Blog di informazioni e riflessioni su quanto concerne temi cristiani

domenica 31 maggio 2020

SOLENNITA' DI PENTECOSTE

maggio 31, 2020 Posted by Gabriele Cianfrani , , 1 comment


La Pentecoste, dal greco he pentekoste (hemera), «il cinquantesimo (giorno)», era per il popolo d’Israele la «festa delle Settimane o della mietitura» (Cfr. Es 34,22; 23,16) ed era un festa delle primizie. Si celebrava sette settimane dopo l’offerta del covone d’orzo (Cfr. Lv 23,15-21). Seguiva, come ultima festa alla fine dell’anno, la «festa del Raccolto o delle Capanne» (Cfr. Es 23,16; Lv 23,34). Le tre grandi feste d’Israele: la festa degli Azzimi, la festa della mietitura o delle Settimane, la festa del Raccolto o delle Capanne (Cfr. Es 23,14-19). Alla festa della Pasqua, stabilita al quattordicesimo giorno del primo mese (di Abib, poi sarà Nisan, che è corrispondente all’incirca al mese di aprile), seguiva la festa degli Azzimi al quindicesimo giorno dello stesso mese, che durava sette giorni (Cfr. Lv 23,5-6). Seguiva poi quella della mietitura o delle Settimane, fino a giungere a quella del Raccolto o delle Capanne.

È molto interessante uno sguardo al Pentateuco, seppur velocemente, in merito a ciò.

Ora, non a caso dopo il giorno della risurrezione del Signore Gesù (Domenica, da dies Domini, ossia “giorno del Signore”), abbiamo sette settimane del tempo pasquale, a conclusione delle quali abbiamo la Domenica di Pentecoste, e mentre stava compiendosi il giorno di Pentecoste si trovavano tutti insieme [gli Apostoli] nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi (At 2,1-4). La conseguenza di ciò è un vero e proprio rinnovamento, una nuova creazione nella Nuova Alleanza, che è eterna. Infatti, quel «soffio» che troviamo in Gv 20,22-23 (Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A chi rimettete i peccati, sono loro rimessi; a chi li ritenete, sono ritenuti»), è lo stesso che troviamo all’inizio in Gen 2,7 (Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere dal suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente) e poi anche in Sap 15,11 (..., colui che gli inspirò un’anima attiva e gli infuse uno spirito vitale). Pertanto, soprattutto in questo giorno, si prende atto che Gesù fa davvero nuove tutte le cose (Cfr. Ap 21,5a), per cui non è possibile perdere di vista il grande legame Pasqua-Pentecoste. Ma oltre al rinnovamento vi è anche una missione. Infatti, dopo che san Pietro parlò alla folla, alla domanda su cosa occorreva fare, risponde chiaramente: «Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e riceverete il dono dello Spirito Santo» (At 2,38). A ciò corrisponde quella figliolanza divina di cui parla san Paolo, dato che tutti voi infatti siete figli di Dio mediante la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo (Gal 3,26-27). Dunque emerge ancora l’importanza del Battesimo. Il quale è il fondamento di tutta la vita cristiana, il vestibolo d’ingresso alla vita nello Spirito («vitae spiritualis ianua»), e la porta che apre l’accesso agli altri sacramenti. Mediante il Battesimo siamo liberati dal peccato e rigenerati come figli di Dio, diventiamo membra di Cristo; siamo incorporati alla Chiesa e resi partecipi della sua missione [...] (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1213).

Piccola osservazione: quando Gesù parla dello Spirito (Santo), lo identifica come l’«altro paraclito» (Cfr. Gv 14,16), come «Paraclito» (Cfr. Gv 15,26; 16,7), come «Spirito della verità» (Cfr. Gv 16,13). Da ciò traspare che il Paraclito è Cristo stesso e lo Spirito è l’altro Paraclito, ma questo altro Paraclito viene presentato sullo stesso piano del primo (il Cristo). Si conclude, da questi brevi riferimenti, che lo Spirito è non solo lo Spirito della verità (che è il Cristo) ma che gode dello stesso piano ontologico del Cristo, che è Dio e che è una sola cosa col Padre (Cfr. Gv 10,30). Da ciò la possibilità di concludere che vi è legame della Chiesa col mistero trinitario. 

Per concludere, San Tommaso d’Aquino riassume perfettamente quanto occorre circa il rinnovamento come effetto dello Spirito Santo, e lo fa nella conferenza vespertina del sermone 11:

Dunque il primo effetto dello Spirito Santo è che crea. Il secondo è il rinnovamento, che si verifica in quattro modi, cioè: secondo la grazia che purifica, secondo la giustizia che fa progredire, secondo la sapienza che illumina e secondo la gloria che porta a compimento.



Gabriele Cianfrani




domenica 24 maggio 2020

SOLENNITÀ DELL'ASCENSIONE DEL SIGNORE

maggio 24, 2020 Posted by Gabriele Cianfrani , , No comments


Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre, «quella – disse – che voi avete udito da me: Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo». Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra». Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo» (At 1,3-11).

 

In questo giorno della solennità dell’Ascensione, tra le tante informazioni che si colgono, una risalta particolarmente: il numero «quaranta».

Tante cose sono state scritte in merito, per cui ci si limiterà ad un piccolo contributo.

Il numero «quaranta» è biblicamente molto importante, dato che viene collegato molte volte a potenti azioni di Dio, ad esempio: quaranta giorni di diluvio (Gen 7,17); dopo quaranta giorni fu fatto uscire il corvo dall’arca (Gen 8,6); per quaranta giorni e quaranta notti Mosè rimase sul monte (Es 24,18); il tempo della permanenza di Israele nel deserto dopo l’uscita dall’Egitto (Es 16,35); la preghiera di Mosè per Israele (Dt 9,25); il cammino di Elia verso l’Oreb (1Re 19,8); la durata del regno di Davide (1Sam 5,4); la durata del regno di Salomone, che aveva regnato a Gerusalemme su tutto Israele (1Re 11,42); la permanenza di Gesù nel deserto prima della tentazione (Mt 4,2) e così via. Il tempo di Quaresima è di quaranta giorni. Dunque il numero «quaranta» è certamente legato alle grandi azioni di Dio, ma è anche legato alla purificazione ed esprime anche maturità. Pertanto, è un numero reale ma fortemente simbolico. Diversamente da come oggi si intende il «simbolo», esso esprime ciò che rimanda ad una realtà concreta, talmente concreta e grande che il miglior modo per esprimerla è appunto il «simbolo». Infatti, σύμβολον (sýmbolon), derivante da συμβάλλω (symbállo), vuol dire «insieme metto/getto». Interessante che il contrario del simbolo, che mette insieme, è il diaballo, che separa. Ciò vale anche per tanti altri numeri, come ad esempio il «sette», che è legato all’idea di compimento e di perfezione, e di riferimenti ve ne sono tantissimi, ma soprattutto si tratta di riferimenti reali. Oggi vi sono delle distorsioni riguardanti il linguaggio, per cui tante cose espresse in modo genuino, come nella Scrittura e in altri testi del passato, non sempre vengono capite come dovrebbero. Un esempio è l’abuso della parola «solidarietà», la quale presenta una ricchezza di significato immensa, ma che spesse volte, purtroppo, la si vede privata di tal ricchezza, impoverendola fortemente. La Scrittura è Parola di Dio, e già questo basterebbe per esprimere quanto occorre.

Per concludere, non è possibile non attingere da San Tommaso d’Aquino:

Dopo che alla risurrezione di Cristo, dobbiamo credere anche alla sua ascensione al cielo, perché Cristo vi salì quaranta giorni dopo. Perciò si dice nel Simbolo: Salì al cielo [...]. Fu un fatto ragionevole [...]. È infatti conforme a natura che ogni cosa ritorni là da dove ha tratto origine. Orbene, l’origine di Cristo è da Dio, il quale è sopra ogni cosa, ed era perciò giusto che egli salisse sopra tutte le cose [...]. È vero che anche i santi salirono a salgono al cielo, ma in maniera diversa da quella di Cristo; perché, mentre egli vi salì per virtù propria, i santi vi salgono perché attratti da lui: Attirami dietro a te (Ct 1,4) [...]. Ma il cielo era dovuto a Cristo anche per la sua vittoria. Egli era infatti stato mandato nel mondo per combattere contro il diavolo, e lo aveva sconfitto. Perciò si meritò di venire esaltato sopra tutte le cose (Cfr. Tommaso d’Aquino, Commento al Simbolo degli apostoli, ESD, Bologna 2012, 77).




Gabriele Cianfrani

sabato 2 maggio 2020

HOMO RELIGIOSUS

maggio 02, 2020 Posted by Gabriele Cianfrani , No comments



Senza dubbio è una parola che si sente tante volte e che presenta un’importanza poche volte considerata. Si tratta della parola « religione ». Ma quale sarebbe il significato di tale parola? Quale sarebbe la realtà a cui si riferisce? È importante, oggi, la religione? Domande alle quali vale la pena rispondere anche se in maniera generale e molto breve, dato che l’argomento è molto vasto e i diversi trattati di religione oggi presenti lo confermano pienamente.

Anzitutto partiamo dall’etimologia del termine religione, il quale deriva dal latino religio, che a sua volta può derivare da due verbi latini: relegere o religare. Marco Tullio Cicerone (106 a.C. – 43 a. C.) accettava il primo termine, relegere, il quale indica «il ripetere, il rileggere o il considerare ciò che riguarda il culto, ciò che riguarda la divinità». Il secondo termine, religare, risalente a Lattanzio (250 ca. d.C. – 320 ca. d.C.) e ripreso da Sant’Agostino (354 d.C. – 430 d.C.), indica «l’unione, il legame nei confronti di Dio». Anche San Tommaso d’Aquino preferirà il termine religare, il quale è il solo che adopera nel suo opuscolo Contra impugnantes Dei cultum et religionem. C’è da dire che non tutti concordano con la derivazione del termine religio da religare, poiché questi pongono l’accento sul fatto che religiosus voglia indicare la persona «scrupolosa», ossia la persona attenta a fare ciò che deve. Non a caso spesse volte si sente dire che quella data persona compia «religiosamente» un lavoro o che lo esegua in «religioso silenzio». In ogni caso pare che questa ultima posizione non contrasti con quella riguardo alla derivazione dal verbo religare, dato che il legame con Dio spinge ad essere attento, consapevoli del legame stesso e non negligenti.
La religione è in ogni caso definibile come l’insieme di credenze, di riti, di norme con cui gli esseri umani esprimono il loro rapporto con la divinità dalla quale si sanno dipendenti, ma è chiaro che l’elemento fondamentale della religione in quanto tale è il «sacro», al quale Rudolf Otto (1869 – 1937) si riferiva col termine Numinoso. Nei confronti del sacro l’uomo sperimenta la propria creaturalità, e si giunge alla realtà numinosa attraverso ciò che lo stesso Otto chiamava con Tremendum, Mysterium et Fascinans. Il Tremendum indica lo stare, il trovarsi dinanzi ad una realtà di una grandezza tale da risultare insuperabile; il Mysterium indica che l’oggetto numinoso è presentato come il «totalmente Altro»; il Fascinans indica lo stato soggettivo della persona dinanzi a ciò. Pertanto, è possibile affermare che la religione, oltre ad essere l’insieme di credenze, di riti, di norme con cui l’uomo si rapporta alla divinità, presenta delle parti costitutive che sono comuni a tutte le religioni, e sono tre: il soggetto dell’esperienza religiosa, l’oggetto di venerazione e/o di adorazione (il Sacro) e la relazione tra il soggetto e l’oggetto (Cfr. M. B. Pereira, La ricerca di quello splendore. Note introduttive alla fenomenologia della religione, IF Press, Morolo 2011). Importante il fatto che il «sacro» è un elemento imprescindibile per la religione in quanto tale. Senza il «sacro» non vi è religione. Inoltre, non è bene pensare che il «fatto religioso» sia più o meno antico, dacché è addirittura antico quanto l’uomo, o meglio, è connaturale all’uomo, tanto che l’uomo stesso si presenta sempre come homo religiosus. Infatti, al periodo chiamato Paleolitico, che sarebbe iniziato circa 2 milioni di anni fa e terminato circa 10.000 anni fa, risalgono proprio dei ritrovamenti archeologici che dimostrano la presenza di tracce religiose. Ad esempio vi è la grotta di Laas Geel in Somalia, la grotta di Lascaux, Chauvet e del Pech-Merle in Francia, quella di Altamira in Spagna, Warganata Mina in Tasmania, i ritrovamenti a Gӧbekli Tepe in Turchia, la grotta del Genovese in Sicilia e altre testimonianze di tracce di religiosità. Ma ciò che richiama maggiormente l’attenzione sono le risapute «sepolture». Queste risalirebbero anche a circa 90.000 anni fa e diversi ritrovamenti mostrano non solo che la testa era rivolta verso Oriente, ma anche che la posizione dei morti era simile ad un feto nel grembo materno, oltre all’utilizzo di prodotti naturali utilizzati come una sorta di ornamento. Ma anche in Oriente, e proprio nella parte di tempo risalente agli inizi del Paleolitico, furono ritrovati resti riguardanti l’uomo come cacciatore e raccoglitore – è chiaro che la caccia non era considerata semplicemente per trovare del cibo per nutrirsi, ma aveva una importanza che andava oltre ciò –, precisamente nelle caverne del monte Carmelo (Wādi Mugāra). Ebbene si può concludere che queste tracce di religiosità dimostrano che l’uomo è di per se stesso «religioso». La storia dell’umanità è inseparabile dall’aspetto religioso, dall’aspetto che lega l’uomo al divino. In nessun animale si trovano tracce di religiosità. La religione è costitutiva dell’uomo e non può esservi uomo senza religione.
Non vi è stato alcun riferimento a nessuna religione esistente nel mondo, per il semplice fatto che l’intenzione è stata solo quella di far emergere quanto sia importante il discorso circa la «religione» in generale, tanto che l’uomo è per sua costituzione un essere religioso, homo religiosus, e trascurare questo aspetto non può che risultare, oltre che dannoso, come una buona parte di ignoranza sull’uomo stesso. È chiaro che Colui che è la Luce del mondo ci ha indicato la verità, poiché è Egli stesso la Verità (Cfr. Gv 14,6), ma questo merita un approfondimento a parte, dato che lo scopo dell’articolo, come già scritto, è stato solo quello di evidenziare la religione in sé e l’aspetto religioso dell’uomo come rientrante nella sua costituzione di uomo. Così come ogni decisione dell’uomo rimanda ad una posizione antropologica bene precisa. Pertanto, credo si possa concludere con le parole di Van der Leeuw: «quanto più violentemente si presenta l’ateismo, tanto più chiaro vediamo in esso le tracce di antiche esperienze religiose, come quelle dell’escatologia e della religione della comunità umana nell’ateismo comunista. L’uomo che non vuole essere religioso lo è proprio per questa sua volontà. Può ben fuggire di fronte a Dio, ma non può sfuggirgli» (G. Van der Leeuw, L’uomo primitivo e la religione, Boringhieri, Torino 1952, p. 146).



Gabriele Cianfrani


giovedì 30 aprile 2020

PERICOLI "NASCOSTI"

aprile 30, 2020 Posted by Gabriele Cianfrani , No comments



Il mondo dell'occulto, a differenza del passato – poiché tale mondo ha origini molto remote e non recenti –, oggi pare essersi diffuso in maniera tale da tradire il significato del suo stesso nome (« occulto » vuol dire « nascosto »), poiché risulta essere fin troppo visibile... Una visibilità che quasi sembra esser divenuta così evidente da risultare di carattere « abituale », tanto il mondo dell'occulto è presente. Se una pratica negativa risultasse abituale e dunque svolta senza che vi si prestasse particolare attenzione, il risultato sarebbe un accumulo quotidiano, abituale di esplosivo, il cui danno una volta avvenuta l'esplosione risulta essere tanto più forte e violento quanto più esplosivo si è accumulato. Anzi, la pratica occulta non attende neanche che si giunga ad un punto ben preciso per dar luogo alle sue conseguenze, poiché risulta essere veleno sotto l'aspetto di bevanda innocua. Il punto è che sempre di veleno si tratta – e di quello del serpente antico – e sempre reca avvelenamento! Di cosa? Dell'anima e del corpo. Magari le conseguenze non emergeranno subito dopo una pratica occulta, ma comunque emergeranno e, più pratiche occulte vengono svolte, più veleno si accumula a danno della propria anima e del proprio corpo. A mio parere tutto questo risulta essere un vero e proprio successo da parte del Satana, rendendo il mondo dell'occulto e le pratiche ad esso connesse come un qualcosa che appartenga alla quotidianità di molte persone... Il Satana agisce sempre nel nascondimento e con tale mondo agisce (quasi) indisturbato. Tanto chi gli dice qualcosa se il tutto fa parte della sfera dell'abitudine (seppur infernale)! 
L'occultismo consiste nel cercare dei poteri superiori con scopo di dominazione, oppure nell'approfittare dei poteri che vengono trasmessi attraverso una particolare iniziazione. 

Ovviamente il problema odierno è che o non si crede affatto al mondo dell'occulto o si crede in maniera sconclusionata, ad eccezione di qualcuno! 
Purtroppo è ancora presente la parola « eccezione », la quale indica che la presa di coscienza di tale mondo infernale, per quello che è, risulta misera. 
Tante sono le pratiche occulte ed alcune sono: cartomanzia, chiromanzia, astrologia (oroscopo e altro), magia (bianca, nera, rossa), il maleficio (amatorio, venefico, di legatura, di omeopatia o transfert, di putrefazione e anche di possessione), il pendolino magico, l'utilizzo della tavola ouija, la cristalloterapia, la pranoterapia (quella vera e propria con le sue origini)! Ci sono anche le sedute spiritiche, con una vasta gamma di nomi, ossia: negromanzia, medianità, channeling, spiritismo... Tutti nomi che rimandano alle sedute spiritiche. Beh poi si giunge al fondo, alla massima espressione oscura dell'occultismo, ossia al satanismo (razionalista, occultista, acido o selvaggio, luciferino). Un accenno, nel vero senso della parola, dato che l’argomento è molto vasto: vi sono pratiche, e qui il discorso guadagna delicatezza, appartenenti a diverse culture, come ad esempio il voodoo, la macumba, la candomblè, la santeria cubana (e tanto altro…), che senza dubbio meritano attenzione, ma ad un cristiano non si addicono, e ciò non può non essere espresso. Nella Scrittura vi sono passi riguardanti il popolo d’Israele circa la preservazione nella corretta condotta cultuale (Cfr. Dt 13,2-6; 1Sam 26,19; 2Re 5,17; Sal 81 [80], 10; Sap 14,22-31; Is 43,11-12…) e anche dei veri e propri ammonimenti (Cfr. At 8,18-25; Gal 5,19-21; …). Circa lo yoga: è una pratica religiosa molto antica e vasta, e per il fatto stesso di esser tale merita rispetto, per cui non è possibile riportare in modo esauriente l’argomento. Nel caso specifico non si fa riferimento alla pratica religiosa in quanto tale, ma alla stessa distorta dalla catastrofica “New Age”, la quale risulta essere una vera e propria realtà sincretistica, una miscela eterogenea di pratiche, da condurre alla conciliazione dell’inconciliabile, tale da distorcere la pratica stessa dello yoga. C’è da dire una cosa però, ossia che nonostante ciò, non ci sarebbero problemi se il tutto avesse come scopo una semplice ginnastica, ma nel momento in cui vi fosse la comparsa di termini quali “prana”, “chakras” e “mantra”, allora la situazione cambierebbe radicalmente. Questo poiché ci si discosterebbe totalmente dalla realtà cristiana (per approfondimenti circa la meditazione cristiana: Card. Joseph Ratzinger, Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica su alcuni aspetti dellameditazione cristiana, 15 ottobre 1989). Questi ultimi sono aspetti culturalmente molto vasti, i quali richiedono certamente di essere approfonditi ed esposti in maniera almeno soddisfacente e con rispetto, che non può mancare, ma penso sia giusto esporre il fatto che l’identità cristiana è un’altra cosa, è un discorso totalmente diverso e non è possibile accettare commistioni di alcun tipo. Riprendendo, per molti l’occultismo non rappresenterebbe nulla se non una sorta di gioco senza alcun pericolo, ma per un cristiano così non è… o almeno non dovrebbe esserlo! 
La Scrittura presenta passi estremamente chiari in merito a tali pratiche ed alcuni sono: Lv 19,26; Lv 19,31; Dt 18,10-12…
In merito alla superstizione, c’è da dire che anch’essa conduce all’occultismo. La pratica di togliere il “malocchio”, altro non è che una forma di magia bianca – di qualunque colore sia è sempre di origine diabolica – e quindi siamo nel mondo dell’occulto. Ma vi sono anche altre pratiche che si mascherano astutamente come il loro “autore” e che si mostrano in veste del tutto benevole, ma che in realtà son tutt’altro… Alcune di queste pratiche sono: il dolce di Padre Pio, la catena di Sant’Antonio, gli olî di San Giuseppe o di San Raffaele – con le loro complesse preparazioni – ed altre di questo genere. Beh queste pratiche non sono altro che superstizione. Sono pratiche che escludono l’intervento della Chiesa attraverso i suoi ministri sacri. L’olio di San Giuseppe, se consideriamo quello preparato con i gigli, e non l’olio autentico benedetto dal sacerdote, altro non è che superstizione, sia il risultato sia la preparazione stessa. Il dolce di Padre Pio – come se la ricetta l’avesse data lui, e inoltre San Pio digiunava spessissimo!... – è una superstizione bella e buona! Non è possibile attribuire un potere ad un oggetto poiché di potere non ne ha. Gli oggetti autenticamente sacri sono efficaci in base alla fede della persona, ovviamente la fede in Dio. Ma nel caso di questi presunti olî, dolci e catene, non vi è proprio nulla di sacro. Semmai vi è una sorta di magia, ma nulla di sacro in quanto sono tutte pratiche che esulano dall’autentica fede riportata nella Bibbia ed espressa immensamente dalla Chiesa. In poche parole “il fai da te”, come in questo caso, è una trappola ben piazzata. La Chiesa mette a disposizione mezzi straordinariamente efficaci per aiutare la persona nel cammino di fede, dunque non occorre far ricorso a pratiche strampalate, bislacche che portano fuori dalla genuina fede in Cristo, con conseguenze terribili.
Insomma, l’argomento è molto vasto, ma si cercherà di scrivere qualcos’altro.


di Gabriele Cianfrani

mercoledì 22 aprile 2020

CONSERVA L'ORDINE E L'ORDINE CONSERVERA' TE



Siamo ormai giunti all'apprensione del grande numero di decessi a causa della presenza di questo coronavirus (COVID 19), non solo in Italia, ma anche in altre parti del mondo. Su cosa si potrebbe muovere la riflessione? Quali domande potrebbero venir fuori da tutto ciò? E Dio dov'è? È possibile elevare la parola come il salmista, chiedendo a Dio fino a quando continuerà a tenerci in oblio? Per sempre? (Sal 13 [12],2). Insomma, cosa dire?
Vorrei tentare di metter su una breve riflessione.
Tra le tante parole che si sentono, alcune sono quelle rivolte ai medici e agli operatori sanitari, i quali vengono definiti come “eroi”. Questo è senza dubbio giusto ed è doverosa tale riconoscenza, ma il problema è che “eroi” non si diventa da un giorno all’altro. L’eroicità emerge in precisi momenti, ma affinché possa emergere è necessario che questa venga coltivata nel quotidiano. Pertanto, i medici e gli operatori sanitari, non sono eroi solo in questo momento, ma sempre e nel quotidiano. È davvero indecoroso definirli tali solo, come dire, nel momento del bisogno. Del resto, spesse volte, si fa così anche con Dio, ossia ci si ricorda di Lui solo nei momenti drammatici e si parla di alcune persone definite eroiche solo ora, ma quando erano ancora in vita sono state per diverse volte “trascurate”, per non ricorrere ad altre parole… Tuttavia è possibile l’atto eroico, ma essere “eroe”, essere “valorosi” è il risultato non di un atto quando questo urge, ma il risultato della vita quotidiana.
Ora, di eroi ve ne sono molti e in diversi campi, e si spera che non vengano riconosciuti tali solo al verificarsi di una situazione drammatica, ma sempre. In questo, credo che, ancora una volta, San Paolo sia illuminante. Infatti, come il corpo, pur essendo uno, ha molte membra, e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. […] Ora, il corpo non risulta di un membro solo, ma di molte membra. Se il piede dicesse: <<Siccome io non sono mano, non appartengo al corpo>>, non per questo non farebbe parte del corpo. E se l’orecchio dicesse: <<Siccome io non sono occhio, non appartengo al corpo>>, non per questo non farebbe parte del corpo. Se il corpo fosse tutto occhio, dove sarebbe l’udito? Se fosse tutto udito, dove l’odorato? Ma Dio ha disposto le membra in modo distinto dal corpo, come ha voluto. Che se tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo? Invece molte sono le membra, ma uno solo il corpo. E l’occhio non può dire alla mano: <<Non ho bisogno di te>>; né la testa ai piedi: <<non ho bisogno di voi>>. Ché, anzi, quelle membra del corpo che sembrano più deboli sono più necessarie; e quelle che riteniamo più ignobili le circondiamo di maggior rispetto, e quelle indecorose ricevono più riguardo, mentre quelle decorose non ne hanno bisogno (1Cor 12,12-24).
Certamente questo brano si riferisce alla nuova nascita per mezzo del Battesimo, per cui battezzati in un solo Spirito, ma è estremamente utile anche per quanto sta accadendo. Sarebbe bene che ci si ricordasse delle diverse membra del corpo non soltanto nel momento di maggior bisogno, ma sempre. Inoltre, preme fortemente portare a galla il fatto che la “persona” in quanto tale, compresa quella umana, è comprensibile solo attraverso l’approccio filosofico, con l’ulteriore valorizzazione di quello teologico. O meglio, è proprio all'interno di un'esigenza teologica che sorge il discorso sulla "persona", senza la quale esigenza non ci sarebbe stata tale ricerca. La ricerca sulla “persona” ha impegnato entrambi gli ambiti, tale termine affonda le sue radici in queste due scienze (la filosofia e la teologia).
In questa realtà si parla di “persona umana” e la persona ha valore incalcolabile. Non vi potrà mai essere una semplice riduzione al puro numero. Se proprio si volesse parlare di numero, questo sarebbe certamente infinito, poiché la “persona” significa quanto di più nobile si trova in tutto l’universo, cioè il sussistente di natura razionale, e il massimo grado della persona risiede in Dio. Per questo, dovendosi attribuire a Dio tutto ciò che comporta perfezione, dato che nella sua essenza egli contiene tutte le perfezioni, è conveniente che tale nome di persona si dica di Dio (Cfr. S. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, Ia, q. 29, a. 3).
Ma ci sarebbe di più.
Sembra che a volte si voglia propendere per una sorta di indipendenza persino ontologica. Ciò risulta davvero un’illusione, in quanto la realtà stessa nella sua totalità dipende, nel suo essere, da Dio. Tale dipendenza è nobilitante e non screditante, e tutto questo per misericordia di Dio. La giustizia consiste nella retribuzione dei meriti e perciò nella creazione non si può parlare di giustizia […]. Nell’opera della creazione si può parlare di misericordia perché, creando, Dio toglie il più grande di tutti i difetti, vale e dire il non essere (Cfr. Ibid., IV Sent., d. 46, q. 2, a. 2). Pare che quasi non si pensi più che ogni respiro è reso possibile poiché è garantito da Dio, senza il quale nulla sarebbe. Il dramma è quello di non riconoscere più che se l’uomo è in grado di far qualcosa, compresa la ricerca scientifica – essa è dono dell’Altissimo e va sviluppata in tutte le possibilità, non a caso grandi santi hanno promosso la ricerca scientifica –, è per concessione di Dio, e quando l’uomo deraglia commette peccato, abusando di ciò che Dio incessantemente gli concede. La mancata riconoscenza si pone non solo intellettualmente, ma anche sul piano esperienziale.
Non sarà mai possibile “incolpare” Dio, dato che l’uomo è dotato di libero arbitrio, e sarebbe bene che se ne rendesse conto, nel bene e nel male. Il fuoco è prezioso per l’uomo, per la cottura degli alimenti, per riscaldarsi e altro, tanto che nell’antichità e in particolare riferimento al filosofo Empedocle, il fuoco era considerato tra i quattro elementi che stanno a fondamento del mondo (fuoco, aria, terra e acqua), ed è appunto sua questa dottrina. Ma se si avvicinasse la mano, convinti di poter dominare il fuoco e convinti della propria indipendenza e invincibilità, cosa accadrebbe? Ci si scotterebbe, ci si ustionerebbe… E la colpa sarebbe del fuoco? Non credo.
Questo è semplicemente un esempio e non intendo minimamente paragonare Dio al fuoco, ovvio, solo esprimere che ciò che è per sé un bene risulta essere male nel momento in cui a tale bene ci si rapporta erroneamente. Se poi si considera che Dio è il Bene sommo, si conclude che Egli non faccia cose buone e cose cattive, ma solo cose assolutamente buone e prima di tutto ontologicamente. Ma è chiaro che è sempre Dio a venire incontro all’uomo, è sempre Dio a precedere l’uomo e ad aspettarlo per incontrarlo, così come attesta l’episodio dell’incontro di Gesù con la samaritana (Cfr. Gv 4,6-7). L’unica cosa da fare è presentarsi a questo incontro. Così come Egli sta alla porta e bussa, l’unica cosa da fare è aprire la porta e lasciare che entri e così cenare con lui (Cfr. Ap 3,20). Dio non vuole la morte di nessuno, ma la conversione e la vita (Cfr. Ez 33,11).
Per questo occorre che si prenda atto del valore dell’ordinarietà e non della straordinarietà. Tanti sono gli sguardi rivolti ai corpi celesti distanti anni luce, ed è giusto, ma a volte perdendo quella meraviglia che si trova anche e già in una semplice ma al contempo profonda goccia d’acqua.
Si ha l’impressione che molte volte ci si costruisca il proprio labirinto, con il rischio di risultare il Dedalo di se stessi e di andare incontro al Minotauro delle proprie azioni. Ma l’uomo non è il risultato del puro caso e non è stato gettato casualmente in una parte dell’universo. Tutti i giorni dell’uomo sono dinanzi a Dio prima ancora che esistano (Cfr. Sal 139 [138],16), e mai l’uomo potrà essere sostituito dalla tecnologia, la quale è un prodotto dell’uomo stesso ed un ampliamento delle sue azioni, ma non potrà mai sostituire la persona in quanto tale.
Spesse volte ci si rende conto che tante sono le luci, ma poche le volte in cui si considera la fotocamera dalla quale la luce proviene e meno ancora la persona che sta dietro alla fotocamera. La vita porta la luce, ma non vale il contrario. Non è possibile restare abbagliati dalle tanti luci e permanere nell’abbaglio, perdendo il fine ultimo della vita, ossia la realizzazione della medesima in Dio. Due sono le strade: realizzazione della propria vita in Dio o nel nulla. Altre strade non se ne vedono. Il problema sta al principio di tutto: Dio o il nulla, il caso trova senso non in se stesso, ma solo se facente parte della totalità dell’ordine, che non trova origine nel nulla. E realizzare la vita in Dio comporta anche il prestare attenzione a tutto, alla ordinarietà e quotidianità della vita, apprezzando ogni momento. Non si può volgere lo sguardo ai cosiddetti “valori” della vita solo in momenti drammatici, dato che in fin dei conti, se su questi valori non è stata impostata la vita prima del sorgere dei drammi, difficilmente si guarderà a questi autenticamente. Ma sarebbe importante constatare che anche i “valori” non hanno alcun valore in se stessi, se non in riferimento al fine ultimo: Dio.
Pertanto, non è bene ricordarsi di quanto ci si dovrebbe ricordare solo nei momenti in cui ci si trova costretti a farlo, dato che non vi sarebbe la certezza di riuscirci qualora si provasse a farlo. Non è bene ricordarsi degli “eroi” solo in casi come questi – mi riferisco a quanti fanno degli slogan i veicoli (falsi) della verità. Non è bene pensare che un domani l’uomo possa raggiungere uno stato in cui riuscirà a governare l’intera realtà, come se la realtà derivasse da lui, dato che ciò corrisponderebbe alla sua distruzione, semplicemente per il motivo che tal prerogativa è del Creatore, non della creatura. Nell’ordinario Dio agisce attraverso l’uomo e sarebbe bene che si prendesse atto di ciò, altrimenti si tenderà sempre a guardare lo straordinario, perdendo di vista che gli “eroi” sono proprio coloro che cercano di vivere lo straordinario nell’ordinario.
Molte volte ci si chiede dove sia Dio, ma poche sono le volte in cui ci si chiede dove sia l’uomo. Tante sono le volte in cui si parla di “responsabilità”, così tante volte che la stessa parola ha subìto un vero e proprio abuso, perdendo il suo sapore e il suo significato. In questo modo è come se si volesse far diventare straordinario ciò che è ordinario, il contrario di quanto scritto prima.
Insomma, per concludere, è chiaro che oltre ad esserci una noncuranza dell’ordinarietà della vita, che conduce a riflettere sul fondamento della vita stessa e del suo valore, vi è anche una mancanza di ordine, e in questi giorni pare evidente.
Dio è onnipresente, per cui è presente in ogni istante. Il problema non è se Dio sia presente, ma se l’uomo sia presente a Dio e a se stesso… Ma già il porsi tale problema non è possibile se si guarda solo alla straordinarietà, poiché occorre prestare attenzione all’ordinarietà, nella quale si esprime l’ordine, che sarebbe bene recuperare, considerando sinceramente la realtà delle cose. E in tutto questo lo sguardo è rivolto a Colui senza il quale nulla sarebbe, e le parole del salmista non passeranno mai, perché la speranza ultima è sempre in Dio. Per cui, mi insultano i miei avversari quando rompono le mie ossa, mentre mi dicono sempre: <<Dov'è il tuo Dio>>. Perché ti rattristi anima, perché ti agiti dentro di me? Spera in Dio: ancora potrò lodarlo, lui, salvezza del mio volto e mio Dio (Sal 42 [41], 11-12). 

Serva ordinem et ordo servabit te – Conserva l’ordine e l’ordine conserverà te (Sant’Agostino).



di Gabriele Cianfrani

domenica 19 aprile 2020

LA MISERICORDIA

aprile 19, 2020 Posted by Gabriele Cianfrani , No comments
Immagine originale dipinta dall'artista Euginiusz Kazimirowski, sotto le indicazioni di Santa Faustina Kowalska.
Gesù confido in Te!

II Domenica di Pasqua - Festa della Divina Misericordia.

Il 22 febbraio 1931 Santa Faustina Kowalska ricevette l'ordine da parte di Gesù di dipingere la Sua immagine secondo il modello che Gesù stesso le mostrò. 

La sera, stando nella mia cella, vidi il Signore Gesù vestito di una veste bianca: una mano alzata per benedire, mentre l'altra toccava sul petto la veste, che ivi leggermente scostata lasciava uscire due grandi raggi, rosso l'uno e l'altro pallido. Muta tenevo gli occhi fissi sul Signore; l'anima mia era presa da timore, ma anche da gioia grande. Dopo un istante, Gesù mi disse: « Dipingi un'immagine secondo il modello che vedi, con sotto scritto: Gesù confido in te! Desidero che questa immagine venga venerata prima nella vostra cappella, e poi nel mondo intero. Prometto che l'anima, che venererà quest'immagine, non perirà. Prometto pure già su questa terra, ma in particolare nell'ora della morte, la vittoria sui nemici. Io stesso la difenderò come Mia propria gloria » (Faustina Kowalska, Diario. La misericordia divina nella mia anima, LEV, Città del Vaticano 2010, pp. 74-75). 

Il compito di realizzare l'immagine fu affidato all'artista Eugeniusz Kazimirowski, che la realizzò sotto le indicazioni della Santa Faustina e l'immagine venne ultimata nel giugno del 1934. 
Papa San Giovanni Paolo II volle che alla seconda Domenica di Pasqua fosse attribuita la denominazione "Domenica della Divina Misericordia", con il risultato del Decreto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti del 5 maggio 2000 (Decr. Misericors et miserator) che istituisce la festa della Divina Misericordia, per volere appunto di San Giovanni Paolo II. Vi è possibilità di ottenere sia l'indulgenza plenaria sia quella parziale, alle consuete condizioni che possono essere lette nel Decreto della Penitenzieria Apostolica del 29 giugno 2002.

Il termine "misericordia" si trova ovviamente nella Scrittura e va al cuore della fede, esprimendo la dedizione di Dio nei confronti del peccatore. 
Diversi sono i termini tradotti con "misericordia": la parola ebraica hesed esprime soprattutto l'atteggiamento fedele di Dio alla sua alleanza (Cfr. Es 34,6; 2Sam 2,6; Is 55,3...), e in tal caso anche l'uomo deve essere misericordioso ed essere fedele all'alleanza. Ma anche l'atteggiamento di Gesù verso i sofferenti; la parola ebraica rehem sta ad indicare il seno materno, per cui l'amore che la madre prova verso suo figlio (Cfr. Is 49,15), ma anche l'amore di Dio verso il suo popolo, col quale stringe un'alleanza (Cfr. Dt 13,18; 2,21). Ve ne sono altri di termini. Ma è chiaro che la misericordia di Dio si manifesta espressamente nei confronti del figlio perduto, poiché Dio sa della colpa della quale tale figlio si è macchiato e gli va incontro, così come il padre misericordioso che prova compassione per il figlio (Cfr. Lc 15,20). 
Ma a Dio compete la misericordia? Certamente ed in modo massimo, non secondo la passione o il sentimento, ma secondo gli effetti che produce. Ora, "misericordioso" si dice colui che in un certo modo ha un "cuore misero", nel senso che alla vista delle miserie altrui è preso da tristezza come se si trattasse della propria miseria, adoperandosi affinché la miseria dell'altro venga rimossa, come se si trattasse appunto della propria miseria. Questo è l'effetto della misericordia, ma rattristarsi in tal modo non si addice a Dio, ma certamente gli si addice in massimo grado il liberare da quella miseria, da qualsiasi difetto. La liberazione dalla miseria intesa come difetto avviene tramite la perfezione di bene. Il difetto è mancanza di perfezione. Ora, poiché comunicare le perfezioni dipende dalla bontà di colui che le comunica, e Dio è il Bene sommo, è chiaro che si addice a Dio in sommo grado rimuovere ogni difetto e di conseguenza ogni miseria. E se si considera che le perfezioni concesse da Dio eliminano ogni deficienza - la deficienza è appunto una mancanza -, abbiamo la misericordia (Cfr. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia, q. 21, a. 3). Così nel caso della liberazione dalla schiavitù nella terra d'Egitto e soprattutto dalla liberazione dalla schiavitù del peccato, con la passione, morte e risurrezione di Gesù. Pertanto, a Dio in quanto tale compete massimamente la misericordia, non perché in lui sia una passione come in una semplice persona umana, anche se nessuno più di Dio conosce la persona umana e il cuore della stessa - è Dio il Creatore e conosce alla perfezione le sue creature, anche il numero di globuli rossi del sangue e il numero di atomi di ogni cosa -, ma perché solo Dio può rimuovere ogni miseria. L'accoglienza della sua misericordia esige da parte nostra il riconoscimento delle nostre colpe (CCC, 1847).
La misericordia non è mai disgiunta dalla giustizia, ma è interessante il fatto che se per la giustizia occorre che vi sia la retribuzione dei meriti, prima della creazione ciò non era possibile, poiché nulla all'infuori di Dio esisteva. Dunque, nella creazione non sarebbe possibile parlare di giustizia, ma certamente si può parlare di misericordia perché, creando, Dio toglie il più grande di tutti i difetti, ossia il non essere, e questo gratuitamente (Cfr. Tommaso d’Aquino, IV Sent., d. 46, q.2, a. 2).

Buona e santa festa della Divina Misericordia!


Gabriele Cianfrani

sabato 18 aprile 2020

CHI SONO GLI ANGELI

aprile 18, 2020 Posted by Gabriele Cianfrani No comments

Il tema degli angeli è senza dubbio uno di quelli più interessanti, quale che sia il punto da cui parta l'osservazione. Tale tema gode di una importanza molto rilevante all'interno delle Sacre Scritture, tant'è che la storia di Israele, fino a giungere ai nostri giorni, è permeata in maniera notevole dalla presenza degli angeli. Esseri spirituali che oggi come in passato sono presenti più che mai, con la sola differenza che oggi pare godano di un'attenzione ridotta o male orientata... Nel corso dei secoli, sia i grandi Padri della Chiesa sia i grandi teologi della Scolastica hanno approfondito sempre più questa realtà legata indissolubilmente a quella di Dio; realtà che non di rado è stata affrontata in passato con uno spirito alquanto eretico, fuori dalle Sacre Scritture. Ma alcune cose simili si verificano anche oggi... Per cui converrebbe attingere non solo dal Catechismo della Chiesa Cattolica, ma anche da colui che ha raccolto ed esposto in maniera assolutamente mirabile le verità e le caratteristiche del mondo angelico - non a caso viene chiamato "l'Angelico o Dottore angelico"-: San Tommaso d'Aquino.
* 328. L'esistenza degli esseri spirituali, incorporei, che la Sacra Scrittura chiama abitualmente angeli, è una verità di fede. La testimonianza della Scrittura è tanto chiara quanto l'unanimità della Tradizione.
329. Sant'Agostino dice a riguardo: << "Angelus" offici nomen est, [...] non naturae. Quaeris nomen huius naturae, spiritus est; quaeris officium, angelus est: ex eo quod est, spiritus est, ex eo quod agit, angelus - La parola "angelo" designa l'ufficio, non la natura. Se si chiede il nome di questa natura, si risponde che è spirito; se si chiede l'ufficio, si risponde che è angelo: è spirito per quello che è, mentre per quello che compie è angelo>>. In tutto il loro essere, gli angeli sono servitori e messaggeri di Dio. Per il fatto che << vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli >> (Mt 18,10), essi sono << potenti esecutori dei suoi comandi, pronti alla voce della sua parola>>.
330. In quanto creature puramente spirituali, essi hanno intelligenza e volontà: sono creature personali e immortali. Superano in perfezione tutte le creature visibili. Lo testimonia il fulgore della loro gloria. (Catechismo della Chiesa Cattolica)
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[...] Le realtà che sono infime devono dunque essere composte di materia e forma. Quelle cose invece che sono supreme fra gli enti creati si avvicinano sommamente alla similitudine divina, né vi è in esse la potenza a essere o a non essere, ma hanno ricevuto da Dio per creazione un essere sempiterno [si tratta degli Angeli]. Ora, essendo proprio della materia essere in potenza all'essere che è dato dalla forma, questi enti nei quali non vi è potenza all'essere o al non essere non sono composti di materia e forma, ma sono solo forme sussistenti nel proprio essere che hanno ricevuto da Dio. Queste sostanze sono quindi necessariamente incorruttibili: infatti in tutte le realtà corruttibili vi è la potenza al non essere, mentre in queste non vi è tale potenza, come si è detto: dunque sono incorruttibili. Ancora. Niente si corrompe se non per la separazione della forma: infatti l'essere segue sempre la forma; ora queste sostanze , essendo forme sussistenti, non possono essere separate dalla loro forma, per cui non possono perdere il proprio essere: sono quindi incorruttibili. (San Tommaso d'Aquino - Compendio di Teologia, cap. 74)

Il viaggio continua...