alle circostanze. La Providentissimus Deus fu pubblicata in un’epoca segnata da forti polemiche contro la fede della Chiesa. L’esegesi liberale forniva a queste polemiche un sostegno importante, poiché essa utilizzava tutte le risorse delle scienze, dalla critica testuale alla geologia, passando per la filologia, la critica letteraria, la storia delle religioni, l’archeologia e altre discipline ancora. Al contrario, la Divino afflante Spiritu venne pubblicata poco tempo dopo una polemica del tutto differente, condotta, soprattutto in Italia, contro lo studio scientifico della Bibbia. Nell’uno e nell’altro caso, la reazione del Magistero fu significativa, poiché, invece di attenersi a una riposta puramente difensiva, esso andava a fondo del problema e manifestava così – notiamolo subito – la fede della Chiesa nel mistero dell’Incarnazione. […] Costatiamo così che, nonostante la grande diversità delle difficoltà da affrontare, le due Encicliche si riuniscono perfettamente a livello più profondo. Esse rifiutano, sia l’una che l’altra, la rottura tra l’umano e il divino, tra la ricerca scientifica e lo sguardo della fede, fra il senso letterale e il senso spirituale. Esse si mostrano su quel punto pienamente in armonia con il mistero dell’Incarnazione».

 

Dalle parole di San Giovanni Paolo II si capisce quanto la ricerca scientifica nel campo biblico sia incoraggiata! E questo incoraggiamento è rivolto a tutti gli studiosi del campo, in modo particolare agli esegeti. È la posizione espressa dalla Dei Verbum:

 

È compito degli esegeti contribuire secondo queste norme alla più profonda intelligenza ed esposizione del senso della Sacra Scrittura, fornendo i dati previi, dai quali si maturi il giudizio della Chiesa. Quanto, infatti, è stato qui detto sul modo di interpretare la Scrittura, è sottoposto in ultima istanza al giudizio della Chiesa, la quale adempie il divino mandato e mistero di conservare e interpretare la parola di Dio (n.12).

 

Chiarita l’importanza determinante degli studiosi anche per i successivi compiti del Magistero, è doveroso passare, brevemente, alla esposizione delle tre grandi parti della ermeneutica biblica, come ricordato dall’articolo precedente (qui): la noematica (da νόημα = pensiero), ossia l’analisi dei vari sensi della Scrittura; l’euristica (da εὑρίσκειν = trovare), ossia l’insegnamento per trovare i sensi della Scrittura; la proforistica (da προφέρειν = proferire, enunziare), ossia il modo di esporre il senso così trovato e per l’uso della Chiesa. Il testo di riferimento sarà sempre L. Moraldi I.M.C. – S. Lyonnet S.J. (ed.), Introduzione alla Bibbia. Corso sistematico di studi biblici, I. Introduzione generale, Marietti, Torino 1960. In questa sede si prenderà in esame la noematica, mentre l’euristica e la proforistica saranno trattate nel prossimo articolo.

Per quanto riguarda la noematica, e partendo dal senso letterale, è possibile strutturare nel modo seguente.

 

Senso letterale

a) a seconda dei termini usati:         

- proprio (l’utilizzo delle parole nel loro significato originale);

- improprio (l’utilizzo delle parole in maniera figurata, ma con una certa attinenza col significato della parola originaria: «l’agnello di Dio», in riferimento a Cristo).

Il senso letterale improprio presenta altre divisioni:

paragone: confronto di due termini mediante qualche particella similitudinaria, i termini sono presi in senso proprio («come un agnello davanti a chi lo tosa»);

metafora: confronto di due termini ma con verbo «essere», non con particella similitudinaria, e i termini sono preso in senso figurato («[Cristo è] l’agnello di Dio»);

parabola: sviluppo del paragone, con termini presi in senso proprio;

allegoria: sviluppo della metafora, con termini presi in senso figurato o traslato.

Il simbolo, che si riscontra nella Scrittura, a differenza del tipo (da cui la lettura tipologica), svolge la funzione di significare qualcos’altro; il tipo ha ragione di essere anche in se stesso e non esclusivamente in altro.

 

b) a seconda dell’intenzione dell’autore:       

- esplicito: ciò che risulta a prima vista dalle parole;

- implicito: ciò che risulta nascosto nelle parole o nella totalità del testo;

- pieno: ciò che si riferisce ordinariamente a Dio, senza sorpassare il senso letterale, ma comunque al di sopra della portata dell’agiografo, ossia lo scrittore sacro (ad esempio, il passo di Is 7,14 non parla di una «vergine», ma di una «giovane donna», e il richiamo di tale passo in Mt 1,23 sostituisce la «giovane donna» con la «vergine», dando senso pieno a quel passo di Is 7,14);

- eminente: ciò che si dice in modo eminente di uno della collettività, in maniera tale che quella eminenza coinvolga la stessa collettività (ad esempio, la discendenza della donna o la discendenza di Davide, ossia la parte buona degli uomini o della casa/dinastia di Davide).

 

Per quanto riguarda il senso spirituale, la Pontificia Commissione Biblica è chiara:

 

come regola generale, possiamo definire il senso spirituale, compreso secondo la fede cristiana, il senso espresso dai testi biblici quando vengono letti sotto l’influsso dello Spirito Santo nel contesto del mistero pasquale di Cristo e della vita nuova che ne risulta. Questo contesto esiste effettivamente. Il Nuovo Testamento riconosce in esso il compimento delle Scritture. È perciò normale rileggere le Scritture alla luce di questo nuovo contesto, quello della vita nello Spirito. […] Contrariamente a un’opinione corrente, non c’è necessaria distinzione tra questi due sensi [letterale e spirituale]. […] Quando c’è una distinzione, il senso spirituale non può mai essere privato dei rapporti con il senso letterale che ne rimane la base indispensabile; diversamente, non si potrebbe parlare di «compimento» della Scrittura. […] Il senso spirituale non è da confondere con le interpretazioni soggettive dettate dall’immaginazione o dalla speculazione intellettuale. Esso scaturisce dalla relazione del testo con certi dati reali che non gli sono estranei, l’evento pasquale e la sua inesauribile fecondità, che costituiscono il vertice dell’intervento divino nella storia di Israele, a vantaggio di tutta l’umanità (L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa, pp. 74-75).

 

Il senso spirituale, che in alcuni testi si trova come senso tipico, si divide in:

- allegorico (da non confondere con l’allegoria del senso letterale improprio): ha per oggetto Cristo o la Chiesa;

- tropologico o morale: riguarda una lezione concernente la morale;

- anagogico: ha per oggetto le cose riguardanti la vita futura.

 

Quella riportata è una breve esposizione di ciò che riguarda la noematica, dal momento che vi sarebbero da fare altri approfondimenti, ma per questo si rimanda ai testi specifici. Tuttavia, non è possibile impoverire il senso letterale, come purtroppo avviene spesso, col risultato della mancata comprensione del testo biblico. Quello letterale è il senso più articolato! Si consiglia vivamente ciò che scrive san Tommaso d’Aquino in Summa Theologiae, I, q. 1 a. 10, in cui anche l’historia, l’aetiologia e l’analogia ad unum litteralem sensum pertinet. Inoltre, per concludere, spesse volte si accusa Origene († 254 d.C. ca.) di aver «spiritualizzato» troppo la Scrittura. In realtà Origene, che è stato tra i massimi esegeti della storia della Chiesa – basta leggere il suo commento al Padre Nostro –, distingueva tre tipi di lettura in base alla concezione antropologica. Egli distingueva, antropologicamente, tra somatici, psichici e pneumatici, per cui abbiamo: somatico/letterale (proprio) – psichico/morale – pneumatico/allegorico (letterale improprio e/o tipologico). Pare che egli intendesse dire che non tutti i passi della Scrittura godano di senso letterale «proprio» (somatico o corporeo), e in questo aveva perfettamente ragione (cfr. L. Moraldi I.M.C. – S. Lyonnet S.J. (ed.), Introduzione alla Bibbia. Corso sistematico di studi biblici, I. Introduzione generale, Marietti, Torino 1960, p. 182). Pertanto, Origene non è un Padre della Chiesa per precisi motivi, va bene, ma alcune posizioni ostinatamente contro di lui dovrebbero essere riviste.

 

 

Gabriele Cianfrani


martedì 29 agosto 2023

CENNI DI ERMENEUTICA BIBLICA (parte 1)


 

In questi ultimi tempi fanno ritorno alcune questioni alle quali la Chiesa ha già dato risposte, in modo particolare le seguenti: come bisogna interpretare alcuni passi della Bibbia; cosa occorre per capire il senso di un preciso passo biblico; l’attendibilità del simbolismo biblico; difficoltà di alcuni passi che risulterebbero contraddittori e così via – in quest’ultimo caso occorrerebbe richiamare il tema della «ispirazione» dei testi sacri, con le dovute precisazioni anche per quel che riguarda l’essere Parola di Dio estrinsecamente (formalmente intesa) e l’essere Parola di Dio intrinsecamente (materialmente intesa). Non è un caso che quello dell’ispirazione sia uno dei temi meno compresi, quasi da risultare poco credibile, ma per il semplice motivo che non è chiaro in cosa consista l’ispirazione biblica. Ciò sarà trattato in altra sede.

Le questioni riportate sono più che legittime, e il più delle volte sono questioni che, nonostante siano già state trattate, al giorno d’oggi pare che restino ancora aperte, o meglio, che si vogliano riaprire. Inutile precisare che occorrerebbe svolgere un percorso biblico per trattare le questioni sopra riportate ed altre, ma per il momento è possibile riportare solo alcuni cenni di ermeneutica biblica. Per far ciò si prenderà come testo di riferimento il seguente: L. Moraldi I.M.C. – S. Lyonnet S.J. (ed.), Introduzione alla Bibbia. Corso sistematico di studi biblici, I. Introduzione generale, Marietti, Torino 1960. Perciò il numero di pagine che si riscontreranno si riferiranno a questo testo. Inoltre, si rimanda anche a un altro testo: Pontificia Commissione Biblica, L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, 2014.

Anzitutto la parola «ermeneutica» (dal greco ἑρμενευτική) riguarda quella interpretazione, quella arte interpretativa che non riguarda solo il testo biblico, ma ogni altro testo, soprattutto un testo antico. San Girolamo scriveva che «dovere del commentatore è di esporre non il pensiero proprio, ma quello di colui che egli spiega» (Ep. 48 ad Pamm., 17). Ed è proprio ciò che s’intende conseguire con l’interpretazione, che non è libera e svicolata da tutto, come una sorta di voler far dire al testo ciò che si vuole – non pochi, oggi, credono questo in merito alla Bibbia, ma non è la posizione cattolica e non è neanche corretta ermeneutica –, ma deve attenersi a criteri ben precisi:

 

l’ermeneutica in genere è quella disciplina che insegna le regole per interpretare un libro e il modo di ben applicarle, allo scopo di intenderne il vero senso, che è quello inteso dall’autore. Nell’ermeneutica biblica questo libro è la Bibbia. […] Giova avvertire subito che, siccome la S. Scrittura non è un libro come tutti gli altri, ma un libro divino-umano, vi si troveranno sensi (e quindi regole d’interpretazione) strettamente suoi particolari, oltre a quelli comuni agli altri libri (p. 177).

 

Non solo, ma bisogna tener conto sia del senso (quel determinato concetto che l’autore intende esprimere con le sue parole) sia il significato (il concetto inerente alle singole parole oggettivamente, indipendentemente dall’intenzione soggettiva dell’autore) di ciò che si vuole sottoporre alla interpretazione (cfr. p. 177). Questo è molto importante, dal momento che la Bibbia, in quanto Parola di Dio, è rivolta all’uomo ed esige di essere interpretata, spiegata – ossia togliere le pieghe facendo emergere ciò che si nasconde sotto, ma senza rimuovere i segni delle pieghe.

Precisazione doverosa: per «Parola di Dio» non bisogna intendere solo la Bibbia, ma anche la Tradizione divino apostolica – quest’ultima godrebbe di precedenza, considerata non dal punto di vista consecutivo ma dal punto di vista costitutivo –, poiché sia l’una che l’altra costituiscono le due fonti della Rivelazione divina, come riporta la Costituzione dogmatica su «La divina rivelazione» (Dei Verbum):

 

La Sacra Tradizione dunque e la Sacra Scrittura sono strettamente tra loro congiunte e comunicanti. Poiché ambedue scaturiscono dalla stessa divina sorgente, esse formano in certo qual modo una cosa sola e tendono allo stesso fine. Infatti la Sacra Scrittura è parola di Dio in quanto scritta per ispirazione dello Spirito di Dio; la Sacra Tradizione poi trasmette integralmente la parola di Dio, affidata da Cristo Signore e dallo Spirito Santo agli Apostoli, ai loro successori [i vescovi], affinché, illuminati dallo Spirito di verità, con la loro predicazione fedelmente la conservino, la espongano e la diffondano; accade così che la Chiesa attinge la certezza su tutte le cose rivelate non dalla sola Scrittura. Perciò l’una e l’altra devono essere accettate con pari sentimento di pietà e rispetto (n. 9).

 

Questo numero della Dei Verbum è molto importante e non è possibile dimenticarlo. Tuttavia, per non appesantire quella che vuole essere una breve esposizione di ciò che riguarda l’ermeneutica biblica, si rimanda a tre encicliche fondamentali per lo studio biblico: Spiritus Paraclitus di Benedetto XV (1920); Providentissimus Deus di Leone XIII (1893); Divino afflante Spiritu di Pio XII (1943), oltre che alla Dei Verbum del Concilio Vaticano II.

 

In questa sede è necessario chiarire due punti:

1) a chi spetta ufficialmente il compito d’interpretare la Scrittura;

2) come si divide il trattato sull’ermeneutica biblica.

 

Per quanto riguarda il primo punto, ci viene in soccorso la Dei Verbum:

 

l’ufficio poi d’interpretare autenticamente la parola di Dio scritta o trasmessa è affidato al solo Magistero vivo della Chiesa, la cui autorità è esercitata nel nome di Gesù Cristo. Il quale Magistero però non è superiore alla parola di Dio ma ad essa serve, insegnando soltanto ciò che è stato trasmesso, in quanto, per divino mandato e con l’assistenza dello Spirito Santo, piamente ascolta, santamente custodisce e fedelmente espone quella parola, e da questo unico deposito della fede attinge tutto ciò che propone da credere come rivelato da Dio. È chiaro dunque che la Sacra Tradizione, la Sacra Scrittura e il Magistero della Chiesa, per sapientissima disposizione di Dio, sono tra loro talmente connessi e congiunti da non potere indipendentemente sussistere, e tutti insieme, secondo il proprio modo, sotto l’azione di un solo Spirito Santo, contribuiscono efficacemente alla salvezza delle anime (n. 10).

 

A questo punto sorge una domanda: cosa sarebbe il Magistero della Chiesa?

Nulla di cui preoccuparsi, men che mai accingersi alla ‘interpretazione personale o privata’ della Bibbia, poiché il Magistero è quell’ufficio esercitato dai Vescovi in comunione con il Romano Pontefice (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 85), dal momento che godono della pienezza del sacramento dell’Ordine e di conseguenza della pienezza del munus docendi («Chi ascolta voi ascolta me», come si legge in Lc 10,16). Il Magistero, ossia questo particolare ufficio dei successori degli Apostoli (i vescovi) in comunione con il Successore di Pietro (il Romano Pontefice), si esprime su ciò che riguarda la fede e la morale (fides et mores) e viene solitamente distinto in due forme di esercizio: ordinario e straordinario o solenne, ma che può essere anche non solenne, e allora si chiamerà Magistero ordinario universale.

Con la forma ordinaria, s’intende il modo normale di esercitare il munus docendi della Chiesa, dei successori degli Apostoli e di Pietro – dev’essere chiaro, poiché una battuta o una risata non può essere considerata Magistero… –, alla quale forma è richiesto l’ossequio da parte del fedele.

Con la forma straordinaria, s’intende sia quell’intervento o pronunciamento magisteriale da parte del Romano Pontefice, quando emana una definizione dogmatica ex cathedra, sia la definizione di un dogma da parte di un Concilio Ecumenico. Tale è il Magistero in forma straordinaria e solenne. Nel caso non fosse solenne, si avrebbe il Magistero ordinario universale, che non è altro un modo di esercizio del Magistero straordinario. Ciò che cambia è che in tal modo si indica la continuità ininterrotta nel proporre un dato insegnamento, per cui i vescovi in comunione col Papa, nonostante dispersi per il mondo, convergono sua una particolare dottrina da proporre al popolo di Dio. Alla forma straordinaria è richiesto l’assenso di fede.

Pertanto, l’interpretazione della Scrittura spetta al Magistero della Chiesa e non è affare privato (cfr. 2Pt 1,20).

Per quanto riguarda il secondo punto, bisogna considerare che l’ermeneutica biblica si divide in tre grandi parti, ognuna delle quali si divide in altre parti: la noematica (da νόημα = pensiero), ossia l’analisi dei vari sensi della Scrittura; l’euristica (da εὑρίσκειν = trovare), ossia l’insegnamento per trovare i sensi della Scrittura; la proforistica (da προφέρειν = proferire, enunziare), ossia il modo di esporre il senso così trovato e per l’uso della Chiesa (cfr. p. 177).

È il caso di rimandare l’esposizione sulla noematica al prossimo articolo, anche perché occorrerà trattare anche del senso letterale, così tanto poco considerato e/o compreso, mentre si tratta del senso più articolato, sia per quanto riguarda i termini utilizzati sia per l’intenzione dell’autore.

 

 

Gabriele Cianfrani


giovedì 20 luglio 2023

IL DOCTOR ANGELICUS A 700 ANNI DALLA CANONIZZAZIONE

 


Proprio due giorni fa, il 18 luglio 2023, è stato il 700° anniversario della canonizzazione di san Tommaso d’Aquino (122-7 marzo 1274), con la bolla Redemptionem misit di papa Giovanni XXII risalente, appunto, al 18 luglio 1323.

Inutile riportare la grandezza della dottrina del Doctor Angelicus – vi sono altri titoli, come Doctor Ecclesiae, Doctor Communis, Doctor Humanitatis –, tanto che persino nel decreto sulla formazione sacerdotale Optatam totius del Concilio Vaticano II, al numero 16, sono riportate le seguenti parole:

 

Nell’insegnamento della teologia dogmatica, prima vengano proposti gli stessi temi biblici; si illustri poi agli alunni il contributo dei Padri della Chiesa Orientale ed Occidentale nella fedele trasmissione ed enucleazione delle singole verità rivelate, nonché l’ulteriore storia del dogma, considerando anche i rapporti di questa con la storia generale della Chiesa. Inoltre, per illustrare quanto più possibile i misteri della salvezza, gli alunni imparino ad approfondirli e a vederne il nesso per mezzo della speculazione, avendo S. Tommaso per maestro […].

 

Semmai si leggessero, o meglio, si studiassero i testi dell’Aquinate, non ci si meraviglierebbe di queste parole. Inoltre, in quel periodo del Medioevo che va sotto il nome di «Scolastica», il nostro Dottore visse proprio nel secolo XIII, riconosciuto in modo unanime come il «secolo d’oro» della Scolastica, l’apogeo di tale periodo. Un secolo durante il quale la cultura fece un balzo in avanti non di poco conto, e l’importanza che ebbero la teologia e la filosofia è fuori discussione.

Inoltre, per non evadere dal rendere onore alla verità, nel complesso il Medioevo è stato un periodo di grande originalità e di notevoli innovazioni, oltre che di scoperte. È davvero frustrante quando si sente parlare del Medioevo avendo in mente solo pochi argomenti e del tutto distorti: inquisizione, crociate, oscurantismo ecc. Come prima cosa occorrerebbe capire cosa sia l’inquisizione e cosa sia la crociata – non bisogna considerarle al plurale, ma al singolare, dacché ognuna ha le sue caratteristiche –, senza considerare che anche l’inquisizione non fu unica, ma vi sono precise divisioni tra gli storici. Se si esaminassero già solo questi due argomenti, con i dovuti strumenti, si inizierebbe a provare una certa meraviglia (non buona) quando se ne sente parlare senza cognizioni. Non solo, ma che il Medioevo sia stato un periodo oscurantista è una vera e propria caricatura nei confronti di un periodo che risulta imprescindibile. Ogni epoca conosce luci e ombre, ma se proprio vogliamo essere sinceri, le ombre che sono presenti in quella attuale, sono ben più numerose rispetto a quelle del passato.

Un piccolo esempio: la forza di attrazione gravitazionale esercitata dalla luna sul nostro pianeta – e non solo questo – in riferimento alle maree era ben nota già nel secolo XIII, o meglio, prima ancora dello stesso Medioevo. Infatti, nel Compendium theologiae, san Tommaso tratta dei miracoli in senso stretto e conclude che questi sono riservati solo a Dio. Cosa avrebbe a che vedere con le maree? Nulla di miracoloso, ma solo una precisazione sulla distinzione tra ciò che può essere considerato miracolo e ciò che non è miracolo. Per non mancare in alcun modo, riporto l’intero capitolo 136:

 

Siccome tutto l’ordine delle cause seconde e la loro potenza viene da Dio, e come si è visto [capitolo 96], Dio non produce i suoi effetti per necessità di natura, ma per libera volontà, è chiaro che Dio può agire all’infuori dell’ordine delle cause seconde, come quando risana quelli che secondo l’agire della natura non possono essere risanati, oppure quando fa qualcosa che non è secondo l’ordine delle cause naturali. Tuttavia questi interventi sono secondo l’ordine della provvidenza divina, perché il fatto stesso che Dio faccia qualcosa al di fuori delle cause naturali è disposto da Dio per un certo fine. Ora, quando fatti del genere avvengono per opera di Dio al di fuori delle cause seconde, sono detti miracoli, perché è cosa mirabile vedere un effetto senza conoscerne la causa. Ora essendo Dio una causa a noi simpliciter [assolutamente] nascosta, quando qualcosa viene fatto da Dio al di fuori dell’ordine delle cause seconde che sono a noi note, si parla in modo assoluto di “miracolo”. Se invece una cosa viene fatta da una causa nascosta a questo o a quello, non si ha un miracolo in senso assoluto, ma solo rispetto a chi non conosce quella causa. Per questo motivo può accadere che una cosa appaia mirabile a uno e non a un altro, che invece conosce la causa.

Operare dunque in questo modo al di fuori delle cause seconde è solo di Dio, che è il creatore di questo ordine e non è obbligato a questo ordine, mentre invece tutti gli altri enti vi sono sottoposti. Per questa ragione fare dei miracoli è solo di Dio, secondo il detto del Salmista: «Egli solo compie prodigi» [Sal 72,18]. Perciò quando si vedono fare da qualche creatura dei miracoli, o non sono veri miracoli, dato che avvengono per qualche potenza naturale benché a noi nascosta, come quei prodigi che vengono compiuti dai demoni e che avvengono con arti magiche, oppure, se sono veri miracoli, vengono chiesti da qualcuno a Dio, perché operi questi prodigi. Siccome dunque questi prodigi avvengono solo per intervento divino, molto opportunamente vengono presentati come argomento a favore della fede, che è radicata solo in Dio. Infatti quando un uomo proclama qualcosa in virtù dell’autorità divina, per manifestarlo non c’è niente di meglio che le opere che Dio solo può compiere.

Questi miracoli poi, benché avvengano al di fuori dell’ordine delle cause seconde, non devono essere considerati contro natura, perché lo stesso ordine della natura ha questo di proprio: che le realtà inferiori sono soggette alle azioni delle superiori. E per questa ragione ciò che nei corpi inferiori avviene per l’influsso dei corpi celesti non si dice che avviene in senso assoluto contro la natura, anche se alle volte è contro la natura di questa o di quella cosa, come avviene nel moto delle acque per il flusso e riflusso del mare causato dall’attrazione della luna. E così pure ciò che capita alle creature per mezzo dell’azione di Dio, benché possa sembrare contro l’ordine particolare delle cause seconde, è tuttavia secondo l’ordine universale della natura. I miracoli non sono dunque contro la natura (Tommaso d’Aquino, Compendium Theologiae, I, cap. 136).

 

Questo capitolo presenta una ricchezza notevole, oltre ad essere da guida per capire e valutare tante cose che si verificano anche oggi.

Ma ciò che risultò incisivo per la canonizzazione di san Tommaso fu l’Ystoria Sancti Thomae De Aquino di Guglielmo da Tocco, che presentò a papa Giovanni XXII nel 1318 e che conobbe personalmente san Tommaso.

Infatti, Guglielmo da Tocco è stato postulatore del processo di san Tommaso:

 

Quando nel 1317 iniziò il processo che condusse alla canonizzazione di Tommaso d’Aquino il 18 luglio 1323, la procedura di canonizzazione pontificia era già codificata. È noto che il papato accettasse di aprire un’indagine se la domanda fosse stata accompagnata da un numero sufficiente di richieste da parte di personalità influenti. I postulatori intanto avevano già effettuato un’indagine preliminare di cui fornivano i risultati su richiesta. L’indagine propriamente detta – processus o informatio in partibus – veniva affidata a tre commissari, di cui almeno uno era un vescovo, ai quali il papa inviava lettere remissorie. Alcuni notai venivano incaricati di redigere le disposizioni in forma publica. A partire dal secondo terzo del XIII secolo, veniva istituita la figura del postulatore, ruolo che Guglielmo da Tocco ha rivestito nel processo di san Tommaso. Il postulatore doveva occuparsi delle questioni preliminari all’apertura del processo e aveva anche il compito di reperire i testimoni. Oggetto dell’indagine erano la vita e i miracoli del candidato alla santità. Nel corso del XIII secolo è possibile osservare un crescente interesse sulla santità di vita a detrimento dei miracoli, benché l’indagine su questi diventi più rigorosa (Guglielmo da Tocco, Storia di san Tommaso d’Aquino, a cura di D. Riserbato, Jaca Book, Milano 2015, pp. 14-15).

 

Per quel che riguarda il precedente anniversario della canonizzazione di san Tommaso, ossia il VI centenario, si rimanda alla lettera enciclica di papa Pio XI Studiorum ducem (29-06-1923). Ma ora occorre riportare un brano alquanto famoso, il Bene scripsisti, che non necessita di commenti, ma solo di meditazione:

 

A un prodigio simile, ma più stupefacente, assistette nel convento di Napoli frate Domenico di Caserta, sacrestano, uomo di grande devozione, sollecito e di virtù provata, che ricevette a sua volta, da sveglio, altre mirabili visioni.

Costui si era accorto che frate Tommaso lasciava sempre la sua camera, suo luogo di studio, per scendere in chiesa prima del Mattutino e che, per non essere visto, si affrettava a farvi ritorno alla squilla del Mattutino. Un giorno, preso da curiosità, decise di osservarlo. Entrato da dietro nella cappella di san Nicola, dove il maestro si attardava rapito nella preghiera, lo vide sospeso in aria a circa due cubiti dal suolo. Preso da stupore, si era soffermato a lungo ad ammirarlo, quando all’improvviso dal punto verso cui il nostro dottore era rivolto a pregare tra le lacrime, udì una voce che sembrava provenire dal crocifisso e che diceva: «Tommaso, hai scritto bene sul mio conto! Che cosa vuoi ricevere da me come ricompensa per il tuo lavoro?». E il dottore rispose: «Nient’altro che te, Signore!».

Stava scrivendo allora le questioni della terza parte della Summa, dedicate alla passione e alla resurrezione di Cristo, dopo le quali non scrisse più nulla a causa dello splendore di quelle realtà che Dio gli aveva mirabilmente rivelato. Segno chiarissimo che dovesse appunto interrompere la sua attività di scrittura, era il fatto che il Signore gli avesse già chiesto quale ricompensa ritenesse congrua per il suo lavoro, perché potesse godere in patria di Colui che in via gli aveva procurato tanta dolcezza scrivere su di lui, e che alla sua morte meritò di vedere più chiaramente degli altri, lui che più di tutti aveva compreso durante la vita (Guglielmo da Tocco, Storia di san Tommaso d’Aquino, a cura di D. Riserbato, Jaca Book, Milano 2015, pp. 171-172).

 

Cosa scrivere su questo evento che Bartolomeo di Capua colloca in data 6 dicembre 1273? Nulla più di quanto sia stato già riportato, che è solo un primo passo per capire quanto la teologia sviluppata da san Tommaso d’Aquino sia importante per la Chiesa e non solo.


Gabriele Cianfrani 

sabato 6 maggio 2023

TUTTO E' STATO FATTO PER MEZZO DI LUI


 

Nelle librerie e su Internet è disponibile il mio libro pubblicato pochi giorni fa dalla Tau Editrice: 

Tutto è stato fatto per mezzo di Lui. Discorso sulla fede e sulla realtà (2023).

 

Dalla quarta di copertina:

Il lavoro si presenta come la riflessione dell’autore su alcuni temi riguardanti il percorso di vita cristiano. Il tutto prende spunto da due passi della Scrittura: «tutto è stato fatto per mezzo di lui» (Gv 1,3) e «[…] pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» (1Pt 3,15). Pertanto, lo scopo è quello della testimonianza riflessiva circa alcuni contenuti della fede cristiana (cattolica), in modo che vi siano confronti tematici, cercando di porre in evidenza la linea del Magistero della Chiesa ed esprimendo che il senso ultimo si trova nel Verbo di Dio.


Estratto dalla prefazione del Prof. Carmelo Pandolfi:

Di ou tà pánta egéneto – per quem omnia facta sunt canta il Simbolo ripetendo il Prologo di Giovanni. Gabriele Cianfrani – lo sappiamo – sente visceralmente la densità del Lógos, tanto che sta pensando ad uno studio sulla convergenza tra lógos ed esse (tomista). 

Ma qui il lavoro non scende a tali profondità e si mantiene al livello di quella che, una volta, si chiamava Apologetica.

Non c'è dubbio che una apologetica razionalistica, elencatica e difensiva abbia in certa misura fallito. È anche vero che la reazione – la mancanza di Apologetica – ha fallito anche essa, perché ha prodotto un banale «volemose bene», offensivo del Bene stesso.

La soluzione sta dentro il mistero stesso del Lógos che è Gesù Cristo, nel senso che la dogmatica stessa è apologetica. La bellezza del dogma si difende da se stessa e va solo mostrata, come numero primo inderivato e autoconvincente. Come l’originalità assoluta di quel brano, quello lì, di Mozart. Così ha insegnato, e praticato lungo tutta la sua «Gloria», la teologia più bella e insieme colta fra i Moderni: quella di Balthasar.


P.S. Chiederei, a chi decidesse di acquistarlo, di contattarmi - anche tramite l'indirizzo email che si trova a pagina 316 -, dal momento che è in corso l'elaborazione dell'Errata Corrige in riferimento alle pagine 66 e 67, in modo da poterla inviare tramite email.


domenica 16 aprile 2023

LA CANONIZZAZIONE E LE SUE IMPLICAZIONI

aprile 16, 2023 Posted by Gabriele Cianfrani , , , No comments


 

Ciò che sta emergendo sul caso legato alla scomparsa di Emanuela Orlandi, caso che sarebbe stato meglio risolvere in passato, non è una novità. È giusto ed è doveroso che il fratello, Pietro Orlandi, si batta per far chiarezza su quanto è accaduto alla sorella. Avrei fatto lo stesso se ne avessi avuta una: senza risparmiarmi. Tuttavia, una persona canonizzata è stata coinvolta in tutto questo, e si tratta di san Giovanni Paolo II.

Ora, senza andare per le lunghe, dove risiederebbe il problema? Non è possibile chiamare in causa una persona canonizzata? Bisogna difendere senza esclusione l’una e l’altra posizione? Il Vaticano nasconde qualcosa? Si tratta di cose «insabbiate» dal Vaticano per scopi sconosciuti? Ah, si tenga presente che il nuovo film su Don Gabriele Pietro Amorth uscito pochi giorni fa (L’esorcista del Papa, aprile 2023), il cui protagonista è il noto attore Russel Crowe, ha poco a che vedere con Don Amorth (leggere qui il comunicato dell’AIE sul trailer) ed è sconvolgente leggere i soliti commenti.

Pertanto, questo articolo non vuole essere né la difesa cieca di una parte o dell’altra né il solito calderone di «slogan», come oggi si verifica per tanti argomenti. Purtroppo molti titoli di giornali, oltre al contenuto, rasentano il ridicolo. Non affermo questo per una particolare avversione nei confronti dei giornalisti, anzi, ne conosco alcuni che sono tali con l’iniziale maiuscola e che possono essere definiti come veri ministri dell’informazione, ma quello che si apprende attraversi i mezzi di comunicazione di massa è… Lasciamo perdere.

Il rispetto per la sofferenza di una persona che chiede giustizia per la sorella o il rispetto per una persona come Karol Wojtyła vanno al di là di tutto questo clima nauseante. Lo scopo del presente articolo è quello di rispondere alle tante voci che si stanno sollevando in merito al caso in questione, in maniera facile, forse fin troppo… In che modo? Riportando ciò che occorre per la «canonizzazione» di una persona. Attenzione: strettamente parlando canonizzazione e santificazione non sono sinonimi, la prima avviene con la dovuta proclamazione, la seconda avviene col Battesimo (Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 1212-1284), nonostante il titolo di Santo o Santa segua la canonizzazione.

È pazzesco che volino parole a destra e a manca, col risultato di agitare le acque ma senza giungere alla conclusione. Molti giornalisti, con i loro mezzi, da quel che è stato dichiarato hanno strumentalizzato alcune parole e hanno fatto sì che queste colpissero la persona di Giovanni Paolo II. Certo, la strumentalizzazione c'è stata, ma non si può strumentalizzare ciò che non esiste, per cui le parole sono state pronunciate. Ovviamente, bisogna fare notizia! Sfortunatamente non fanno altro che cadere nel ridicolo, oltre a manifestare orgogliosamente una certa «ignoranza». Sì, si tratta di ignoranza nel vero senso della parola: ignorare, derivante da ignarus, vuol dire «non sapere», «trascurare», «sottovalutare», così come leggo dal Dizionario etimologico della Rusconi. Ebbene non sanno cosa occorre perché una persona possa essere canonizzata dalla Chiesa Cattolica, se lo sapessero non agiterebbero così tanto le acque. Ripeto, non si tratta di nessuno schieramento, ma solo di cercare di far capire che alcune notizie potrebbero essere risparmiate, le quali non giovano né a chi cerca chiarezza né a chi viene accusato. Occorre ripeterlo, dal momento che oggi bisogna stare attenti anche al respiro.

Pertanto, questo sarà l’articolo più facile che abbia mai scritto, poiché riporterà le procedure per la «canonizzazione», che viene dalla parola «canone» (in greco κανών, che in tal caso vuol dire regola, norma, modello) e che vuol dire «inserire nel canone», ossia in quell’elenco che riconosce pienamente quanto riportato nella costituzione apostolica Divinus Perfectionis Magister (circa la nuova legislazione per le cause dei santi), risalente a Giovanni Paolo II, della quale Papa Francesco ha modificato alcuni articoli. Il testo è abbastanza lungo e spero che il lettore avrà la pazienza di leggerlo, poiché ne vale la pena. Ecco il testo della Divinus Perfectionis Magister, che prendo dal sito vatican.va, della quale è messo a disposizione anche il formato PDF:

 

***

Il Maestro divino della perfezione e il modello, Cristo Gesù, che insieme al Padre e allo Spirito Santo «unico santo», amò la Chiesa come una sposa e diede se stesso per lei, per santificarla e renderla gloriosa ai suoi occhi. Pertanto, dato il precetto a tutti i suoi discepoli, affinché imitassero la perfezione del Padre, inviò lo Spirito Santo su tutti, che li muova internamente, affinché amino Dio di tutto cuore, e affinché si amino reciprocamente, allo stesso modo in cui lui li amò. I seguaci di Cristo - come si esorta attraverso il Concilio Vaticano II - chiamati e giustificati in Gesù Cristo, non secondo le loro opere ma secondo il disegno e la grazia di lui, nel Battesimo della fede sono stati fatti veramente figli di Dio e compartecipi della natura divina, e perciò veramente santi.

Dio sceglie in ogni tempo un gran numero di questi che, seguendo più da vicino l'esempio di Cristo, offrano una gloriosa testimonianza del Regno dei cieli con lo spargimento del sangue o con l'esercizio eroico delle virtù.

Invero la Chiesa, che fin dagli inizi della religione cristiana ha sempre creduto che gli Apostoli e i Martiri siano con noi strettamente uniti in Cristo, li ha celebrati con particolare venerazione insieme con la beata Vergine Maria e i santi Angeli, e ha implorato piamente l'aiuto della loro intercessione. A questi in breve tempo si aggiunsero altri che avevano imitato più da vicino la verginità e povertà di Cristo, e infine tutti gli altri, che il singolare esercizio delle virtù cristiane e i carismi divini raccomandavano alla pia devozione e imitazione dei fedeli.

Considerando la vita di quelli che hanno fedelmente seguito Cristo, per una tale insolita ragione siamo incitati a ricercare la Città futura e ci è insegnata una via sicurissima attraverso la quale, tra le vicende del mondo, possiamo arrivare alla perfetta unione con Cristo o, per dir meglio, alla santità, secondo lo stato e la condizione propria di ciascuno.

Senza dubbio, avendo una tal moltitudine di testimoni, attraverso i quali Dio si fa presente a noi e ci parla, siamo attirati con grande forza a guardare il Regno suo nei cieli. La Sede Apostolica, accogliendo i segni e la voce del suo Signore col massimo timore e docilità, da tempi immemorabili, per il gravoso compito affidatole di insegnare, santificare e reggere il Popolo di Dio, offre all'imitazione dei fedeli, alla venerazione e all'invocazione gli uomini e le donne insigni per lo splendore della carità e di tutte le altre virtù evangeliche e dopo aver condotto i debiti accertamenti, dichiara con un solenne atto di canonizzazione che essi sono Santi o Sante.

L'Ordinamento delle cause di canonizzazione, che il Nostro predecessore Sisto V affidò alla Congregazione dei Sacri Riti da lui stesso fondata, è stato sviluppato nel corso dei tempi da sempre nuove norme, soprattutto ad opera di Urbano VIII, che Prospero Lambertini (poi divenuto Benedetto XIV), raccogliendo anche esperienze del tempo passato, lasciò ai posteri nell'opera intitolata Beatificazione dei Servi di Dio e canonizzazione dei Beati, e che rimase come regola per quasi due secoli presso la Sacra Congregazione dei Riti. Norme di tal genere infine furono raccolte essenzialmente nel Codice di Diritto Canonico, pubblicato nell'anno 1917.

Ma poiché il progresso delle discipline storiche, che ha fatto grandi passi nel nostro tempo, ha mostrato la necessità di arricchire la competente Commissione di uno strumento di lavoro più adeguato, per rispondere meglio ai postulati dell'arte critica, il nostro predecessore Pio XI con la Lettera apostolica «Già da qualche tempo» (Motu proprio) pubblicata il 6 febbraio 1930, istituì presso la Sacra Congregazione dei Riti la «Sezione storica» e le affidò lo studio delle cause «storiche». Il 4 gennaio 1939 lo stesso Pontefice fece pubblicare le Norme da osservare nell'istruire processi ordinari sulle cause storiche, con le quali rese di fatto superfluo il processo «apostolico», così che nelle cause «storiche» unico divenne il processo con autorità ordinaria.

Paolo VI poi, con la Lettera apostolica «Sanctitas clarior» del 19 marzo 1967, stabilì che, anche nelle cause più recenti, si facesse un unico processo per quanto riguarda l'istruzione, cioè per raccogliere le prove, che il Vescovo istruisce, previo permesso tuttavia della Santa Sede. Il medesimo Pontefice con la costituzione apostolica «Sacra Congregazione dei Riti» dell'8 maggio 1969, in luogo della Sacra Congregazione dei Riti istituì due nuovi Dicasteri, ad uno dei quali affidò l'incarico di dare un assetto al Culto divino, all'altro quello di trattare le cause dei santi; in questa stessa occasione mutò alquanto l'ordine di procedere nelle medesime.

Dopo le più recenti esperienze, infine, ci è parso opportuno di rivedere la via di istruzione delle cause e dare un ordinamento alla stessa Congregazione per le cause dei Santi, per venire incontro alle esigenze degli studiosi e ai desideri dei nostri fratelli nell'Episcopato, che hanno più volte sollecitato l'agilità del modo di procedere, mantenendo tuttavia ferma la sicurezza delle investigazioni in una questione di tanta gravità. Crediamo inoltre, privilegiando la dottrina della collegialità proposta dal Concilio Vaticano II, che sia assolutamente opportuno che gli stessi Vescovi si sentano maggiormente uniti alla Sede Apostolica nella trattazione delle cause dei santi.

Per il futuro dunque, abrogate tutte le leggi di qualsiasi genere in materia, abbiamo stabilito che si debbano osservare le norme che seguono.

1. Ai Vescovi diocesani o alle autorità ecclesiastiche e agli altri equiparati nel diritto, entro i confini della loro giurisdizione, sia d'ufficio, sia su istanza dei singoli fedeli o di legittime aggregazioni e dei loro procuratori, compete il diritto di investigare circa la vita, le virtù o il martirio e fama di santità o martirio, i miracoli asseriti, e, se è il caso, l'antico culto del Servo di Dio, del quale viene chiesta la canonizzazione.

2. In ricerche di tal genere il Vescovo proceda secondo le Norme particolari da stabilirsi dalla Sacra Congregazione per le Cause dei Santi, in questo ordine:

1) Richieda al postulatore della causa, nominato legittimamente dal promotore, una accurata informazione sulla vita del Servo di Dio, e si faccia contemporaneamente da quello accuratamente illustrare i motivi che sembrano richiedere una causa di canonizzazione.

2) Se il Servo di Dio ha pubblicato suoi scritti, il Vescovo li faccia esaminare dai censori teologici.

3) Se non si è trovato nulla in tali scritti contro la fede e la morale, allora il Vescovo faccia esaminare gli altri scritti inediti (lettere, diari, ecc.) e tutti i documenti, che in qualunque modo riguardino la causa, da persone adatte allo scopo, che, dopo aver compiuto il loro compito con scrupolosità, devono stendere una relazione sugli accertamenti fatti.

4) Se da quanto fatto finora il Vescovo riterrà nella sua prudenza che si possa procedere oltre, faccia interrogare i testimoni addotti dal postulatore e gli altri che d'ufficio devono essere chiamati secondo il rito. Se poi fosse urgente l'esame dei testimoni per non perdere la possibilità di avere le prove, devono essere interrogati anche se non è ancora stata terminata l'indagine sui documenti.

5) La ricerca sui miracoli asseriti si faccia separatamente dall'indagine sulle virtù o sul martirio.

6) Terminate le indagini, si trasmettano tutti gli atti in duplice copia alla Sacra Congregazione, insieme a un esemplare dei libri del Servo di Dio esaminati dai censori teologici con il relativo giudizio. Il Vescovo inoltre deve aggiungere una dichiarazione sull'osservanza dei decreti di Urbano VIII sul non culto.

3. E' compito della Sacra Congregazione per le Cause dei Santi, presieduta dal Cardinale Prefetto, con l'aiuto del Segretario, di fare ciò che concerne la canonizzazione dei Servi di Dio, sia assistendo i Vescovi nell'istruire le cause con il consiglio e le istruzioni, sia studiando a fondo le cause, sia infine pronunziandosi con il voto. Alla Congregazione spetta ancora di decidere su tutte quelle cose che si riferiscono all'autenticità e alla conservazione delle reliquie.

4. E' compito del Segretario: 1) curare le relazioni con gli esterni, in particolare con i Vescovi che istruiscono le cause; 2) partecipare alle discussioni in merito alla causa, portando il voto nella Congregazione dei Padri Cardinali e dei Vescovi; 3) stendere la relazione sui voti dei Cardinali e dei Vescovi, da consegnare al Sommo Pontefice.

5. Nell'adempiere al suo compito il Segretario è aiutato dal Sottosegretario, a cui spetta in particolare di vedere se sono state osservate le prescrizioni di legge nell'istruzione delle cause, ed è aiutato anche da un congruo numero di Ufficiali minori.

6. Per lo studio delle cause presso la Sacra Congregazione c'è il Collegio dei Relatori, presieduto dal Relatore generale.

7. E' compito dei singoli Relatori:

1) studiare le cause loro affidate con i cooperatori esterni e preparare le «Positiones super virtutibus et martyrio»;
2) illustrare per scritto tutti i chiarimenti storici, se sono stati richiesti dai Consultori;
3) partecipare come esperti, senza diritto di voto, alla riunione dei teologi.

8. Ci sarà in particolare uno dei Relatori che avrà l'incarico di occuparsi a fondo della «Positio super miraculis», che parteciperà alla riunione dei medici e al Congresso dei teologi.

9. Il Relatore generale, che presiede la riunione dei Consultori storici, è aiutato da alcuni Collaboratori nei suoi studi.

10. Presso la Sacra Congregazione c'è un «Promotor fidei» o Prelato teologo, che ha il seguente compito: 1) presiedere il Congresso dei teologi, in cui ha diritto di voto; 2) preparare la relazione sullo stesso Congresso; 3) partecipare alla Congregazione dei Padri Cardinali e dei Vescovi come esperto, senza tuttavia diritto di voto. Per una o un'altra causa, se sarà necessario, dal Cardinale Prefetto potra essere nominato un «Promotor» fidei che faccia al caso.

11. Per trattare le cause dei Santi sono a disposizione Consultori, chiamati da diverse parti, con specifica esperienza, chi in campo storico, chi in campo teologico.

12. Per l'esame delle guarigioni, che vengono presentate come miracoli, si tiene presso la Sacra Congregazione una commissione di medici.

13. Dopo che il Vescovo ha inviato a Roma tutti gli atti e i documenti riguardanti la causa nella Sacra Congregazione per le Cause Santi si proceda in tal modo:

1) Innanzitutto il Sottosegretario esamina attentamente se nelle inchieste fatte dal Vescovo sono state osservate tutte le norme di legge e riferisce nel Congresso ordinario sull'esito dell'esame.

2) Se il Congresso giudicherà che la causa è stata istruita secondo le norme di legge, stabilirà di affidarla a uno dei Relatori; il Relatore, a sua volta, aiutato da un Cooperatore esterno, farà la «Positio super virtutibus vel super martyrio», secondo le regole della critica agiografica.

3) Nelle cause antiche e in quelle recenti, la cui indole particolare richiederà il giudizio del Relatore generale, la «Positio», una volta stesa, dovrà essere sottoposta all'esame dei Consultori esperti specifici della materia, perché esprimano il voto sul suo valore scientifico sulla sufficienza all'effetto. In singoli casi la Sacra Congregazione può affidare la «Positio» anche ad altri studiosi, non compresi nel numero dei Consultori.

4) La «Positio» (con i voti scritti dei Consultori storici e con gli ulteriori chiarimenti del Relatore, se saranno necessari) sarà consegnata ai Consultori teologi, che esprimeranno il voto sul merito della causa; è loro compito, insieme al «Promotor fidei», studiare tanto a fondo la causa fino a che sia stato completato l'esame delle questioni teologiche controverse, qualora ve ne siano, prima che si arrivi alla discussione nel Congresso specifico.

5) I voti definitivi dei Consultori teologi, insieme alle conclusioni stese dal «Promotor fidei», saranno affidate al giudizio dei Cardinali e dei Vescovi.

14. Sui miracoli la Congregazione giudica con il seguente criterio:

1) I miracoli asseriti, sui quali il Relatore incaricato di ciò prepara la «Positio», sono esaminati nella riunione degli esperti (se si tratta di guarigioni, nella riunione dei medici); i voti e le conclusioni degli esperti sono esposti in una accurata relazione.

2) In secondo luogo si devono discutere i miracoli nello specifico Congresso dei teologi; e infine nella Congregazione dei Padri Cardinali e dei Vescovi.

15. Il parere dei Padri Cardinali e dei Vescovi viene riferito al Sommo Pontefice, al quale solo compete il diritto di decretare il culto pubblico ecclesiastico del Servo Di Dio.

16. Nelle singole cause di canonizzazione, il cui giudizio per il momento dipenda dalla Sacra Congregazione, la stessa Sacra Congregazione stabilirà, con un decreto particolare, il modo di procedere oltre, nell'osservanza tuttavia di questa nuova legge.

17. Le norme stabilite con questa Nostra costituzione cominciano ad entrare in vigore da oggi. Vogliamo che queste norme e prescrizioni siano valide ed efficaci ora e per il futuro, non essendo in opposizione, fin dove è necessario, con le Costituzioni e gli ordinamenti apostolici fatti dai nostri predecessori, e le altre prescrizioni degne anche di particolare menzione e deroga.

Roma, San Pietro, 25 gennaio 1983, V anno del nostro Pontificato.

***

Il motu proprio Maiorem hac dilectionem (2017) con cui Papa Francesco ha modificato alcuni articoli, è possibile leggerlo cliccando sul titolo del motu proprio. Inoltre, per quanto riguarda le Norme da osservarsi nelle inchieste diocesane nelle cause dei santi, è possibile leggerle cliccando sul titolo. Nel motu proprio Maiorem hac dilectionem di Papa Francesco, sono riportate alcune modifiche sia alla Divinus Perfectionis Magister sia alle Normae servandae in inquisitionibus ab Episcopis facendis in Causis Sanctorum (Norme da osservarsi nelle inchieste diocesane nelle cause dei santi).

Dopo tutte queste informazioni, è ovvio che alcune notizie giornalistiche cadano nel ridicolo, e mi pare strano che gli addetti ai lavori non rispondano come dovrebbero. Senza contare che la Chiesa, anche per coloro che avanzano posizioni avverse, ha dimostrato sempre la sua meticolosità, a volte anche esagerata. Ora, è chiaro che chi scrive non potrà mai accettare certe voci su san Giovanni Paolo II, prima di tutto perché è canonizzato, poi perché la canonizzazione richiede tutto ciò che è stato riportato. Se si provasse a leggere ciò che san Giovanni Paolo II ha scritto, ci si renderebbe conto di quanto sia stato importante il suo studio dal punto di vista antropologico e dell’amore coniugale. La questione merita di essere affrontata diversamente, senza l’utilizzo di quei mezzi che già di per sé, a volte, sono sospetti. Allora sarebbe il caso che alcune testate giornalistiche vagliassero bene le notizie, prima di dare l’impressione che queste mirino solo ad agitare le acque, sì, ma della pozzanghera. Potrebbe insinuarsi il pensiero che queste notizie mirino proprio a raggiungere uno scopo che non è affatto quello della ἀλήθεια. E di notizie sparate in questo modo, sinceramente, ne ho le scatole piene… E non solo io.

 

Gabriele Cianfrani

 


 

Lettera Apostolica in forma di Motu Proprio, "Maiorem hac dilectionem", dell'11 luglio 2017, con la quale Papa Francesco ha introdotto una nuova fattispecie nell'iter di beatificazione e canonizzazione, 'l'offerta della vita'

Gli articoli seguenti della Costituzione Apostolica Divinus Perfectionis Magister di Giovanni Paolo II sono così modificati:

Art. 1:

Ai Vescovi diocesani, agli Eparchi e a quanti ad essi sono equiparati dal diritto, nell’ambito della loro giurisdizione, sia d'ufficio, sia ad istanza dei singoli fedeli o di legittime associazioni e dei loro rappresentanti, compete il diritto di investigare circa la vita, le virtù, l’offerta della vita o il martirio e la fama di santità, di offerta della vita o di martirio, sui presunti miracoli, ed eventualmente, sul culto antico del Servo di Dio, di cui si chiede la canonizzazione”.

Art. 2,5:

L’Inchiesta sui presunti miracoli si faccia separatamente da quella sulle virtù, sull’offerta della vita o sul martirio.

Art. 7,1:

“studiare le cause loro affidate con i collaboratori esterni e preparare le Positiones sulle virtù, sull’offerta della vita o sul martirio”.

Art. 13,2:

Se il Congresso giudicherà che la causa è stata istruita secondo le norme di legge, stabilirà di affidarla a uno dei Relatori; il Relatore, a sua volta, aiutato da un collaboratore esterno, farà la Positio sulle virtù, sull’offerta della vita o sul martirio, secondo le regole della critica agiografica”.